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Camillo Renato tra stati italiani e Grigioni

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Veröffentlicht/Copyright: 18. November 2022
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Abstract

The article draws a new profile of one of the main representatives of the first phase of the Italian Radical Reformation, Camillo Renato. It argues that humanist philological criticism, the ‚border‘ culture of the Valtellina, and even Venetian urban life contributed to the highly original character of his constantly evolving theology.

1 Tra San Francesco e Juan de Valdés: Paolo Ricci

Nel corso della sua vita il siciliano Paolo Ricci, figura di primo piano della dissidenza religiosa cinquecentesca, si è presentato all’opinione pubblica con almeno tre diversi nomi. Quella del vivere in incognito era una prassi comune tra i perseguitati dall’Inquisizione nella prima metà del Sedicesimo secolo, una fase in cui la repressione del dissenso religioso di matrice protestante, antitrinitaria e anabattista, ancora relativamente blanda, permise a molti (si pensi anche a Bartolomeo Fonzio e Lorenzo Tizzano alias Benedetto Florio) di continuare le proprie attività di proselitismo attraverso fughe, repentini trasferimenti e cambi di identità.

Nei primi anni in cui la sua attività è rintracciabile, egli è appunto noto come Paolo Ricci, probabilmente il nome di battesimo; „Lisia Fileno“ fu impiegato a partire circa dal 1538; infine, „Camillo Renato“ è il nome della fase grigionese, quello con cui egli compare negli studi passati e con cui sarà anche citato in questo articolo. Scorrendo l’avventurosa vita di questo enigmatico personaggio, si può notare che i tre nomi con cui egli si è fatto chiamare corrispondono a tre precise fasi delle sue vicissitudini: una fase giovanile, probabilmente napoletana, una fase veneto-bolognese e, infine, una fase svizzera.

Com’è noto, è difficile a prescindere, in questa prima fase, distinguere tra un orientamento più „radicale“ e uno più „istituzionale“ della Riforma, nonché tra le varie sotto-correnti che assunsero i gruppi „di minoranza“ come anabattisti e antitrinitari, sia nello stesso paese che in paesi diversi.[1] Camillo Renato è figura assolutamente tipica di quell’eclettismo e quell’„individualismo religioso“ particolarmente accentuati nel composito mondo della dissidenza religiosa italiana del primo ’500 orientata verso la Riforma.[2] D’altra parte, questa eterogeneità si evolve in Renato in un continuo fluire e in continue nuove suggestioni che si accavallano e si accumulano durante la sua vita dando luogo a precise fasi, in cui di volta in volta alcuni accenti prevalgono su altri.

Non è mia intenzione in questa sede soffermarmi sui dati biografici di Renato, che, se pur spesso incerti e lacunosi, sono abbastanza noti. Le ricerche specifiche a lui dedicate, da George Huntston Williams ad Antonio Rotondò, hanno dato conto delle tappe dei suoi viaggi e delle fonti disponibili.[3] Dal punto di vista della storia delle idee e della teologia, invece, se certamente molto è stato scritto, numerose sono anche le questioni ancora da approfondire. Intendo dunque oggi seguire l’evoluzione delle tre fasi prima accennate, tracciando alcune linee di continuità e di discontinuità, con l’obiettivo di fornire un’immagine rinnovata di questa figura chiave della Riforma italiana. Una riflessione sull’evoluzione dei tre nomi di cui Renato si è a lungo servito per sfuggire alla cattura – mai scelti casualmente – può rivelare molto, come si vedrà, su alcuni dei caratteri tipici che connotano la cosiddetta „Riforma radicale“ italiana. Questa, esattamente come Renato, è stata sia debitrice dei coevi sviluppi europei sia ha sviluppato alcune linee di pensiero decisivamente radicate nel retroterra culturale della penisola.

Il primo contatto di Renato con la Riforma avviene probabilmente da giovanissimo, quando egli si chiama ancora Paolo Ricci ed entra in contatto a Napoli con i circoli di Juan de Valdés. Egli così diviene parte importante di quella emigrazione napoletana nel Veneto (si pensi a Girolamo Busale e Giulio Besalù) legata alla Riforma e della compenetrazione tra motivi tipici dei circoli valdesiani – sviluppati in particolare da Juan de Villafranca, erede di de Valdés alla guida del gruppo – e conventicole anabattiste e proto-antitrinitarie venete.[4] Della fase napoletana non sono pressoché superstiti tracce documentarie. È certo che i motivi appena menzionati si sarebbero ritrovati nelle opere del Renato risalenti alle fasi successive.

