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Strategie di divulgazione scientifica e nation building nel primo Ottocento

La narrazione dell’imprevisto nelle memorie di Cusani
  • Federica Re EMAIL logo
Published/Copyright: November 18, 2022

Abstract

The history of popular science in early nineteenth-century Italy constitutes a broad but little investigated research field. This article aims to explore the topic from the viewpoint of the pre-unitarian authors who contributed to the growth of this publishing sector. To shed light on the relationship between their narrative strategies and the nation-building process, it focuses on a major case study: the analysis of the role played by unexpected events in several travel memoirs written by Francesco Cusani Confalonieri, a historian, publisher and Lombard patriot (1802–1879). To capture the attention of the reader, and determined to both delight and instruct, the author resorted in two instances to the device of self-narration, based on his travel journals. In 1838, he published „Remembrances of a Trip in Bavaria, Saxony and Prussia“ in a periodical that he had established for young people entitled „Historical and Picturesque Museum for the Youth“. Later, between 1846 and 1847, he printed his first original work, addressed to an adult audience: „Historical and Statistical Memoirs“ of Dalmatia, the Ionian Islands and Greece, countries that he had visited in 1840. By examining the ways in which order and disorder were integrated into these two texts, the study underlines the connection between Cusani’s narrative choices and his cultural objectives, also thanks to research on his personal letters, hitherto untouched. It thus shows that, through the writing process, the unexpected events encountered by the narrator during his trips underwent a transformation: from constitutive aspects of the scientific experience to romantic elements that the writer deemed crucial to earn the favour of his readers and convey to them new historic-geographical knowledge as well as a vision of the world in line with his liberal ideals.

In forte espansione a livello europeo e internazionale,[1] nell’ultimo decennio la storia della divulgazione scientifica è stata oggetto di un’attenzione crescente anche in ambito italiano. Le ricerche sono state attratte – si potrebbe dire in modo quasi magnetico – soprattutto dal periodo di massimo splendore del fenomeno divulgativo all’interno della penisola, compreso fra il 1860 e l’inizio del Novecento,[2] tendenza su cui ha senz’altro influito la straordinaria messe di fonti disponibili e l’interessante intreccio con il positivismo e il coevo processo di nation building.

Giace invece ancora in larga parte inesplorato in quest’ottica il primo Ottocento, sebbene si tratti di un’epoca cruciale in tal senso, poiché le esperienze che diede alla luce prepararono il terreno ai futuri sviluppi del settore, destinato a conoscere un’eccezionale fioritura nei trent’anni successivi all’unificazione. Lo ha ben sottolineato il pionieristico volume di Paola Govoni, „Un pubblico per la scienza. La divulgazione scientifica nell’Italia in formazione“, uscito ormai nel 2002, ma tuttora ricco di suggestioni a riguardo.[3] Tra i molti meriti di questa monografia, vi è senza dubbio quello di aver individuato, in materia, le iniziative più rilevanti del periodo preunitario, ritenendole una tappa obbligata per mettere meglio a fuoco quelle d’età positivistica al centro dello studio: la „Nuova Enciclopedia Popolare“ dell’editore Giuseppe Pomba, stampata tra il 1841 e il 1851, e „Il Politecnico“, periodico diretto da Carlo Cattaneo dal 1839 al 1844 e poi di nuovo dal 1859 al 1864.[4]

Ad oggi, tuttavia, si avverte ancora la mancanza di un lavoro specificamente dedicato agli esperimenti divulgativi di questo decisivo torno di tempo, che ne sappia cogliere appieno non solo la notevole ricchezza e varietà nelle loro molteplici sfaccettature, ma anche le eventuali connessioni con le dinamiche di costruzione di un senso d’identità nazionale, altro snodo di cui è indispensabile tenere conto per l’epoca risorgimentale.

