Home La religione sociniana
Article Open Access

La religione sociniana

Culto e comunità
  • Girolamo Imbruglia EMAIL logo
Published/Copyright: November 18, 2022

Abstract

The argument of this article is twofold: first, it defines Socinianism as neither a kind of Deism nor a Christian heresy but as a new modern religion of the Renaissance; second, and consequently, treating Socinianism as a religion, this article inquires into the nature of Socinian cult and community. This latter point has been largely neglected by the scholarship. In the century between Faustus Socinus’s „De Christo Servatore“ (1584) and Wissowatius’ catechism (1684), the Socinians changed some of the major tenets of their theory of religio, in particular Socinus’s refutation of the idea of religious sacrifice. This article shows that this theoretical shift, caused by the disputes between Grotius and Crell, was reflected in the different editions of the Socinian catechism. The catechism of 1609, still faithful to Socinus’s ideas, in the 1659 and 1684 editions saw radical changes, accepting the Grotian theory of satisfactio though Faustus Socinus himself had defended the need for a form of cultus, Socinianism was unable to define it and thus did not become a sect, as the Socinians aimed to do but failed to achieve.

Nella recente fioritura di studi sulla religione sociniana domina la ricerca sulla dottrina antitrinitaria e sui suoi rapporti con il deismo secentesco; assai meno spazio, invece, occupa la questione del culto. Cosa sorprendente perché, se si riconosce al socinianesimo la natura di religione, che i sociniani rivendicarono e in cui credettero, bisogna interrogarsi sulle sue forme di culto, che appunto definisce il fenomeno religioso. Come ha scritto Durkheim, „la notion de la divinité, loin d’être ce qu’il y a de fondamental dans la vie religieuse, n’en est, en réalité, qu’un épisode secondaire“; al contrario „on appelle phénomènes religieux les croyances obligatoires ainsi que les pratiques relatives aux objets donnés dans ces croyances“.[1]

La nuova religione di Fausto Sozzini

Il legame tra religione e sacrificio fu al centro della teoria cristiana moderna, che seguì la tesi di Tommaso d’Aquino. Tommaso fece derivare religio indifferentemente da religare o da relegere perché in entrambi i casi si denotava una relazione con la divinità,[2] e nel definire cosa fosse il cristianesimo individuò due momenti. Il primo era il sacrificio, „quod religio Deo affert, scilicet cultus, et hoc se habet per modum materiae et objecti“.[3] La storia umana mostrava che la „sacrificiorum oblatio“ era una prassi universale.[4] „Ex naturali ratione“ si ricavava che alla divinità era dovuto un signum di debita soggezione, a riconoscimento del suo dominio: „unde sacrificiorum oblatio ad jus naturae pertinet“.[5] Se però la generica prassi cultuale „in communi est de lege naturali“, invece la „determinatio sacrificiorum est ex institutione humana vel divina; et ideo in hoc differunt“.[6] Il secondo momento, la credenza, concerne „id cui affertur, scilicet Deus, cui cultus exhibetur“. In questo secondo caso „dictum est quod Deus est fidei objectum, non solum in quantum credimus Deum, sed in quantum credimus Deo“.[7] Già Agostino in un passo assai pregnante aveva definito naturale la religione cristiana, che poi fu storicamente determinata dall’avvento di Cristo.[8] In seguito all’incarnazione di Cristo la pratica rituale indifferenziata della lex naturae divenne per il cristianesimo non soltanto insufficiente ma impensabile, dacché il culto derivava adesso dalla rivelazione della dottrina.[9] La definizione logica tomista della religio corresse la tesi di Agostino e capovolse l’ordine temporale, perché in primo luogo venne la lex, che garantisce l’ortodossia e indirizza il culto al vero dio. Il fenomeno religioso ruotava sulla coppia religio/sacrificio e sulla coppia religio/superstizione. La categoria universale di religione era pensata attraverso un’esperienza religiosa generale, e una determinata, quale fu il sacrificio di Cristo.[10]

Senza il fondamento nella giustezza della religio, il sacrificium era infatti una cerimonia idolatra. La relazione tra atti sacri interni e esterni costituì per Tommaso il punto essenziale per la definizione di idolatria.[11] L’idolatria era causata o dall’azione del demonio, o dall’azione di passioni sregolate, o, soprattutto, dal rifiuto di conoscere il vero Dio.[12] L’idolatria non poteva dirsi religione, perché non era che pratica di cerimonie, fede nell’azione di sacrifici privi della vera lex.[13] Non era credenza in un’altra religione, ma rifiuto di credere nella vera; era una forma, come aveva detto Paolo, non di religione, ma di ateismo.[14] Tuttavia, i sacrifici erano indispensabili anche alla vera religio, senza i quali sarebbe stata non idolatria, ma irreligiositas, „per contemptum eorum quae pertinent ad divinum cultum“.[15]