2 Lisia Fileno: l’umanista e lo sfratato

Renato giunge a Padova e Venezia in un periodo purtroppo imprecisato tra il 1517 e il 1531, dove avvia contatti con i gruppi eterodossi che avevano tra i loro riferimenti principali l’università di Padova. Lì egli incontra Pier Paolo Vergerio e Giulio da Milano. Pur non essendo del luogo, Renato rappresenta in modo esemplare la situazione delle conventicole a metà Cinquecento vicine all’anabattismo e a una sorta di „proto-antitrinitarismo“.[5] Si trattava di gruppi dalla forte impronta elitaria, erudita e umanistica. Molte delle figure-guida del movimento anabattista, legate allo studio della medicina all’università di Padova, erano influenzate dal retroterra che oggi definiremmo dell’„umanesimo medico“ e dell’„aristotelismo padovano“. Le troviamo infatti spesso tra i protagonisti delle „Epistolae medicinales“, e nella loro negazione dell’immortalità dell’anima vi era un innegabile influsso dei dibattiti coevi intorno all’aristotelismo.[6] I membri di queste conventicole appartenevano a quella che oggi chiameremmo „alta borghesia“ e si segnalavano per raffinatezza di educazione e frequentazioni. Le discussioni spesso si svolgevano tra le aule dell’università di Padova e in ville nobiliari, come quelle che forse ospitarono i collegia vicentina. Questo gusto umanistico si nota bene nei componimenti poetici di Renato, che certamente non colpiscono per originalità.[7] È probabilmente in questa fase che egli si liberò dei voti e, da ex francescano, si unì alla relativamente folta schiera dei cosiddetti sfratati, ovvero di ex frati minori affascinati dagli ideali di comunione dei beni, pacifismo e spiritualità dei primi anabattisti.

Le tracce di Renato si perdono poi di nuovo, fino a ritrovarle a Bologna e a Modena. Questo periodo è in stretta continuità con il precedente ed è probabilmente qui, non a caso, che il nome di battesimo „Paolo Ricci“ si tramuta nello pseudonimo grecizzante, dal sapore squisitamente umanistico, di „Lisia Fileno“.[8] Lo scritto più rappresentativo – quantomeno tra quelli a noi giunti – di questa fase della vita di Renato è l’eccezionale „Apologia“ (1540), scritta come autodifesa al processo che subì a Ferrara ma probabilmente mai pronunciata.[9] È stato notato più volte come il movimento anabattista e antitrinitario del nord Italia non si fondasse su dotti trattati o testi di riferimento scritti da figure carismatiche paragonabili a quelle che guidavano movimenti simili in altri territori (pensiamo ad esempio a Balthasar Hubmaier, Hans Hut, Hans Denck, Pilgram Marpeck, Thomas Müntzer, Menno Simons). L’„Apologia“, ha osservato Antonio Rotondò, è uno di quegli scritti occasionali che sono espressione genuina di un movimento le cui tracce devono essere ricondotte allo svolgersi concreto di dispute e controversie, interventi ai sinodi, forzate ritrattazioni e abiure.[10]

Ciò corrisponde certamente a verità. Tuttavia, proprio Camillo Renato è una delle figure della prima fase della diffusione della Riforma nel nord Italia – ovvero quella anteriore all’emigrazione di Lelio e Fausto Sozzini – che più si avvicinano all’idea di capo carismatico, non solo per la sua documentata opera di proselitismo. Egli è uno dei trait-d’union tra la prima e la seconda fase della diffusione della Riforma negli stati italiani, tra la fase del nicodemismo[11] e delle conventicole e quella dell’emigrazione „di massa“ dei dissidenti italiani.[12] Prove di ciò sono fonti successive che attestano una lettura del „Trattato sul battesimo e sulla santa cena“ in casa di Lelio Sozzini, e un ruolo di praeceptor di Renato proprio nei confronti del minore dei Sozzini. Di testimonianze di tal genere – in questo caso mi riferisco all’„Historia antitrinitariorum“ di Friedrich Samuel Bock[13] – abbondano le ricostruzioni dell’antitrinitarismo. Sebbene sia legittimo avanzare più di un dubbio sull’attendibilità di tali testimonianze, l’associazione in queste cronache di alcune figure all’antitrinitarismo, pur spesso strumentale nell’intento di creare un’illustre genealogia del movimento, è comunque traccia importante e da non sottovalutare.

