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Il medioevo e l’Italia fascista: al di là della „romanità“/The Middle Ages and Fascist Italy: Beyond „Romanità“

Deutsches Historisches Institut in Rom, Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg, Max-Planck-Institut für ethnologische Forschung Halle
  • Marina Bernardi EMAIL logo
Published/Copyright: November 18, 2022

7.–8.6.2021

Il Convegno internazionale è stato organizzato da Martin Baumeister (Roma) con Romedio Schmitz Esser (Heidelberg) e Markus Wurzer (Halle). Si è tenuto online in quattro sessioni con relazioni e discussioni sulla questione del ruolo, della rappresentazione e dell’ideologia del medioevo nell’Italia fascista, e del suo impatto sull’immaginario del Ventennio.

„È impossibile parlare di Medioevo senza parlare di un dialogo fra le temporalità e di rintracciarne la storiografia“: così ha introdotto la conferenza Martin Baumeister. Lo stesso Benito Mussolini costituisce un esempio del rapido mutamento della fortuna storiografica del medioevo in Italia: mentre suo fratello fu chiamato Arnaldo in omaggio ad Arnaldo da Brescia, figura di riferimento per i neoghibellini del Risorgimento, Mussolini non fa nessuna menzione nelle sue „Opere Omnia“ né del fratello, né del religioso medievale. Dall’interesse risorgimentale per l’Italia dei Comuni e dall’opposizione fra guelfi e ghibellini, la fortuna italiana del medioevo vacilla all’inizio del Novecento fino ai Patti Lateranensi che permettono l’emergere di nuovi discorsi. Che sia per sostenere il rapporto con le istituzioni dell’antica Roma, per appoggiare un discorso sulla sorte della Nazione o sulla componente religiosa del paese, il medioevo fa parte integrante delle rappresentazioni e degli studi eseguiti durante il Ventennio. La conferenza è tornata su più aspetti della storiografia e dell’immaginario medievale del periodo fascista a Roma, in Italia, ma anche in varie parti del mondo come la Spagna, la Germania o anche gli Stati Uniti.

La conferenza è iniziata con un intervento di Stefano Cavazza (Bologna) che ha evocato le celebrazioni popolari e la questione dei regionalismi, da ricollocare nel fenomeno europeo della riscoperta del folklore. La dimensione ideologica ed economica di queste celebrazioni ha fatto sì che il regime fascista le abbia incorporate nella sua politica del dopolavoro: le componenti locali e regionali sono state intese sia come ponti verso la costruzione della nazione, sia come opportunità per il turismo, facendo promozione del carattere „tipico“ dei luoghi, di queste „piccole patrie“.

In seguito, Davide Iacono (Roma) ha approfondito il fenomeno del condottierismo durante il periodo fascista: lungi dal rigettare totalmente il medioevo per favorire l’Antichità classica, il regime ha usato l’eredità dei condottieri per sostanziare l’immagine guerriera di Mussolini, con un immaginario misto tra medioevo e Rinascimento. L’iconografia marziale del Duce propone riferimenti sfumati fra il cavaliere medievale e il condottiero rinascimentale. Prima della marcia su Roma, le origini romagnole di Mussolini furono esaltate, paragonandolo a Sigismondo Malatesta, o Niccolò Picinnino, portando avanti una tradizione militare italiana che trova le sue origini nell’antica Roma.

Andreas Rehberg (Roma) ha proposto un intervento sull’araldica nella Roma fascista, portando alla luce la storia poco conosciuta dei simboli incorporati negli stemmi ed emblemi del Ventennio, sia nella capitale che nelle colonie. Questo vocabolario dell’araldica medievale è stato mischiato con elementi dell’antica Roma, come i fasci littori o la corona d’alloro, oppure ha conservato un’impronta decisamente tradizionale come gli stemmi neomedievali posti sulla facciata dell’ospedale Santo Spirito in Sassia.

Per concludere questa prima sessione, Guido Zucconi (Venezia) ha evidenziato il ruolo dell’architettura nel processo di costruzione nazionale in Italia, in particolare nella prospettiva dell’unificazione. L’epica dei Liberi Comuni ha provveduto sia un’ideale politico che uno stile architettonico in vena neomedievale. In questo contesto la ricostruzione dei palazzi civici e i loro dintorni, ma anche delle piazze medievali, è stata posta al centro del dibattito urbanistico italiano.