Radicale fu quindi giudicata la differenza del cristianesimo dai politeismi dell’antichità e delle religioni delle nazioni extraeuropee allora scoperte; questa discontinuità con le altre religioni permise la costruzione di un’area del sacro la cui verità era identificata dalla sola tradizione biblica.[16]

A questa idea di religione, parallelamente accettata dai luterani, da Bellarmino e da Calvino, si oppose Fausto Sozzini, che dal fermento rinascimentale delle metamorfosi del cristianesimo costruì una nuova religione.[17]

Fausto Sozzini approfondì l’insegnamento dello zio Lelio, che aveva fondato il moderno antitrinitarismo,[18] e fece una mossa ulteriore. Accolta la tesi dell’umanità di Cristo, negò che la sua morte fosse stato un sacrificio espiatorio con il valore di satisfactio. La satisfactio anche in religione implicava il rispetto di regole predeterminate di giustizia. Ma la volontà divina era bontà „per Christum patefactam“, non rispetto delle regole naturali della giustizia.[19] Il senso del sacrificio religioso non ruotava più sul sangue: „Christus pretium fuit non quo liberatio ex parte Dei, qui eam procuravit et ipsum dedit, compararetur nobis, sed quo nos eam reipsa consequeremur“,[20] e infatti „latius patet negotium religionis, quam negotium salutis; et omnia quidem, quae ad salutem pertinent, ad religionem quoque pertinent, sed non contra“.[21] Il sacrificio di Cristo si era consumato in cielo con la resurrezione, senza spargimento di sangue. Non la sua morte aveva costituito la base per la salvezza umana, ma la sua vita moralmente esemplare e dedita all’obbedienza dei precetti divini. Il cristianesimo era privato dei tre architravi della sua teoria del sacro: il trinitarismo, la necessità del sacrificio espiatorio, la fondazione divina del diritto naturale. Caduto il sacro nella sua accezione millenaria, l’indispensabile elemento mitico fu assicurato alla religione sociniana dalla dottrina della resurrezione. La religione di Sozzini fu quindi diversa dai tre monoteismi cristiano, ebraico e musulmano.[22]

La teoria che la remissione dei peccati fosse frutto non del sacrificio espiatorio del Cristo, ma della relazione soprannaturale tra la bontà divina e l’eccezionale autorità morale del Cristo richiese di pensare in modo nuovo la comunità religiosa e le forme di culto. Le cerimonie comunitarie erano indispensabili per il mantenimento della religione, come aveva osservato Agostino: „in nullum nomen religionis, sive verum, sive falsum, coagulari posse homines, nisi aliquo signaculorum, vel sacramentorum visibilium consortio colligerentur“.[23] Lasciare alla sola coscienza individuale la certezza della salvezza basata sulla bontà del Dio avrebbe condotto verso il misticismo, cui Sozzini, come Calvino, era ostile. Il fondamento di quel nesso non poteva dunque che stare nella comunità come istituzione ecclesiale, che era garanzia della verità dell’azione di salvezza del Cristo. Per non cadere nel misticismo, la via da prendere, una volta esclusa quella della chiesa, era quella della setta.

Ma il rapporto tra religio e comunità si rivelò un problema difficile, al punto che una setta sociniana non si costituì.

Una comunità sociniana

La principale comunità sociniana si era formata a Raków alla fine degli anni ’60 del XVI secolo. Proprio nel momento della sua costituzione i sociniani promossero un significativo confronto con le comunità anabattiste degli hutteriti che in quell’epoca si stavano consolidando in Polonia. I sociniani visitarono infatti le comunità morave giusto tra il 1568 e il 1570, quando stavano formando la loro comunità. Quel confronto si tradusse nel rifiuto del modello religioso e sociale anabattista.[24]

Gli anabattisti avevano costruito in Moravia una comunità sulla base del vangelo, delle tradizioni apostoliche e dell’immagine veterotestamentaria del popolo ebreo come popolo eletto da Dio e separato dalle altre società idolatre. Gli hutteriti non avevano rinunciato al dogma della trinità; loro ideale fu il principio della Gelassenheit, pensato come accettazione dell’ordine biblico; si autorappresentavano la propria società come radicalmente separata dal mondo circostante, perché completamente rigenerata negli autentici valori biblici e apostolici; la comunità poggiava sulla comunità dei beni e su una struttura gerarchica fortemente autoritaria.[25] L’Ecclesia minor respinse questo modello fin da subito, già nel 1569 quando al ritorno dei tre suoi esponenti dalla Moravia fu redatto un anonimo „Tractate against the type of community that was recommended to us by one of those sects that emerged out of Jesus’s teaching, called the communists of Moravia [which is] not an apostolic community, as once existed in Jerusalem.“[26] Il trattato criticò l’organizzazione morava e delineò la propria interpretazione della comunità apostolica: non bisognava costruire comunità separate dal mondo, nell’immaginaria ambizione di edificare la pura civitas Dei; la forte struttura gerarchica e la comunità dei beni erano istituzioni svianti, potenzialmente di entusiasti. Paolo non aveva predicato la separazione dal mondo e la comunità dei beni al suo interno, ma la pratica di virtù e carità nel mondo, come azione di testimonianza, di conflitto e di conversione. I catechismi collegarono questa esperienza comunitaria con la dottrina di salvezza e l’immagine della chiesa invisibile parve trovare realizzazione nell’ecclesia esterna. L’elaborazione dei testi di Sozzini sulla chiesa aveva coinciso con la crescita delle polemiche interne alla Ecclesia minor sul rapporto tra religione e politica e sull’atteggiamento che il credente sociniano doveva mantenere nei confronti del potere politico sia nell’ubbidienza da osservare sia sulla partecipazione al potere. La separazione della sfera religiosa, l’area della fede, da quella della vita civile, l’area della ragione naturale, condusse a immaginare non una comunità religiosa scissa dal mondo, ma a riconoscere l’intreccio e insieme la distinzione loro.