Dal testo dell’„Apologia“ emergono le letture degli anni della formazione di Renato e l’attenzione per la cultura umanistica di tipo filologico. Sono numerose le citazioni da Duns Scoto e Tommaso; Erasmo è esplicitamente nominato solo una volta, ma diffusamente parafrasato, come anche Lorenzo Valla e Lutero.[14] Questi riferimenti così eterogenei dal punto di vista teologico accomunano il testo a molte altre opere italiane del periodo riconducibili alla Riforma (si pensi ad es. all’anonimo „Beneficio di Cristo“, di pochi anni posteriore). Il retroterra umanistico dell’„Apologia“, d’altra parte, si rivela anche nella missione irenistica dichiarata di facilitare una pacificazione della Chiesa di Roma con gli stati tedeschi; zone, per altro, che per Renato avranno sempre un ruolo marginale sia a livello biografico che concettuale.

Vorrei soffermarmi in particolare su un passo dell’„Apologia“ in cui Renato compendia in modo sintetico alcune delle sue convinzioni: „Soleo asserere ex animo mihi nullum esse purgatorium, nullum infernum, nullam legem, nullam legis poenam, nullum peccatum, nullam mortem, nullum satanam.“[15]

Perché Renato sia convinto della non esistenza del Purgatorio è cosa abbastanza ovvia. Queste credenze sono ampiamente documentate anche nel circolo di Juan de Valdés a Napoli, cui egli si era forse avvicinato in gioventù, e nelle conventicole protestanti e anabattiste venete: sfogliando i verbali dei processi per eresia condotti nella Repubblica lagunare ci si imbatte in continuazione nella negazione del Purgatorio. Questa negazione non deve infine sorprendere in una personalità legata alla Riforma d’oltralpe quale sarebbe stato il Renato nella „terza fase“ della sua vita.

Quanto segue è ancora più interessante: l’inesistenza dell’inferno, della legge, delle pene, del peccato stesso, della morte e di Satana. La frase parrebbe essere reminiscenza della radicalità di un insieme di dottrine che attraversò la mistica medievale, soprattutto in Olanda e in Francia del nord, da una posizione „ai margini“ dell’ortodossia. I sostenitori di queste idee furono chiamati „Fratelli del libero spirito“, denominazione cui tuttavia non è mai corrisposto un gruppo organizzato. Sotto questa etichetta troviamo un corpus eterogeneo di fonti e testi di riferimento, tra cui Marguerite Porète, i testi pseudo-eckhartiani, alcuni sermoni dello stesso Meister Eckhart. Le tesi chiave sono la libertà dalla legge, che si traduce anche in liceità di peccare, quietismo, povertà come spogliazione non solo dagli oggetti materiali, ma anche come povertà „spirituale, intesa misticamente come annichilimento delle facoltà e potenze dell’anima, spogliamento di tutto quello che non è Dio“, che sfocia in una simbiosi con Dio stesso.[16]

Tali dottrine conobbero una progressiva radicalizzazione soprattutto a partire dal XIII secolo, e vennero condannate dal concilio di Vienne (1311). Fino alla prima metà del Sedicesimo secolo, esse trovavano particolare favore tra i francescani radicali, come appunto era Renato prima di uscire dalla chiesa cattolica. La fortuna di Marguerite Porète è attestata negli ambienti degli ordini mendicanti del primo ’500 vicini all’evangelismo, in particolare tra i francescani della Repubblica di Venezia, per „il forte richiamo a una religione dello spirito, sistematica e avulsa da ogni struttura ecclesiastica e codificazione normativa … capace di andare oltre il rigorismo ascetico di Savonarola“.[17] Diversi scritti dei cappuccini italiani incentrati sul motivo della „libertà dello spirito“ avrebbero inoltre trovato diffusione anche negli ambienti degli alumbrados iberici, in particolare nella terza decade del Cinquecento. Questo nesso è indicativo sia di una convergenza sorta intorno ad alcuni temi negli ambienti intellettuali di area mediterranea vicini alla Riforma sia del ruolo, di cui si è già parlato, dei frati minori nell’origine della Riforma radicale italiana.[18]