In un tale quadro, può quindi essere utile tornare a riflettere, alla luce delle più recenti acquisizioni storiografiche, sulle memorie di viaggio, fonti peculiari per la loro natura ibrida, al crocevia fra memorialistica, odeporica[5] e affinità con l’autobiografia,[6] nonché considerabili un importante canale di divulgazione dei saperi.[7] Concentrarsi, in special modo, sulle strategie narrative in esse adottate dagli autori preunitari, cercando di comprenderne le ragioni e contestualizzarle all’interno dell’orizzonte di pensiero e dei progetti editoriali in cui si inserirono, pare rivelarsi un’operazione in grado di dischiudere nuovi itinerari d’indagine.

Nelle pagine seguenti si approfondirà, perciò, questa pista di ricerca servendosi di un angolo visuale inedito particolarmente significativo: ci si soffermerà su due memorie odeporiche di carattere storico-geografico, redatte, per target differenti, dall’intellettuale milanese Francesco Cusani Confalonieri (1802–1879), e si analizzerà il ruolo in esse giocato dalla narrazione di eventi imprevisti.[8] La figura di questo autore, finora trascurata dalla storiografia, consente infatti, grazie alla notevole poliedricità che la contraddistingue, di delineare innovativi percorsi di studio sulla cultura italiana del primo Ottocento e sui reciproci scambi che essa intrattenne con quella europea. Avvalendosi soprattutto della sua documentazione personale custodita presso l’Archivio Storico Civico di Milano, comprensiva di appunti di viaggio e di un corposo carteggio privato, è possibile osservarne da vicino l’attività nel suo svolgersi e reinterpretarne gli scritti editi da nuove prospettive.

„Livellare il discorso“ alla portata altrui: sui sentieri della divulgazione

Nato a Milano da uno dei più influenti casati dell’aristocrazia lombarda, Cusani si dimostrò una personalità dal grande dinamismo: fu traduttore, storico, editore, scienziato viaggiatore, nonché patriota attivo nell’insurrezione quarantottesca e autore di una voluminosa „Storia di Milano“ in otto tomi, pubblicata nel periodo postunitario, per la quale viene tuttora ricordato.[9]

Crebbe a Carate, borgo della Brianza, in una famiglia partecipe dei progressi culturali e scientifico-tecnologici coevi. Il padre Carlo (1781–1855) era un possidente incline a reinvestire i profitti ricavati dalle rendite fondiarie nell’avanzamento dell’industria serica lombarda, tanto da ideare dei rilevanti miglioramenti tecnici per le filande a vapore, che, nel 1816, gli valsero il conferimento della medaglia d’argento da parte dell’Istituto lombardo di scienze e lettere.[10] La madre Bianca Visconti (1780–1854),[11] una nobildonna colta, pronipote dell’illuminista Pietro Verri,[12] diede impulso a un salotto di conversazione dal respiro europeo, che prese vita a Carate, in villa Cusani Confalonieri, e poté vantare fra i propri protagonisti anche il celebre giurista e filosofo Gian Domenico Romagnosi, schierato, com’è noto, su posizioni liberali.[13] Il sentiero di impegno civile intrapreso da entrambi i genitori costituì, dunque, un retroterra vivace e stimolante nella formazione di Cusani,[14] il quale seppe recepirne l’apertura alle spinte trasformative della modernità, declinandola, però, in un proprio percorso autonomo.

Fin da giovane, mentre studiava alla Facoltà politico-legale dell’Università di Pavia,[15] manifestò un’attenzione precoce verso la necessità di rivolgersi a un pubblico che fosse il più ampio possibile, in sintonia con le istanze di rinnovamento culturale promosse dal romanticismo milanese.[16] Ne è prova una sua dissertazione del 1826, intitolata „Sopra la nazionalità dei sommi epici di tutte le nazioni“, di cui, a ventiquattro anni, diede lettura al corso di Estetica tenuto dal professor Giovanni Zuccala.[17] In quel testo, infatti, egli passava al vaglio i principali poemi epici prodotti in Europa dall’antichità al Settecento per valutarne l’efficacia comunicativa in termini patriottici, basandosi su due criteri fondamentali: il loro grado di „nazionalità“, cioè se trattassero o meno argomenti inerenti alla storia patria, e il loro livello di „popolarità“, ossia quanto si fossero rivelati comprensibili e memorizzabili da un vasto pubblico.[18]