Politia ecclesiastica

Il tema della politia ecclesiastica circolò anche nel mondo protestante radicale. Nel 1574 a Cracovia apparve anonimo il „Catechesis et confessio fidei, coetus per Poloniam congregati, in nomine Jesu Christi, Domini nostri crucifixi et resuscitati“, che intendeva difendere gli anabattisti e fu forse redatto da Georg Schomann.[27] Il testo affrontò le questioni della conoscenza di Dio e di Cristo, la giustificazione, la disciplina, la preghiera, il battesimo, la cena. L’opera partì da un assunto seccamente antitrinitario, „Quid est Jesus Christus, filius Dei? Est Homo, Mediator noster apud Deum“, per poi assumere sul rito della cena un atteggiamento assai vicino a quello di Zwingli.[28] La teoria della giustificazione esclude, come ovvio, il ricorso ai meriti e alle opere umane, e poggia sul principio della fede e sulla speranza della salvezza eterna da ottenersi con una condotta moralmente irreprensibile. Da questo discende il tema della disciplina, che è analizzata con il ricorso a testi evangelici per illustrare quale sia la dottrina morale del vero cristiano. Nella composizione della comunità si riconosce importanza ai vescovi, agli anziani, ai diaconi, alle vedove; la disciplina ecclesiastica „est officii singulorum frequens commemoratio et peccantium contra Deum vel proximum primum privata, deinde etiam publica, coram toto coetu, commonefactio, denique pertinacium a communione sanctorum alienatio, ut pudore suffusi convertantur, aut, si id nolint, aeternum damnentur“. Vi è una lunga analisi dei rapporti per così dire civili, tra padroni e servi, padri e figli, cittadini e stato alla luce della religione. Il catechismo escluse che il credente potesse prestare giuramenti e potesse vim vi repellere, che potesse, cioè, appellarsi al diritto naturale. Erano i temi che stavano infiammando il dibattito anabattista e della Ecclesia minor polacca, all’interno della quale si trovarono i sociniani.[29] Schomann ebbe una posizione analoga a quella di Sozzini. Entrambi non contestavano il bisogno di un’autorità politica; ma per entrambi l’autorità, come tale, non poteva essere cristiana. Tra potere politico e religione cristiana non v’era comunicazione. Il cristiano era un suddito, ma non poteva assumere funzioni politiche. Il comportamento da seguire era quello morale dettato dall’esempio di Cristo, non da principi di legge naturale. Nel catechismo si precisò che nella condotta verso il potere pubblico i „subditi“ cristiani dovevano ispirarsi alla lettera di Paolo ai Romani e che dunque, „omnis anima potestatibus supereminentibus subdita est“ poiché „non est enim potestas nisi a Deo“. Al potere bisognava ubbidire non soltanto per timore, ma „propter coscientiam“. Il testo si concluse con la sezione „Œconomia christiana, seu pastoratus domesticus“, che istruiva su come guidare la vita religiosa familiare.

Un anno dopo uscì il „De Politia ecclesiastica“ del luterano Wilhelm Zepper, che già nel titolo fece riferimento alla Chiesa primitiva,[30] ma per sostenere la subordinazione all’autorità ecclesiastica e polemizzare „cum seditiosis et Enthusiasticis illis ecclesiae turbatoribus, Anabaptistis inquam, utriusque hujus status et ordinis ministerium in regni Christi, vel ecclesiae oeconomiam elevare, et tantum non subvertere animus sit“.[31] Le „res ecclesiasticae“ erano due, „doctrina et vita“.[32] La vita della chiesa, al di fuori della quale, come per l’arca di Noè, non c’era salvezza, rispondeva a tre punti principali, la definizione in cosa e in quali mezzi consistesse l’amministrazione ecclesiastica, di quali persone e di quali compiti avesse bisogno. La dottrina si divideva „in legem et Evangelium“ e su questa base si costruiva la chiesa, „patria et respublica“, pensata in termini ciceroniani,[33] nella quale grande importanza era data alla catechizzazione dei ragazzi e alle cerimonie. Di queste, due erano state istituite da Dio, cioè i sacramenti del battesimo e della cena;[34] le altre dagli uomini, e dunque erano accessorie, adiaphora.[35]