A favore di queste mie considerazioni depongono testimonianze di processi ad altri sfratati tra gli Anabattisti veneti (con cui Renato era entrato appunto in contatto negli anni che precedono la stesura dell’„Apologia“). Mi riferisco in particolare a Francesco Zorzi, anch’egli francescano, e alla radicalità del suo quietismo unito all’importanza attribuita al motto paolino „Ubi autem spiritus Domini, ibi libertas“, citazione chiave nell’arsenale delle personalità che sono tradizionalmente associate al „Libero spirito“.[19] Non sappiamo se fosse uno sfratato l’anabattista della Valtellina che nel 1552 dichiarò all’Inquisizione di essere un seguace di Renato, ammettendo la sua credenza nel sonno dell’anima, da lui chiamata „spirito che tien l’homo vivo“, il quale „non cognosceva più né ben né mal“. Queste parole paiono effettivamente legare le sue idee in maniera inequivocabile a quelle del suo maestro.[20]

Più in generale, è risaputo che le correnti più radicali della Riforma riservassero un’attenzione particolare alla tradizione mistica medievale, soprattutto all’esaltazione di un legame diretto con il divino.[21] Nel periodo della prima Riforma, grazie alla stampa crebbe un progressivo interesse per le opere di Johannes Tauler e per l’anonima „Theologia deutsch“: tutti segni che già intorno al 1500 uno stile devozionale più individualizzato e meno istituzionale godesse di grande favore. Questo orientamento influenzò decisivamente Hans Denck, Ludwig Hätzer, Johannes Bünderlin e Christian Entfelder, che per un certo periodo furono molto vicini all’anabattismo.[22] Nell’attacco ai „liberi spiriti che si gloriano di una falsa libertà“ di Tauler possiamo leggere un riferimento a gruppi analoghi a quella che è stata chiamata „eresia del libero spirito“. È anche vero, però, che nei suoi testi e in quelli ascritti al corpus di questa eresia vi sono delle immagini in comune.[23]

Ma c’è altro che va considerato per interpretare la citazione tratta dall’„Apologia“ di Renato, che quantomeno in apparenza è così sorprendente per la sua radicalità. Tra il 1512 e il 1516 erano state stampate (o, in alcuni casi, ristampate) a Venezia tutte le opere di Origene. Il fatto che il luogo di stampa fosse proprio la città lagunare non è ovviamente un caso. I libri eterodossi in quel periodo nella penisola italiana venivano stampati soprattutto a Venezia: tra quelli filo-riformati svariate traduzioni da Lutero, da Erasmo, testi italiani come il „Beneficio di Cristo“, le „Prediche“ di Ochino, il „Pasquino in estasi“ di Curione.[24] Nonostante le condanne, Origene è autore molto letto fin dal Medioevo, ma la grande opera di stampa delle sue opere nel Cinquecento avviene proprio nella città dove Renato avrebbe vissuto pochi anni dopo.[25] È noto quale sia la più nota dottrina attribuita a Origene: quella dell’apocatastasi, ovvero della restituzione universale delle anime (sia dei dannati che dei giusti) a Dio alla fine dei tempi, arrivando ad adombrare perfino la salvezza del diavolo. La presenza in Renato dell’idea di negazione sia dell’inferno che del diavolo stesso pare dunque confermare l’ipotesi di Pasquale Terracciano circa un sistematico legame tra la fortuna cinquecentesca di Origene e quelle dottrine che „negavano o mitigavano l’idea di dannazione eterna“, indebolendo quella di Daniel P. Walker, che in „The Decline of Hell“ aveva sostenuto che „it is not until the mid 17th century that one finds explicit attacks on the orthodox doctrine of hell“.[26] Nel caso di Renato siamo di fronte a un nesso con Origene di triplice natura: non solo spaziale (Venezia) e dottrinale (superamento dei concetti di diavolo e di inferno), ma più propriamente confessionale.