Durante la seconda sessione gli interventi si sono concentrati sul posto degli studi medievali nell’era fascista, cominciando con un intervento di Marino Zabbia (Torino) che ha parlato dei suoi casi di studio in Friuli, Trieste ed Istria. In queste terre di confine, la promozione degli studi medievali è stata strettamente legata alle questioni di identità: dall’irredentismo prima della Prima guerra mondiale – inteso come una barriera sia contro la minaccia tedesca che la penetrazione di componenti slavi – fino all’affermazione del carattere italiano di queste terre contro gli intenti di annessione da parte della Jugoslavia alla fine della Seconda guerra mondiale.

Tommaso Zerbi (Edinburgo) ha evocato il neomedievalismo italiano durante i cinquant’anni che hanno separato il periodo di declino dell’esperienza neomedievale ereditata da Boito nel primo decennio del Novecento, fino alla letteratura revivalista degli anni 1960. Questi anni hanno consacrato la definizione del neomedievalismo italiano, influenzato dallo spettro del classicismo, quello del modernismo e quello delle teorie del restauro architettonico.

Cesare Crova (Roma) ha scelto di intervenire sulla figura di Pietro Fedele. Dalla stesura della sua tesi sul ducato di Gaeta fino alla promozione dell’alfabetizzazione delle classe inferiori della società contadina, Fedele è diventato una figura centrale del panorama intellettuale del regime, succedendo a Giuseppe Gentile e realizzando la „controriforma Gentile“. Fu uno dei sovrintendenti più attivi, e il padre del restauro storico che si consoliderà poi nel dopoguerra. Presidente dell’Istituto Storico italiano, poi diventato „per il Medioevo“, il suo itinerario di ricerca è iniziato da e a Gaeta.

Per continuare ad esplorare la questione degli studiosi di medievistica e della loro percezione della crisi culturale e politica in atto durante il Ventennio, Margherita Angelini (Padova) è intervenuta sull’ambivalenza delle cattedre universitarie di studi medievali che coprivano anche il periodo moderno. Quest’ambivalenza è uno strumento utile per capire il panorama intellettuale del Ventennio. Infatti gli stessi professori studiavano e insegnavano sia la storia del medioevo (un lungo medioevo, fino al Cinquecento) che i temi inerenti alla storia contemporanea del paese, soprattutto del Risorgimento. Si deve anche tenere in considerazione che la connessione con gli studiosi in altri paesi non è mai stata persa, e che il rinnovamento della storiografia nel dopoguerra non si può capire senza fare una storia degli studi sui tempi lunghi, al di là del Ventennio.

In seguito Martin Baumeister ha orientato il dibattito sulla questione della pianificazione urbana della capitale come costruzione di un paesaggio simbolico e politico. Gli strumenti di propaganda hanno influenzato gli studi e creato una nuova sfera pubblica in cui Mussolini è apparso come l’architetto della nuova Roma. Il Duce ha volontariamente mantenuto la confusione sul concetto della Romanità che comprendeva varie idee e scopi: sia la Romanità come richiamo permanente alle radici antiche, che quella intesa come rinascita politica e simbolica, attraverso le diverse correnti dell’inizio del Novecento come il Futurismo o l’antistoricismo.

Durante il dibattito, Guido Zucconi ha approfondito la questione della continuità e rottura riguardo alla politica urbanistica del Ventennio. In effetti l’era fascista inaugura un nuovo uso della città come grande scenario, come grande paesaggio simbolico e politico, ma non si può eludere la continuità degli interventi distruttivi sul tessuto edilizio di Roma, alla quale si aggiunge una sostanziale continuità del personale tecnico-amministrativo degli uffici. La grande novità del periodo è senz’altro la radicalizzazione della distruzione creativa della città messa in scena con un nuovo assetto mediatico propagandistico. Queste immagini della città modificata hanno maggiormente influenzato gli studi sul Ventennio, in particolar modo gli studi culturalisti di provenienza anglossassone degli anni Novanta in poi, portando a minimizzare i fattori di continuità nelle politiche edilizie romane sui tempi lunghi.