Su questa sua peculiare sensibilità ai temi della divulgazione e della mediazione culturale tra i diversi strati di quella che egli reputava già un’unica „nazione“ italiana, estesa dalle Alpi alla Sicilia,[19] dovette inoltre esercitare un influsso non indifferente l’insegnamento di Romagnosi, di cui divenne presto allievo, probabilmente a partire dal 1823.[20] Come avrebbe rammentato più tardi uno dei fratelli minori di Francesco, Ferdinando,[21] Romagnosi, in effetti, possedeva l’eccezionale capacità di intrattenere „chiunque, giovane o vecchio, istruito od ignorante, con una affabilità estrema“ e „sapeva livellare il suo discorso alla portata dei suoi ascoltatori“.[22] Non pare affatto un caso, dunque, se pure Carlo Cattaneo, che, come si è già richiamato, molto si spese sul versante divulgativo nei decenni preunitari, fu suo discepolo.[23]

In coerenza con tali esordi, la successiva attività di Cusani fu dedita a promuovere una modernizzazione culturale e, implicitamente, politica della penisola al passo con le più recenti tendenze europee, influenzata, nel profondo, anche da un altro concetto romagnosiano: quello di „incivilimento“, inteso nei termini di un graduale incedere del genere umano verso il progresso in qualsiasi campo del sapere, di cui tenersi costantemente informati e al quale aspirare a contribuire, ciascuno secondo le proprie capacità.[24] Seguendo perciò questa via, dal 1828 Francesco si mise al soldo degli editori in qualità di letterato e prese parte a iniziative pionieristiche nel panorama italiano, soprattutto, ma non solo, come traduttore di poemi e romanzi, in particolare di Walter Scott, le cui opere, contrassegnate dall’intreccio tra famiglia e nazione, si prestavano a essere interpretate in senso liberale.[25]

Sollecitato, inoltre, da un’intuizione dell’amico Lodovico Hartmann,[26] ideò con lui un progetto d’avanguardia: uno dei primi periodici italiani per l’infanzia e la gioventù, la „Miscellanea pei fanciulli“, edita a Milano presso il tipografo Giovanni Pirotta dal 1° marzo 1832 al 28 febbraio 1833.[27] Si trattava di un settimanale, di circa una trentina di pagine a fascicolo, concepito per un target che potremmo identificare dai dieci ai sedici anni[28] e si configurava come un innovativo canale di divulgazione dei saperi, mirando a istruire e, al contempo, dilettare i suoi piccoli lettori „nelle ore di ricreazione“ del giovedì,[29] giorno della sua pubblicazione e di vacanza da scuola.[30] Ne costituivano le colonne portanti due rubriche, una sulla „Storia naturale“, compilata da Hartmann, e una sulla „Storia di Milano“ e di Venezia, curata da Cusani. A esse si affiancava, poi, una variegata gamma di sezioni che, spaziando da „Geografia e viaggi“, a letteratura classica e moderna, storia antica, „Morale“, „Istituzioni filantropiche“, „Racconti e novelle“, „Fisica e fenomeni della natura“, giochi di enigmistica, introduceva a una vasta conoscenza del mondo.