Chiesa e culto in Sozzini

Dei temi sottolineati da Zepper e, sebbene in maniera diversa, da Schmoller, Sozzini mise in luce nei suoi testi sulla chiesa soprattutto l’elemento dottrinario, poco spazio concedendo alla gubernatio e pressocché nulla alle cerimonie comunitarie.[36] La vita religiosa si svolgeva non nei riti e nella teologia, ma nella vita morale individuale, a imitazione di Cristo sulla scorta della lettura del Nuovo testamento.[37] Sozzini era consapevole che dalla considerazione della realtà del cristianesimo moderno si sarebbe potuto concludere che „neminem hodie esse qui in Christum credat“, e che a dominare fosse la tesi „falsam et perniciosam“ di poter salvarsi soltanto per il timore di Dio e senza la sua conoscenza.[38] C’era una tale „confusione“ da poter ritenere a buon diritto che „hodie“ la chiesa apostolica di Cristo si fosse persa. Ma a credere che la diversità dei tempi avesse condotto all’impossibilità di avere la fede apostolica primitiva si rischiava di fare la fine di Pucci, che tragicamente era tornato al cattolicesimo.[39]

Tuttavia, diceva Sozzini, „mihi aliter videtur“. Pur nella crisi religiosa in cui versava la società europea, nulla vietava „hodie instaurare Apostolica Ecclesia …, sine speciali mandato“.[40] La vera differenza non stava tra il tempo apostolico e quello odierno, ma tra la chiesa del Nuovo testamento e quella dell’Antico testamento, che, come tutte le altre religioni, aveva permesso lo sviluppo dell’idolatria.[41] Il fatto indubitabile che fossero venuti a mancare profezia e miracoli, i segni che avevano resa certa la verità della chiesa apostolica, non implicava che non si potesse creare di nuovo la vera ecclesia.[42] Proprio come era successo quando l’assetto ebraico ecclesiastico tradizionale scomparve e venne sostituito da quello apostolico, nell’Europa moderna per edificare la nuova chiesa occorrevano ancora la medesima dottrina e la medesima vita, la „ratio(nem) … qua primum aedificata fuit“.[43] I testi evangelici erano stati pensati e scritti in modo chiaro, e la filologia rinascimentale permetteva al „cunctus populus“ di cogliere la verità religiosa. Le fonti cui attingere la conoscenza della vita e dell’insegnamento di Cristo erano alla portata di tutti: quella confusione dipendeva non dall’ignoranza o oscurità, ma dalle false e interessate interpretazioni loro. Per questa ragione nella chiesa non si doveva concedere autorità indiscussa a un individuo solo e non si poteva mettere a tacere la generale funzione profetica di discutere la parola divina. La gerarchia „in divinis oraculis“ non doveva essere composta da individui ordinati a tali funzioni, ma vi doveva essere libertà di accesso.[44] Era ancora valido l’esempio della chiesa primitiva,[45] la quale ebbe il dono della profezia e permise che si levassero più voci. La pluralità delle voci era infatti necessaria in un momento in cui, come quello attuale, il dono divino della profezia era scomparso.

Tornare al modello apostolico fu per Sozzini ripensare una condizione culturale e sociale. Al trauma della fine delle religioni politeiste e ebraica, gli uomini avevano dato risposta con la credenza cristiana.[46] Quell’esperienza religiosa si rivelava vitale pure nella crisi europea, perché la sua verità generava una comunità: „Unde semper vera Christi religio (quae ubi est, ibi veram quoque Christi Ecclesiam esse oportet) peti posset.“[47] Nella chiesa apostolica l’evangelizzazione fu lecita a coloro che „extra ecclesiam erant“; pertanto era lecita anche ai moderni cristiani che avevano a disposizione il corpus degli scritti evangelici. Per quel che concerneva „ad Ecclesiam constituendam“ era sufficiente „doctrinam tenendam ac profitendam, quae ad salutem aeternam conciliandam satis sit, omnibus est obvia, qui modo probitate mentis sint praediti, et a sincero pietatis studio nequaquam alieni“.[48] Chi conosce l’autentica dottrina di salvezza „in vera Christi ecclesia est“. La „vera Ecclesia“ è costituita da coloro che condividono la „salutarem Christi doctrinam“, i quali „consequenter“ riconoscono immediatamente i credenti che hanno „similiter salutarem Christianam doctrinam“. Sozzini negò che vi fosse „consequutionem“ tra il credere nella vera dottrina religiosa di salvezza e il controllo sull’appartenenza alla chiesa e sul rispetto di norme e riti determinati. Era una questione inutile e empia chiedersi „Quid enim, quod ad cognitionem attinet, illi deest potest, ad salutem aeternam necessarium, qui salutarem Christi doctrinam teneat?“[49]