L’anonimo „Beneficio di Cristo“, uno dei testi più rappresentativi della diffusione della Riforma in Italia, nel contesto della difesa della giustificazione per fede conteneva una citazione che parrebbe suggerire la tesi dell’impossibilità del peccato per i redenti.[27] La stessa tesi fu sostenuta dal monaco benedettino Giorgio Siculo, che era molto vicino all’autore del „Beneficio“ Benedetto da Mantova, a Juan de Valdés e, in una fase, anche agli anabattisti e agli antitrinitari veneti.[28] Agli stessi anabattisti veniva inoltre attribuita nel diciassettesimo articolo della „Confessio augustana“ la tesi della salvezza del diavolo.[29] La dottrina dell’inesistenza dell’inferno è attestata in un periodo successivo a quello della redazione dell’„Apologia“ come una delle dottrine cardine dell’Anabattismo e dell’Antitrinitarismo veneti.[30]

Come si vede, identificare un’unica fonte delle teorie appena delineate è probabilmente impossibile. Pare piuttosto emergere una confluenza di diversi fattori nella diffusione dell’idea della negazione del peccato e dell’inferno che riscontriamo in Renato e in altri ambienti della Riforma radicale italiana: la fortuna veneziana dell’origenismo, la diffusione di queste dottrine in ambito anabattista in altre regioni, il ruolo dei „minori“ nella diffusione della Riforma radicale nella Repubblica di Venezia e delle dottrine sulla „libertà dello spirito“.

3 Camillo Renato: l’anabattista e il riformatore

Le influenze dei riformatori d’Oltralpe si sarebbero radicalmente accentuate nel pensiero di Renato tra il 1541 e il 1542, durante la sua prima fuga in Valtellina. Dopo aver subito la dominazione dei Visconti e degli Sforza, la regione dal 1515 era sotto il controllo delle Tre Leghe (Grigioni), e lo sarebbe rimasta fino all’età napoleonica, divenendo un centro di relativa tolleranza religiosa, in cui era formalmente concessa libertà di culto sia a cattolici che a riformati. La zona divenne conseguentemente rifugio per illustri esuli italiani come Vergerio, Ochino, e Curione, oltre che per molte altre persone semplici in fuga dall’oppressione dell’ortodossia cattolica. Chiavenna in particolare, dove si stabilisce Renato, era uno dei centri di maggior affluenza di esuli italiani, centro commerciale e snodo di passaggio per mercanti e viaggiatori già da prima della Riforma. Il trilinguismo (ladino, italiano e tedesco) e i continui conflitti giurisdizionali tra amministrazione grigionese e vescovado di Como, tra le diverse minoranze religiose e linguistiche, impedivano tuttavia una convivenza davvero pacifica tra culture differenti.[31] Magistrati riformati, inviati regolarmente dai Grigioni, vi svolgevano opera di proselitismo di cui Renato fece subito le spese.

È precisamente in questa fase che „Lisia Fileno“ diventa „Camillo Renato“. Non credo che la scelta di questo pseudonimo sia stata casuale. La mia ipotesi è la seguente: Renato ha tratto l’idea del suo terzo nome dalle usanze degli ebrei veneziani, apprese durante la sua permanenza nella città lagunare e ben note anche agli abitanti cristiani. Una delle opzioni possibili che si prospettavano davanti a un ebreo arrivato a Venezia era infatti quella di dichiararsi ebreo all’arrivo in città e di convertirsi spontaneamente al Cristianesimo (le altre erano quella di mantenere l’identità ebraica e vivere nel ghetto e di vivere mischiato ai cristiani, non dichiarando l’identità ebraica).[32] In tal caso ci si doveva sottoporre a un complesso processo di conversione in più tappe, che aveva luogo nella Casa dei catecumeni, un edificio che immediatamente dopo la sua fondazione accoglieva solo gli immigrati ebrei, poi anche quelli protestanti e musulmani, fondato a imitazione di simili istituzioni sparse per l’impero ottomano.[33] Tra questi ebrei convertiti tra il Sedicesimo e la metà del Diciassettesimo secolo prassi comune era quella di adottare un nuovo nome, cognome o suffisso cristiano per annunciare la propria rinascita attraverso il battesimo.[34] Uno dei nomi più comuni era quello di Renato.[35]