La sessione si è chiusa con una conferenza di Tommaso di Carpegna Falconieri (Urbino) che ha interrogato il concetto di medievalismo come „il Medioevo dopo il Medioevo“, una rappresentazione del periodo diversa dal classicismo, inventata a posteriori nel mondo moderno e contemporaneo. Il concetto entra in relazione con delle realtà storiche e politiche che non hanno rapporti ontologici con il passato vissuto davvero. C’è una chiara rottura fra la storia medievale e il medievalismo, che si poteva considerare inizialmente come equivalente al romanticismo fino ad arrivare ad essere oggi una categoria culturale e un campo attivo degli studi in varie discipline scientifiche. Il concetto ci invita a metterlo in prospettiva con tanti altri concetti come il nazionalismo, il fascismo, il colonialismo etc. e farne una histoire croisée in vari territori e culture.

La terza sessione si è concentrata sui rapporti fra il fascismo, il medievalismo e la chiesa cattolica. Jan Nelis (Bruxelles) l’ha inaugurata con un contributo sulla relazione fra due personaggi appartenenti a due contesti ben distinti: Cola di Rienzo e Benito Mussolini. La „religione politica“ è la chiave della sua indagine, un concetto necessario per capire la ricezione dell’antica Roma sia nell’epoca di Cola di Rienzo che durante il Ventennio. Questa chiave di lettura permette di tracciare parallele fra queste due figure di tribuni.

Riccardo Facchini ha evocato la continuità tra il medievalismo fascista e il medievalismo neofascista negli anni ‘70 e ‘80. Il medievalismo neofascista tende ad affezionarsi a tre categorie tematiche: l’idea di tradizione, l’idea di cavalleria e l’idea di crociata. Il concetto di tradizione riveste una dimensione metastorica che va ad accomunare tutte le culture antiche premoderne molto distanti fra loro (celtica, druidica, pagana romana o medievale). La tradizione è il concetto chiave del neofascismo come della cultura giovanile della destra italiana del dopoguerra: una „realtà superstorica e normativa“. L’idea di cavalleria consacra il „soldato politico“ e ispira la destra evoliana. Il cavaliere è visto come restauratore: ama l’ordine gerarchico della cristianità. Infine il mito della crociata serviva nella cultura neofascista ad infrangere quella securitas borghese che aveva penetrato la destra. La crociata si fa „categoria dello spirito“ e puo diventare antisovietica, anticomunista o anti-islamica dopo l’11 settembre 2001.

Roberto Rusconi (Roma) ha evidenziato il ruolo importante dell’immagine di San Francesco durante il Ventennio attraverso lo spoglio dei cinegiornali Luce. Un filmato del 1933 mostra i frati francescani che si esibiscono nel saluto romano insieme ad esponenti del partito fascista. Un secondo filmato del 1937 presenta delle giovani italiane che si esibiscono nel saluto romano durante la processione di Assisi. Un terzo filmato del 1939 illustra la proclamazione di San Francesco e Caterina d’Assisi patroni d’Italia nella basilica superiore di Assisi. Per i 700 anni della morta di San Francesco si radunano rappresentanti con i gonfaloni di tutti i comuni d’Italia e sfila un grande corteo musicale in vesti medievali. Il settecentenario francescano del 1926 apre la strada alla conciliazione tra Stato e chiesa, con un ruolo centrale svolto da Arnaldo Fortini, podestà e sindaco di Assisi. Ha drasticamente medievalizzato la città in questo „formato cartolina“ che ha suscitato la collera degli storici dell’arte. Il 4 ottobre 1926 è proclamato festa nazionale e la grande sala municipale è chiamata ancora ora „Sala della conciliazione“. Il mito di Francesco si espande durante il Ventennio, per diventare „il più italiano dei santi e il più santo degli italiani“ secondo la formula di dannunziana.

Paola S. Salvatori (Pisa) ha chiuso la sessione con un intervento sulle origini politiche e culturali della „nostalgia di Dante“. Dante diventa il modello di italiano archetipico, il punto di riferimento e punto di arrivo dell’italiano sorto dal processo rinascimentale e risorgimentale. L’attenzione per il medioevo si trasforma in attenzione per il Risorgimento durante il fascismo. Dante diventa la figura dell’italiano perenne che trova già un terreno fertile durante il Risorgimento. Questa nostalgia dantesca di lunga durata si sovrappone al processo di unificazione dello Stato unitario italiano e il medioevo diventa il costruttore di una contemporaneità. Mazzini esporta già Dante dalla sua cultura e il suo secolo: non guelfo, non ghibellino, sorge come superiore a queste categorie, una sorta di precursore dell’Italia contemporanea. Il mito dantesco è diffuso da Antonio Salandra, Sydney Sonnino o dal giovane Benito Mussolini che lo invoca nei suoi scritti del periodo trentino. La sua nostalgia di Dante si intreccia e si alimenta con il fattore di unità portato dalla lingua italiana. Questo intreccio nel giovane Mussolini tra italianismo e idea di Dante come padre della patria può essere un punto di partenza per una riflessione sul medievalismo nella costituzione dell’identità nazionale.