L’individualismo sociniano respinse sia la tesi della generazione divina del Cristo, „sanae rationi penitus repugnans“,[50] sia l’entusiasmo anabattista: poggiò sulla critica filologica, che garantiva la certezza di poter ricostituire l’eterna vera dottrina[51] e la externa Christi Ecclesia.[52] La nascita della nuova chiesa[53] e la conservazione della sua vita ecclesiale ruotavano sulla dinamica tra chiesa „aspectabilis“, di struttura storica e istituzionale, possibile o in un unico corpo, ovvero in varie chiese; e „inaspectabilis“, costituita da un gruppo di individui „qui Christo confidunt: hoc est, qui vera ac justificante fide in Christum praediti sunt, et per universum orbem sparsi“.[54]

A questo problema Sozzini collegò la questione del culto e della comunità. I pericoli che Sozzini vide nelle chiese cattolica e calvinista erano l’intolleranza e la costituzione di una tradizione che, fattasi differente e opposta a quella originaria della chiesa apostolica, sfuggiva al controllo della ‚sana ragione‘ (così come vi sfuggivano le sette di entusiasti e il misticismo). Rievocò la sua polemica con l’antitrinitario Ferencz Dávid che aveva negato la liceità dell’„invocatio et adoratio seu cultus divinus“. L’invocazione a Cristo era invece legittima perché Cristo aveva avuto sì natura esclusivamente umana, ma il potere divino che gli era stato riconosciuto lo rendeva oggetto di culto.[55] Era una delle forme della vita morale, che tramite la lettura dei testi sacri si collegava all’imitatio Christi: „necessario sequitur, ut, si signa et miracula, cum iis conjuncta qui Jesu Christi nomini ab initio fidem habuerunt, nos monent, istiusmodi homines verum Dei templum fuisse, Dei verum templum hodie quoque sint ii, qui Jesu Christi nomini fidem similiter habent, licet signis istis et miraculis sint destituti“.[56] Tuttavia questo culto era un atto interiore, non una cerimonia collettiva, le cui regole si potessero imporre alla coscienza individuale.

Nel novembre 1603 con l’aiuto di Piotr Statorius Sozzini cominciò la stesura di un catechismo, che fu interrotta dalla morte nel marzo 1604. Il „Christianae religionis institutio“,[57] esposta in forma di domanda e risposta, confermò che la dottrina di salvezza aveva radice nella spiritualità individuale e consisteva nell’integrale umanità di Cristo[58] e nel rifiuto di considerare la sua morte come il sacrificio religioso da cui far scaturire la satisfactio salvifica. Accordare le dinamiche del soggettivismo e del comunitarismo fu l’impossibile obiettivo del catechismo sociniano.

I catechismi sociniani

Il catechismo di Sozzini fu completato da un gruppo di suoi seguaci, Valentin Schmalz, Hieronimus Moscorovius e Johannes Völkel, i quali nel nodo tra comunità e libertà individuale allargarono l’attenzione per la prima, ma conservarono alla seconda il rilievo preponderante che vi aveva riconosciuto Fausto Sozzini.

Il „Catechesis Ecclesiarum quae in Regno Poloniae, et Magno Ducatu Lithuaniae, et aliis ad istud regnum pertinentibus Provinciis, affirmant, neminem alium, praeter Patrem Domini nostri Jesu Christi, esse illum unum Deum Israelis: hominem autem illum Jesum Nazarenum, qui ex Virgine natus est, nec alium, praeter aut ante ipsum, Dei Filium unigenitum, et agnoscunt et confitentur“ apparve in polacco nel 1605,[59] nel 1608 fu tradotto in tedesco da Schmalz,[60] fu pubblicato nel 1609 in latino da Moscorovius a Raków e dedicato a Giacomo I d’Inghilterra.[61] Nel 1659, l’anno dopo l’espulsione dei sociniani dalla Polonia, apparve il „Catechesis Ecclesiarum Polonicarum, unum Deum Patrem, illiusque Filium unigenitum, una cum Spirito Sancto, ex S. Scriptura a confitentium, anno 1609 in luce emissa“, contenente considerevoli variazioni di mano di Johan Crell, Jonas Schlichting e Martin Ruarus. Questa edizione fu poi ripubblicata a cura di Andreas Wiszowaty, nipote di Sozzini, e Joachim Stegmann il giovane nel 1684, con ulteriori note ma senza che il testo del 1659 variasse.[62]

Fedeli alla lezione individualista di Sozzini, la prima e l’ultima edizione non presentano significativi cambiamenti nella politia eclesiastica. Invece nel catechismo del 1659 variò la definizione della morte di Cristo[63] e fu ripresa la tesi della satisfactio, che, come si è visto, era stata negata da Sozzini. Il socinianesimo non era una setta, ma era cambiato.