Chi meglio di un’anabattista poteva riconoscere un’analogia tra il battesimo di un ebreo adulto che segna la sua „rinascita“ come convertito e il secondo battesimo di un cristiano, che sancisce la sua rinascita come „vero“ cristiano (così infatti si percepivano gli anabattisti)? Bisogna inoltre tenere presente qual era l’ambiente napoletano a cui Renato era stato esposto in gioventù: Juan de Valdés apparteneva a una famiglia di conversos e le sue posizioni, che nell’Italia dell’epoca venivano semplicisticamente assimilate a quelle di Lutero, erano profondamente influenzate dallo spiritualismo dei „nuovi cristiani“ iberici. Tale spiritualismo si intrecciava a sua volta con reminiscenze e citazioni da Lutero ed Erasmo.[36]

Le argomentazioni della fase grigionese non perdono nulla nella loro raffinatezza filologica, ma ora l’umanista cede il passo, e si contamina, con il riformatore e con l’anabattista. In questi anni Renato non risulta particolarmente attivo nella diffusione della cultura italiana al di là delle Alpi, come nel caso di altri esuli nelle stesse zone;[37] lo è piuttosto nella disputa con l’agostiniano Agostino Mainardi, fondatore nel 1539 della Chiesa riformata di Chiavenna.[38] La contesa, che ha tra i suoi episodi chiave la denuncia dei due al Sinodo di Chiavenna e l’arrivo di quattro delegati della Chiesa di Coira (afferente alla Chiesa dei Grigioni) incaricati di esaminare le ragioni del contrasto, è stata documentata e studiata.[39]

Mi vorrei concentrare qui su uno specifico aspetto del „Trattato sul battesimo e sulla santa cena“ (1547), il più importante degli scritti che hanno origine in questo contesto. La falsa credenza del valore sacramentale del Battesimo e dell’Eucarestia, secondo Renato, ha origine da un’indebita introduzione di nuove parole, da cui sono originate nuove opinioni, aliene alle Scritture. La parola „sacramento“, così l’argomentazione, non viene mai usata nelle Scritture per la cena e per il battesimo:

„A me pare che lo Spirito Santo abbia fatto scrivere dalli apostoli del battesimo e della cena del Signore quanto basta a crederne e usarle … Si doveva considerare quanto danno abbia fatto, prima e adesso, il voler introdurre e mantenere la introdotta novità di parole e [sic] aliene dalle Sacre Scritture. La novità [delle pa]role partorisce la novità delle opinioni, dalle qual segue lo errore e insomma lo anticristianesimo. Lo Spirito Santo non usò mai nella Santa Scrittura, specialmente nel Testamento Nuovo, queste o simil parole, ‚sacramento‘, ‚sacramento del corpo e del sangue‘ … Se gli antiqui o dottori o teologi hanno usato simil parole, non solo non hanno osservato la modestia cristiana, ma ancora senza rispetto hanno applicato questi nomi a quelle cose alle quali propriamente non convengono; e perché paressin convenire, con troppa licenza hanno ancora mutato la proprietà e ragione delle parole, acciò paressino averle applicate e usate degnamente. Questo ardimento è licenza e carnal prudenza contraria già allo spirito cristiano … chiamare il battesimo e la cena sacramento non conviene mantenendo e riservando la proprietà della parola … Sol dico che lo anticristianesimo, come potete vedere, è nato dalla novità delle parole e dal mutar la proprietà e natural significazione, e in particolare nel trattar di queste due cose, del battesimo e della cena.“[40]

Nell’addebitare con una sorta di posizione „realista“ (se si pensa alle dispute medievali) una distorta interpretazione di battesimo ed eucarestia – e dunque l’origine del falso cristianesimo – all’introduzione di nuove, erronee parole, Camillo Renato è debitore sia della filologia umanistica che di quello spirito di „restituzione“ del cristianesimo biblico e pre-conciliare che pochi anni dopo sarebbe valso a Serveto il rogo e la distruzione degli esemplari della sua „Christianismi restitutio“.[41] Non a caso nel 1554, da Traona, durante il suo secondo soggiorno in Valtellina, Renato sarebbe intervenuto per mezzo di un „Carme“, pur con un certo ritardo, nella disputa europea sorta attorno al rogo di Serveto.[42]

L’argomentazione del „Trattato“ prosegue a questo punto con un’analisi etimologica. Gesù non ha istituito sacramenti; sacramento è „giuramento di obbligazione“, come il sacramentum dei romani, espressione usata per i giuramenti svoltisi prima nel corso di contese giuridiche, poi anche per quelli dei soldati.[43] Viene rifiutata però non solamente la posizione dei cattolici, ma anche quella di luterani e riformati. I sacramenti non „confermano“ alcunché, e non sono nemmeno „segni“:

„Il certificarsi seguita la incertezza, il confirmarsi la incostanza. L’uomo incerto si certifica, l’uomo dubitante si conferma e stabilisce … Chi non crede o dubita, non è atto a battezzarsi e molto meno a cenare … Dappoi il fanciullo, per battezzarsi, in che si conferma? Di che si certifica? … E il medesimo sèguita della cena del Signore, alla quale chi mostrasse di non credere o di dubitare un tantino della remissione dei peccati fatta e ricevuta per la morte di Cristo, non sarebbe atto né idoneo a essere ammesso, secondo il mio parere, perché non crede.“[44]

La critica del valore di „conferma“ di battesimo ed eucarestia è senza dubbio un riferimento al termine Konfirmation, pratica che era stata introdotta per la prima volta a Strasburgo da Martin Butzer nel 1534, per poi venir lentamente adottata negli altri territori luterani. Ma, soprattutto, qui Renato parrebbe avvicinarsi a posizioni anabattiste: leggiamo infatti una critica al battesimo dei bambini nella forma dell’argomentazione classica di difesa del battesimo per i soli credenti (Gläubigertaufe). Egli pare qui anche vicino alla cosiddetta „ala sacramentaria“ del movimento anabattista, ovvero a quelle correnti che negavano il carattere sacro dei sacramenti, posizioni cui si era accostato anche Castellio nel „De arte dubitandi“. È assai probabile che Renato fosse entrato in contatto con conventicole anabattiste nel suo periodo Veneto tramite i suoi rapporti con alcuni loro esponenti.

Tuttavia è abissale, soprattutto quanto a consapevolezza teologica, la differenza di impostazione di queste righe rispetto alle testimonianze che ci descrivono la diffusione di idee anabattiste nel Veneto del primo Cinquecento. La critica al battesimo di Renato ha uno spiccato retroterra filologico e, a differenza di come avviene per la maggior parte degli anabattisti veneti, è teologicamente approfondita e inquadrata in una compiuta teoria dei sacramenti. Nel complesso, inoltre, lo scopo del „Trattato sul battesimo e sulla santa cena“ sembra convergere più su una svalutazione complessiva di battesimo ed eucarestia che sull’opposizione al battesimo per i non credenti, come avrebbe testimoniato anche il successivo e molto più radicale „Adversum baptismum quem sub regno Papae atque Antichristi acceperamus“ (1548). Il retroterra umanistico e filologico, che già si faceva sentire nel periodo veneto-bolognese, quando Camillo Renato era „Lisia Fileno“, si coniuga in questo testo con l’influsso dell’anabattismo mitteleuropeo, soprattutto con quello delle discussioni che avevano luogo nei Grigioni (in cui Renato si trovava all’epoca della probabile stesura) e nei vicini cantoni svizzeri. Come è evidente da queste righe, qui Renato si colloca in una posizione di minoranza, che giustifica pienamente la sua inclusione tra gli esponenti della cosiddetta „Riforma radicale“.

Non vi è dubbio circa la dipendenza del „Trattato“ dalla critica riformata di orientamento filologico, oltre che dalla pregressa formazione umanistica ricevuta da Renato nella penisola italiana. Sono innegabili le assonanze con le opere di Otto Brunfels e Bartholomäus Westheimer, cui ha già brevemente accennato Carlo Ginzburg nel suo classico volume sul nicodemismo.[45] Ad esempio, un superficiale raffronto che ho svolto tra il „Trattato“ di Renato e i „Collectanea Communium Troporum“ di Westheimer rivela una forte analogia di metodo, minore però sul fronte dei contenuti. Con le tesi chiave di Renato vi sono infatti numerose dissonanze. Un esempio: Westheimer scrive riguardo a battesimo e Eucarestia che „Signa vero pacti aut symbola, quae alij signa sacramentalia vocant, ut est in veteri Lege circuncisio, & agni pascalis manducatio solennis in novo, Baptismus & Eucharistia, hoc est, gratiarum actio, & commemoratio corporis Christi semel passi, admonent enim hominem officij, et sunt testimonia damnationis his, qui non servant.“[46]

Si tratta di una tesi completamente diversa da quella di Renato, che rifiutava esplicitamente l’interpretazione di Battesimo ed Eucarestia sia come sacramenti che come signa.