La quarta e ultima sessione ha dato spazio ad una riflessione sull’immaginario del medioevo nei contesti internazionali come la Spagna, gli Stati Uniti o la Germania. María Ángeles Martín Romera (Madrid) ha parlato del periodo franchista, in cui l’età dell’oro e l’espansione coloniale sono diventati dei riferimenti culturali, iconografici e simbolici. Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia furono figure centrali per la propaganda che utilizzava i loro emblemi, le frecce e il giogo, nell’iconografia della Falange. La mascolinità, valore centrale dell’ideologia di Franco, ha trovato una rappresentazione privilegiata nell’immagine del cavaliere virile, mentre le donne dovevano conoscere il loro posto: l’ambito domestico. Isabella era allora dipinta come un modello di abnegazione e non come una regina potente. Il genere come aspetto fondamentale del medievalismo e dei regimi autoritari è una chiave di comprensione importante che dovrebbe essere più discussa.

Aaron Vanides (Heidelberg) si è concentrato sul Nord America dove il medioevo sembra non essere accaduto: non ci sono tracce di cattedrali, di scudi araldici o di rotte commerciali come nel vecchio continente … tutto ciò che è medievale appare lontano e fortemente esoterico. Il sincretismo è in effetti un criterio importante del medievalismo americano in quanto il suo legame con l’industria dell’intrattenimento („Assassin’s Creed“, „The Birth of a Nation“ etc.) o la sua associazione con la violenza, dalle immagini di Deus Vult fino al „Horn Man“ dell’assalto a Capitol Hill.

Hannes Obermair (Bolzano) è tornato sulla questione dell’eredità medievale in un contesto di confine come l’Alto Adige. Oltre all’archeologia, il medioevo divenne un campo di battaglia di intellettuali italiani e austriaci (o tirolesi). Questo conflitto portò a una bizzarra fioritura di studi regionali, le cui rispettive letture etnocentriche sono ancora oggi rivelatrici. Scritte da una prospettiva apparentemente oggettivata, le profezie che si autoavverano sia del fascismo italiano che di quello tedesco diventano chiaramente visibili nei contrastanti medievalismi del passato tirolese.

Maike Stainkamp (Berlino) ha concluso il colloquio con un intervento sul ruolo del medioevo nella costruzione della storia tedesca durante il periodo nazionalsocialista, con frequenti richiami a Carlo Magno, agli Ottoni o all’Impero. Il Terzo Reich si colloca nella tradizione diretta del Sacro Romano Impero. Il medioevo è legato all’arte del presente: dalle insegne imperiali, al „Bamberger Reiter“. La mostra „German Greatness“ a Monaco di Baviera (1940) è stato principalmente un tentativo di legittimare la politica bellica tedesca, basato su mappe dell’espansione del Sacro Romano Impero. Anche la presentazione delle insegne imperiali nella chiesa di Norimberga faceva parte di questa propaganda: il sindaco di Norimberga presentò direttamente ad Adolf Hitler la copia della spada da cerimonia di Aquisgrana.

L’attenzione al medioevo come fonte di riferimento in epoca fascista è un modo interessante per discutere del predominio dell’antica Roma negli studi del Ventennio. Anche se le immagini medievali non sono il mezzo privilegiato della propaganda di Mussolini, il medioevo non va considerato un periodo messo al bando. Infatti l’attività degli studiosi di storia medievale e l’attenzione rivolta alle figure e ai monumenti della cristianità medievale mostrano una certa congiunzione di interessi, in qualche modo legata ad alcune realizzazioni politiche fasciste come gli accordi lateranensi. La complessità della definizione di medievalismo in Italia è accresciuta dalla natura stessa della penisola nel medioevo, frammentata in realtà politiche, architettoniche ed economiche molto diverse.

Published Online: 2022-11-18
Published in Print: 2022-11-15

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