Sul versante delle tecniche comunicative, un linguaggio appropriato, semplice e chiaro, in alcuni casi supportato da immagini, illustrava i contenuti in modo consono alle capacità intellettive dei piccoli lettori. Le tematiche, la strategia narrativa e il lessico prescelti talvolta potevano virare, soprattutto nelle rubriche storiche e geografiche, verso la retorica nazionale, per instillare nei giovani fruitori un senso d’identità locale e italiana, che, tuttavia, inserendosi all’interno di un ampio spettro di materie, non rimaneva ripiegato su se stesso, bensì si apriva al dialogo con il cosmopolitismo europeo di matrice illuministica.[31] L’intento di fondo era, in sostanza, preparare i ragazzi alle sfide della contemporaneità, aggiornando le loro conoscenze e educandoli ad apprezzare l’incessante scambio culturale esistente fra l’Italia e l’Europa,[32] affinché in età adulta fossero spronati a spendersi in favore dell’„incivilimento“ dell’intera umanità e di una „patria“ i cui confini ideali si stavano sempre più estendendo all’intera penisola. In questo quadro, la religione cristiano-cattolica, di cui venivano richiamati gli insegnamenti soprattutto nelle sezioni relative alla „Morale“ e agli „Inni popolari della Chiesa“, risultava un fattore identitario che andava a potenziare la formazione del buon cittadino, incentivandolo fin dalla più tenera età a mantenere un comportamento virtuoso, improntato all’amore per il prossimo, tanto nel privato quanto nel pubblico.

L’esperimento ebbe una tale portata innovativa che, oltre a essere apprezzato nel Lombardo-Veneto da „genitori“, „maestri“[33] e intellettuali del calibro di Ferrante Aporti,[34] si impose come un vero e proprio punto di riferimento del settore a livello nazionale. Nello stesso anno, ben altri due periodici per un target analogo videro la luce: „Il Mentore della Gioventù“, stampato a Milano solo nel 1832,[35] e, da novembre, „L’Amico della Gioventù“, d’orientamento legittimista, edito a Modena fino al 1837.[36] Nessuno di loro, però, raggiunse l’eco della „Miscellanea“, che fu fonte d’ispirazione persino dell’esperienza finora più celebre, considerata la prima del genere in Italia, quella di Pietro Thouar, il „Giornale dei fanciulli“, uscito a Firenze nel 1834.[37] Quest’ultimo, infatti, sorse proprio dall’entourage di Giovan Pietro Vieusseux, che solo due anni prima, nella sua costante attenzione ai progressi culturali europei e italiani,[38] aveva accolto con entusiasmo la „Miscellanea“, recensendola positivamente sull’„Antologia“,[39] chiedendone ulteriori dettagli agli autori[40] e ospitandola nel proprio Gabinetto di lettura.[41]

In seguito, nel 1835, insieme a Hartmann e al ragioniere Francesco Pirotta,[42] Cusani rilevò la ditta tipografico-libraria di Giovanni Pirotta – deceduto nel 1834 – per fondare la società Pirotta e Compagni, tipografia, libreria e casa editrice milanese,[43] che sarebbe sopravvissuta fino al 1859.[44] L’impresa rappresentò per lui una preziosa occasione per proseguire nei suoi propositi, sintetizzabili in due principali obiettivi. Da un lato educare gli adulti tramite i buoni romanzi, ai quali destinò un’apposita collana, che progettò e diresse personalmente: „Serie di Romanzi Storici e d’altro genere de’ più celebri Scrittori moderni per la prima volta tradotti nell’idioma italiano“ (1834–1844), promettente delle vere e proprie novità editoriali, ossia le prime versioni italiane dei migliori prodotti letterari coevi.[45] Dall’altro lato, supportare la formazione di bambini e ragazzi per mezzo di periodici specializzati, che, con un linguaggio alla loro portata, fungessero da complemento alla loro educazione approfondendo alcuni temi e tenendoli al corrente delle novità contemporanee. Grazie alla Pirotta e Compagni, Cusani poté finanziare, quindi, due settimanali che si modellarono sull’esempio della „Miscellanea pei fanciulli“, mantenendone la periodicità settimanale, con un’uscita ogni giovedì, e l’organizzazione in rubriche: dal 1835 al 1837 „Il Giovedì. Lettura pei giovanetti“,[46] la cui compilazione venne affidata ai professori Achille Mauri, d’inclinazioni liberali,[47] e Carlo Grolli;[48] mentre nel 1838 il „Museo storico-pittoresco per la gioventù“, ripreso da Cusani e Hartmann.[49]