Nel catechismo del 1609 la teoria di Sozzini era mantenuta senza alcuna correzione.[64] Al perché fosse stato necessario che Cristo soffrisse tanti mali e morisse di morte ingiuriosa si rispondeva per il fatto che coloro che sono salvati da Cristo sono in massima parte sottoposti alle medesime afflizioni e morte.[65] La dottrina della satisfactio, che afferma che la morte di Cristo ha meritato per gli uomini la salvezza, era contraria alla sana ragione e alle scritture; era falsa, sbagliata e pericolosa, perché induceva a trascurare i doveri etici, e toglieva a Dio il diritto di punire[66] perché negava la gratuitas della remissione dei peccati agli uomini; è vero che giustizia e misericordia sono leggi di natura, ma Dio conosceva soltanto la volontà buona, e perciò non eliminava i peccati per rispettare le leggi della giustizia. La remissione dei peccati non era opera della satisfactio.[67] Nel catechismo del 1609 la morte di Cristo non ha nulla di simbolico; il centro della dottrina resta nella resurrezione.

Il catechismo di Moscorovius apre invece uno squarcio sull’amministrazione ecclesiastica più dettagliato. Conserva il principio di non dare peso alle forme esteriori e alle cerimonie,[68] ma dopo aver descritto il regno di Cristo si chiede „qui sit ipsius populus“.[69] La Chiesa è visibile e invisibile. Per conoscere la prima è sufficiente conoscere la dottrina di salvezza; occorre però definire il suo ordine interno, che consiste „in officiis personarum, quibus Ecclesia Christi constat, et accurata animadversione et observatione, ut singulae personae officiis suis fungantur“.[70] Anche per Moscorovius la chiesa apostolica era irripetibile, giacché erano scomparsi gli apostoli e i profeti, tuttavia, come aveva sostenuto Sozzini, la loro dottrina si era conservata „abunde“ perché potesse nascere una moderna chiesa vera. Nella chiesa c’era distinzione tra chi governa e chi ubbidisce; la gerarchia era composta da apostoli, profeti, evangelizzatori, dottori, pastori, vescovi, anziani e diaconi. Compito dei giovani e degli adepti era di ascoltare la gerarchia „in his omnibus quae e verbo Dei praescribunt“.[71] La correzione era privata e pubblica, e alla gerarchia incombeva il compito di „alios ad eadem illa servanda subinde exsuscitare, ecclesiam inspicere, singulos observare“.[72] La chiesa invisibile era composta da coloro che per la loro vera fede „Christo confidunt, et illi obtemperant, proptereaque ipsius corpus existunt“.[73] Invisibili, costituivano una comunità per il legame dello spirito.

Si è detto che del catechismo di Moscorovius apparve una versione ampliata nel 1659 e una ulteriormente annotata nel 1684. Nella prefazione a quest’ultima, Wissowatius e Stegmann sostennero che il catechismo sociniano esponeva idee, ma non intendeva opprimere nessuno: non era un vincolo imposto alle coscienze, ma doveva produrre il congruo effetto della fede viva e della esemplare condotta morale.[74] Questa era la regola aurea della libertà di profezia come era stata insegnata dalla chiesa apostolica, che aveva mostrato che a nessuno andava riconosciuto il dominio sulla coscienza altrui. Come aveva detto Sozzini, gli apostoli e i profeti del primo cristianesimo erano scomparsi, ma in quel vuoto non si poteva rivendicare l’ispirazione divina e dunque gli entusiasti sbagliavano. Non restava che la sana ragione.

Tuttavia nell’ultima versione diversa è la rappresentazione della morte di Cristo, che acquista valore simbolico. La necessità della sua morte sulla croce fu richiesta „because Christ, by the divine will and purpose, suffered for our sins, and underwent a bloody death as an expiatory sacrifice“.[75] Il sangue servì a confermare il nuovo patto.[76] „For Christ delivered himself to death for our sins, in order that he might claim and emancipate us for himself; and by his stripes we have been healed.“[77] È vero che nessun passaggio delle scritture, nemmeno il più ambiguo, può legittimare l’idea di una satisfactio richiesta e ottenuta da Dio tramite Cristo. Tuttavia, „in the same sense also Christ has borne away from us all our sins, and the penalties of them, just as if he had conveyed them to a far distant region“, come era stato detto da Giovanni e da Paolo.[78]