Gran parte del fascino del pensiero di Renato risiede nel fatto che esso è una sorta di summa di quell’inquietudine teoretica e spirituale che accomuna molti simpatizzanti italiani della Riforma a lui contemporanei. Per di più, questi motivi – la critica filologica, il mortalismo, una spiritualità quasi sconfinante nella blasfemia, l’opposizione al battesimo e all’Eucarestia, un’attenzione „simpatetica“ per l’ebraismo – si avvicendano in una progressione e stratificazione di suggestioni che si arricchisce sempre di più nel corso delle varie tappe dell’esilio di Renato, dal periodo napoletano a quello grigionese. Questi temi non rappresentano semplicemente un esempio di come correnti anabattiste e antitrinitarie hanno assunto un loro carattere peculiare in territori distinti. Essi si configurano piuttosto in Renato in un modo del tutto originale, in una combinazione di influssi profondamente radicati nella cultura degli stati italiani (in particolare nel Regno di Napoli e nella Repubblica di Venezia) e conquiste esegetiche e teologiche della Riforma mitteleuropea.

Published Online: 2022-11-18
Published in Print: 2022-11-15

© 2022 bei den Autorinnen und den Autoren, publiziert von De Gruyter.

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Artikel in diesem Heft

  1. Titelseiten
  2. Jahresbericht des DHI Rom 2021
  3. Themenschwerpunkt Early Modern Antitrinitarianism and Italian Culture. Interdisciplinary Perspectives / Antitrinitarismo della prima età moderna e cultura italiana. Prospettive interdisciplinari herausgegeben von Riccarda Suitner
  4. Antitrinitarismo della prima età moderna e cultura italiana
  5. Italian Nicodemites amidst Radicals and Antitrinitarians
  6. Melanchthon and Servet
  7. Camillo Renato tra stati italiani e Grigioni
  8. Heterogeneous religion: imperfect or braided?
  9. La religione sociniana
  10. Arminiani e sociniani nel Seicento: rifiuto o reinterpretazione del cristianesimo sacrificale?
  11. Artikel
  12. Das italienische Notariat und das „Hlotharii capitulare Papiense“ von 832
  13. I giudici al servizio della corte imperiale nell’Italia delle città (secolo XII)
  14. Nascita dei Comuni e memoria di Roma: un legame da riscoprire
  15. Verfehlungen und Strafen
  16. La nobiltà di Terraferma tra Venezia e le corti europee
  17. Scipione Gonzaga, Fürst von Bozzolo, kaiserlicher Gesandter in Rom 1634–1641
  18. Il caso delle prelature personali dei Genovesi nella Roma tardo-barocca
  19. In the Wings
  20. Strategie di divulgazione scientifica e nation building nel primo Ottocento
  21. Una „razza mediterranea“?
  22. Zur Geschichte der italienisch-faschistischen Division Monterosa im deutsch besetzten Italien 1944–1945
  23. Forum
  24. La ricerca sulle fonti e le sue sfide
  25. Die toskanische Weimar-Fraktion
  26. Globale Musikgeschichte – der lange Weg
  27. Tagungen des Instituts
  28. Il medioevo e l’Italia fascista: al di là della „romanità“/The Middle Ages and Fascist Italy: Beyond „Romanità“
  29. Making Saints in a Glocal Religion. Practices of Holiness in Early Modern Catholicism
  30. War and Genocide, Reconstruction and Change. The Global Pontificate of Pius XII, 1939–1958
  31. The Return of Looted Artefacts since 1945. Post-fascist and post-colonial restitution in comparative perspective
  32. Circolo Medievistico Romano
  33. Circolo Medievistico Romano 2021
  34. Nachruf
  35. Klaus Voigt (1938–2021)
  36. Rezensionen
  37. Leitrezension
  38. Die Geburt der Politik aus dem Geist des Humanismus
  39. Sammelrezensionen
  40. Es geht auch ohne Karl den Großen!
  41. „Roma capitale“
  42. Allgemein, Mittelalter, Frühe Neuzeit, 19.–20. Jahrhundert
  43. Verzeichnis der Rezensentinnen und Rezensenten
  44. Register der in den Rezensionen genannten Autorinnen und Autoren
Heruntergeladen am 15.9.2025 von https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/qufiab-2022-0005/html
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