In tal modo egli pensava di fornire a ciascuna fascia d’età degli strumenti ricreativi che, però, favorissero anche un arricchimento culturale e, tramite riferimenti ai concetti di patria, nazione, indipendenza, inducessero a riflettere, più o meno direttamente, sull’identità italiana all’interno del consesso europeo e sulla scena internazionale.

Ordine, disordine, memorie: dall’esperienza odeporica alla scrittura

Fu dunque in questo contesto, in cui l’azione culturale, concorrendo a diffondere idee liberali, acquisiva un’implicita caratura politica, che videro la luce le memorie odeporiche sulle quali ci si tratterrà. Per appassionare il lettore agli argomenti trattati, all’insegna del principio dell’istruire dilettando, di ascendenza illuministica,[50] Cusani si servì in ben due occasioni dell’escamotage del racconto di sé, tratto dai propri diari di viaggio. La prima fu la rubrica „Reminiscenze d’un viaggio in Baviera, Sassonia ed in Prussia“, inserita all’interno del „Museo storico-pittoresco per la gioventù“, settimanale per ragazzi pubblicato nel 1838 – come appena ricordato –, che si rivelava la vera e propria prosecuzione della „Miscellanea pei fanciulli“.[51] La seconda coincise con la sua prima opera originale, destinata a un pubblico adulto, edita in due volumi tra il 1846 e il 1847: le „Memorie storico-statistiche“ sulla Dalmazia, le Isole Ionie e la Grecia.[52]

Come si è avuto modo di sottolineare, queste non erano le sue prime esperienze nel settore divulgativo, però furono le prime e le uniche in cui Cusani ricorse alla narrazione di tipo memorialistico, nell’inconfessato seppur chiaro intento di coinvolgere maggiormente il lettore allo scopo di ampliarne le conoscenze e, al contempo, avvicinarlo a una visione del mondo d’impronta liberale. Una scelta certamente ben congegnata, se si considera che il pubblico alfabetizzato del primo Ottocento era abituato più che in passato a scrivere di sé in prima persona, come testimonia l’innumerevole messe di carteggi e diari pervenutaci.[53]

Alla base di entrambi i testi vi era un medesimo patto stipulato con il lettore nell’introduzione,[54] in cui Cusani prometteva di narrare in modo veritiero ciò che aveva visto durante le proprie peregrinazioni, avvenute dal 1835 al 1836 nei territori tedeschi e nel 1840 in Dalmazia, Isole Ionie e Grecia.[55] Come si evince dalle „Memorie storico-statistiche“, il principale strumento che aveva reso possibile quell’operazione era stato il „giornale“ di viaggio, attualmente irreperibile, ma che Cusani era solito tenere con sé in ogni suo spostamento per annotare ciò che più gli interessava.[56] Il racconto in presa diretta era stato quindi rielaborato al ritorno per divulgare con toni piacevoli notizie storiche, geografiche e statistiche sui paesi esplorati, reperite con rigore scientifico e inserite all’interno di un impianto argomentativo che rifletteva le convinzioni liberali dell’autore.

Ora, in questo passaggio dall’esperienza odeporica alla sua trasformazione in narrazione di sé a scopo informativo, la descrizione di eventi imprevisti svolse un ruolo cruciale e si caricò di connotazioni ulteriori, meno nitide durante lo svolgersi dei fatti, ma che la dimensione del ricordo accentuò e amplificò nel momento in cui l’autore si trovò a scrivere. L’imprevisto, cioè, da fattore costitutivo del vissuto dello scienziato viaggiatore arrivò ad assumere, all’interno del testo, anche significati simbolici o venne collocato in posizioni funzionali a valorizzare tanto le conoscenze scientifiche quanto i messaggi di carattere civile e politico che l’opera intendeva veicolare.