Wissowatius non soltanto difese questa interpretazione, che cioè la morte di Cristo sulla croce fu il fondamento della predicazione della penitenza e che la penitenza tolse i peccati, ma sorprendentemente affermò che era stata fatta propria da Grozio, assai presente nella sua annotazione al catechismo.[79] Secondo Wissowatius, Grozio aveva avanzato la tesi della universale necessità del sacrificio religioso nella storia umana perché aveva accettato le tesi della „Responsio ad librum Hugonis Grotii, quem de satisfactione Christi scripsit“ (1623) di Johan Crell, che aveva difeso Fausto Sozzini contro Grozio. Ma Wissowatius nel fare di Grozio un esponente del secondo socinianesimo capovolse la realtà. Grozio infatti nel 1617 nella „Defensio Fidei catholicae. De Satisfactione Christi adversus Faustum Socinum Senensem“[80] aveva confutato l’intera interpretazione della satisfactio, così come era stata esposta da Sozzini nel „De Jesu Christo Servatore“. Grozio fu certamente vicino al socinianesimo a proposito dell’antitrinitarismo,[81] e anche della politia ecclesiastica, come appare nella „Dissertatio de coenae administratione“, nella quale con riferimento alla chiesa apostolica riconobbe nel presente a uomini e donne il diritto di amministrare i sacramenti, limitandolo a un generico stato di necessità.[82] Tuttavia, mai fece propria la tesi sociniana di un cristianesimo basato sull’assenza di sacrificio espiatorio. Anzi, Grozio non rispose alla „Responsio“ di Crell, non perché il sociniano lo avesse convinto, ma al contrario perché aveva saputo che Crell non avrebbe scritto la propria confutazione se avesse letto la sezione „de Poenarum communicatione“ del „De Jure belli ac Pacis“.[83] In quella ammissione Grozio aveva con ragione visto l’accettazione sociniana della propria tesi. Furono perciò i sociniani a seguire Grozio, non il contrario.

Wissowatius aveva comunque fatto emergere il punto centrale della questione. A Grozio si dovette la ridefinizione del sacrificio di Cristo del secondo socinianesimo.[84]

I catechismi tracciano quindi la parabola del socinianesimo secentesco. Il quale non conservò la teoria religiosa di Sozzini, ma fu fermo nel rinunciare alle cerimonie nella vita religiosa, a eccezione del battesimo e della cena, ripensate nel solco luterano.[85] Il meticoloso e assai ostile commentario del luterano George Œder alla „Politia ecclesiastica“ del sociniano Petrus Morscovius,[86] apparso quando tra la fine del ’600 e inizio ’700 molti sociniani erano confluiti nel luteranesimo, giudicò appunto che la debolezza del socinianesimo stesse nel suo eccesso di razionalità.[87]

Il problema fu discusso con attenzione dal Mosheim.[88] Il socinianesimo per lui era nato dall’estremismo di quei cristiani che erano stati combattuti da cattolici, luterani e calvinisti, e che avevano identificato la religione con la virtù morale. Caratteristica del socinianesimo fu di nascere nel mondo delle élites e non nel popolo, di riconoscere e non contestare il benessere sociale, di avere costruito una religione basata sulla ragione, e non su credenze e entusiasmo popolari. I sociniani si erano distaccati da anabattisti e moravi, che volevano la comunità dei beni e l’eguaglianza sociale, ma non riuscirono a costruire una setta perché mancarono di stabilità e coesione interna, dal momento che la loro dottrina se non aveva l’entusiasmo fanatico, nemmeno aveva la forza della religione fattasi istituzione.[89] Il catechismo di Raków, secondo lo storico luterano, troppo poco diceva sul governo ecclesiastico e sul culto. La religione sociniana era divenuta un’eresia del cristianesimo, senza aver costruito una setta. Fu, questa, la sua eccezionalità e la sua debolezza.

La comunità sociniana e la sua eco in Locke

La diffusione del socinianesimo a fine XVII secolo fu ancorata alla circolazione di un’eresia centrata ormai sull’antitrinitarismo. Tuttavia, la pur esile traccia dei catechismi potrebbe mostrare che la tradizione comunitaria sociniana fu forse ripresa per altre vie. Il fondamento religioso di una comunità basata non sul controllo teologico di una credenza, ma sulla pratica della vita morale fu un lievito che animò molte posizioni. Un’eco si può scorgere nella rappresentazione che John Locke fece in „Atlantis“ (1676–1679) delle comunità dei coloni inglesi in America. Anche di Locke si disse che fosse sociniano. Pure per lui la lettura dei testi sacri poggiava sulla ragione, che individuava gli articoli fondamentali del cristianesimo, tra i quali non figurava la trinità.[90] Tra ragione e fede poteva esserci un accordo che prendeva vita nella condotta morale individuale e comunitaria. Locke ritrovò questa vita religiosa e morale tra i coloni inglesi nel Nord America. In quelle comunità, da lui collocate in „Eutopia“, aveva importanza un doppio controllo morale: quello che il tithingman esercitava presso ogni gruppo di dieci famiglie, e quello orizzontale, che tutti esercitavano su tutti.[91] Questa era la legge del costume, così come era stata analizzata nell’„Essay Concerning Human Understanding“. La legge dell’opinione che Locke vi teorizzò non fu quella della tradizione religiosa; ne fu anzi la contestazione. Fu l’affermazione critica e razionale di un’autonoma legge etica, intorno alla quale si saldava una comunità religiosa e civile. „Thus, every man being a watch upon his neighbour, faults will be prevented, which is better than they should be punished.“[92] In questa descrizione del funzionamento della legge dell’opinione sembra di sentire il principio del catechismo di Raków che per assicurare la coesione interna chiedeva „in officiis personarum, quibus Ecclesia Christi constat, et accurata animadversione et observatione, ut singulae personae officiis suis fungantur“. Le comunità americane, come quella sociniana, avevano un fondamento religioso che si dispiegava in una indipendente condotta etica, che tuttavia non le rendeva esterne alla società. Ma in Locke la comunità non soltanto intrecciava la vita religiosa con quella civile; la sua base religiosa assicurava la sua integrazione nello stato politico del quale condivideva il fondamento religioso, perché soltanto in tal modo si garantiva la circolazione della fiducia tra i cittadini. Tuttavia Locke limitò la piena libertà di coscienza del cittadino che era stata difesa dal „Vindiciae pro religionis libertate“ di Johann Crell.[93] Nel testo di Crell si trova una delle radici del diritto all’autonomia rivendicato dalle comunità, che in nome della distinzione di religione e politica affermarono il diritto alla propria esistenza anche dentro uno Stato del quale non condividevano il fondamento della sovranità.[94] Oltre che nella dottrina antitrinitaria, fu nelle forme pratiche di vita comunitaria e nella riflessione su tolleranza e autonomia che continuò a risuonare la voce sociniana.

Soltanto attraverso la relazione tra il culto e la dottrina si comprende la storia del socinianesimo. Fa emergere così la mancata sua natura di setta, che fu la ragione della sua scomparsa nel secondo seicento perché molti cercarono riparo in altre comunità; d’altro lato pone la non irrilevante questione di perché esso abbia ripreso vigore a fine ’700. Priestley, suscitando lo sconcerto di Edward Gibbon, diede al socinianesimo quella forma di setta che, come abbiamo visto, fino ad allora era mancata.

Published Online: 2022-11-18
Published in Print: 2022-11-15

© 2022 bei den Autorinnen und den Autoren, publiziert von De Gruyter.

Dieses Werk ist lizensiert unter einer Creative Commons Namensnennung - Nicht-kommerziell - Keine Bearbeitung 4.0 International Lizenz.

Articles in the same Issue

  1. Titelseiten
  2. Jahresbericht des DHI Rom 2021
  3. Themenschwerpunkt Early Modern Antitrinitarianism and Italian Culture. Interdisciplinary Perspectives / Antitrinitarismo della prima età moderna e cultura italiana. Prospettive interdisciplinari herausgegeben von Riccarda Suitner
  4. Antitrinitarismo della prima età moderna e cultura italiana
  5. Italian Nicodemites amidst Radicals and Antitrinitarians
  6. Melanchthon and Servet
  7. Camillo Renato tra stati italiani e Grigioni
  8. Heterogeneous religion: imperfect or braided?
  9. La religione sociniana
  10. Arminiani e sociniani nel Seicento: rifiuto o reinterpretazione del cristianesimo sacrificale?
  11. Artikel
  12. Das italienische Notariat und das „Hlotharii capitulare Papiense“ von 832
  13. I giudici al servizio della corte imperiale nell’Italia delle città (secolo XII)
  14. Nascita dei Comuni e memoria di Roma: un legame da riscoprire
  15. Verfehlungen und Strafen
  16. La nobiltà di Terraferma tra Venezia e le corti europee
  17. Scipione Gonzaga, Fürst von Bozzolo, kaiserlicher Gesandter in Rom 1634–1641
  18. Il caso delle prelature personali dei Genovesi nella Roma tardo-barocca
  19. In the Wings
  20. Strategie di divulgazione scientifica e nation building nel primo Ottocento
  21. Una „razza mediterranea“?
  22. Zur Geschichte der italienisch-faschistischen Division Monterosa im deutsch besetzten Italien 1944–1945
  23. Forum
  24. La ricerca sulle fonti e le sue sfide
  25. Die toskanische Weimar-Fraktion
  26. Globale Musikgeschichte – der lange Weg
  27. Tagungen des Instituts
  28. Il medioevo e l’Italia fascista: al di là della „romanità“/The Middle Ages and Fascist Italy: Beyond „Romanità“
  29. Making Saints in a Glocal Religion. Practices of Holiness in Early Modern Catholicism
  30. War and Genocide, Reconstruction and Change. The Global Pontificate of Pius XII, 1939–1958
  31. The Return of Looted Artefacts since 1945. Post-fascist and post-colonial restitution in comparative perspective
  32. Circolo Medievistico Romano
  33. Circolo Medievistico Romano 2021
  34. Nachruf
  35. Klaus Voigt (1938–2021)
  36. Rezensionen
  37. Leitrezension
  38. Die Geburt der Politik aus dem Geist des Humanismus
  39. Sammelrezensionen
  40. Es geht auch ohne Karl den Großen!
  41. „Roma capitale“
  42. Allgemein, Mittelalter, Frühe Neuzeit, 19.–20. Jahrhundert
  43. Verzeichnis der Rezensentinnen und Rezensenten
  44. Register der in den Rezensionen genannten Autorinnen und Autoren
Downloaded on 9.9.2025 from https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/qufiab-2022-0007/html
Scroll to top button