Per mettere meglio a fuoco queste dinamiche testuali è dunque necessario separare il piano del vissuto personale da quello della stesura. Vale a dire che innanzitutto bisogna individuare quale interpretazione degli eventi inattesi desse Cusani in quanto viaggiatore, per poi passare a esaminare, in un secondo tempo, le diverse modalità con cui questi imprevisti vennero integrati nei suoi resoconti editi, anche alla luce delle differenti finalità e tipologie di lettori a cui essi erano destinati.

Come potesse concepire l’ordine uno scienziato viaggiatore dell’Ottocento viene efficacemente suggerito da Cusani in un passo delle „Memorie storico-statistiche“: „La linea retta, pei matematici la più breve, non lo è pei viaggiatori, bensì quella che offre loro comunicazioni immediate e sicure da luogo a luogo senza tener conto della distanza intermedia.“[57]

Si trattava cioè di un ordine molto flessibile, dinamico, che recepiva in sé deviazioni e mutamenti dettati dalle condizioni materiali della realtà circostante, in un rapporto che, nel complesso, si potrebbe definire armonico, sebbene non sempre idilliaco, con il disordine. Non a caso, nove anni prima, nelle „Reminiscenze“ egli aveva affermato: „tutto è soggetto alle leggi di compensazione nella vita, e nei viaggiatori i piaceri e le noje si succedono, più che per altri, con rapida e continua alternativa“.[58] Insomma, come accade in ogni processo di ricerca, gli imprevisti venivano messi in conto dallo scienziato viaggiatore, che poteva talvolta viverli con disagio, ma che li fronteggiava sempre con grande forza d’animo, cercando non tanto di opporvisi, quanto piuttosto di adattarvisi per trarre il meglio dalla propria esperienza.

Riguardo a questo atteggiamento mentale, si trova conferma nel carteggio privato, dove, ad esempio, prima di partire per le Isole Ionie e la Grecia, nell’esporre per sommi capi il suo tragitto Cusani non mancava di confessare: „Del resto mi regolerò secondo le circostanze.“[59] Spirito avventuroso, che non amava pianificare troppo nemmeno nella sua attività di editore, egli seguì questa massima persino nel quotidiano, in cui dichiarava con fierezza di essere „avvezzo … ad una quasi assoluta indipendenza“, che contrapponeva al „metodico vivere dei ragazzi“.[60] E, qualora prevedesse di imbattersi in qualche difficoltà, ammetteva: „ritengo anch’io il motto Dio vede, e Dio provvede; altrimenti guaj a noi!“[61]

La sua non era una passiva rassegnazione al presente, al cui cambiamento, anzi, fu volta la sua intera attività intellettuale, come si è già detto. Era piuttosto una ragionevole accettazione di non poter controllare tutto, una profonda consapevolezza dei limiti umani, accompagnata da un’imperitura fiducia nel futuro, nella speranza che un’ispirazione del momento avrebbe incrementato le sue capacità di risoluzione dei problemi. E sono proprio questa sua prontezza nell’affrontare con successo situazioni inattese e un fluido intrecciarsi di ordine e disordine, consono alla sua forma mentis, a emergere da entrambe le sue memorie odeporiche.

In esse, però, la narrazione di fatti imprevisti, che si innesta sempre con disinvoltura sul filo conduttore del racconto, pare assolvere funzioni ulteriori rispetto a quella di rispecchiare l’universo individuale dell’autore. Funzioni tutte tese ad agevolare i lettori nella comprensione e nell’interiorizzazione dei contenuti dell’opera, consistenti tanto in dati scientifici quanto in messaggi politico-culturali. Da questo punto di vista è dunque naturale che si riscontrino delle sensibili differenze tra i due scritti, dovute alla diversa fascia d’età a cui erano rivolti: le „Reminiscenze“ ai giovani, le „Memorie storico-statistiche“ agli adulti.

Le „Reminiscenze d’un viaggio in Baviera, Sassonia ed in Prussia“

Come anticipato, le „Reminiscenze d’un viaggio in Baviera, Sassonia ed in Prussia“ costituivano una rubrica storico-geografica all’interno di un settimanale per ragazzi, il „Museo storico-pittoresco per la gioventù“. Avevano quindi un pubblico che, in base alle periodizzazioni dell’epoca, potremmo identificare in prevalenza tra i quattordici e i sedici anni.[62] Loro scopo dichiarato era „invogliare“ i giovani a „studiare“ in futuro, tramite „letture“ o „viaggi“, i paesi di cui parlavano, i quali erano reputati dall’autore „meritevoli di essere ben conosciuti“ tra gli italiani per la loro straordinaria modernità, che lasciava sperare in un prospero „avvenire“ per l’intera umanità.[63]

Cusani puntava dunque a suscitare un interesse profondo e duraturo nei suoi piccoli lettori. Fin dal 1832, era però consapevole che i ragazzi si contraddistinguevano per „impazienza“ e „avversione alla fatica“, come aveva confidato in una lettera all’amico Giovan Pietro Vieusseux.[64] A suo dire, la trattazione delle materie necessitava perciò di varietà, ma non di „pedanteria“, „né tuono dottrinale“.[65] Sembra rispondere esattamente a questa logica, funzionale all’apprendimento dei giovani, il modo con cui egli utilizzò la narrazione degli imprevisti nelle „Reminiscenze“.

In questo scritto si nota, infatti, una sapiente alternanza tra passi più impegnativi e altri più leggeri. I primi corrispondevano a corpose sezioni sulla storia, l’arte, la vita economica e la cultura delle città visitate dall’autore tra l’autunno del 1835 e l’aprile del 1836,[66] fra cui Monaco, Augusta, Ratisbona, Norimberga, Lipsia, Berlino e Potsdam. A essi, però, si intrecciavano con fluidità episodi di più agevole lettura, che riguardavano il tragitto effettuato o situazioni particolari in cui il protagonista si era imbattuto. Il compito riservato agli eventi inattesi era chiaramente quello di smorzare i toni didascalici tenendo viva l’attenzione dei ragazzi, talvolta addirittura divertendoli e suscitando il loro sorriso. Se si eliminassero questi brani, il racconto risulterebbe molto più simile a un’enunciazione manualistica di fatti, date, luoghi, usanze.

Nella maggior parte dei casi, la narrazione dell’inatteso era introdotta da espressioni – quali „mosso dalla curiosità“,[67] „sorta in me una vivissima curiosità“,[68] „venuto in curiosità di saperlo“[69]– che manifestavano quel gusto della scoperta nutrito dallo scienziato viaggiatore e che Cusani voleva trasmettere al suo giovane pubblico: richiamava cioè gli stimoli che il protagonista aveva colto dalla realtà circostante – ad esempio i consigli degli autoctoni[70] o folle di persone che si dirigevano verso un medesimo luogo[71] – e aveva trasformato in sana curiositas, ossia non in curiosità indiscreta, ma in avido desiderio di conoscenza, radice profonda di ogni forma di sapere.

Le avventure in cui egli si era trovato coinvolto presentavano quindi una duplice caratterizzazione. Da un lato non assumevano mai i connotati della spericolatezza, che all’epoca si sarebbero potuti giudicare diseducativi.[72] Dall’altro si configuravano come parte integrante del viaggio, tanto in negativo – percorsi più impervi,[73] ritardi dei mezzi di trasporto[74] – quanto in positivo, divenendo straordinarie occasioni rivelatrici di usi e costumi delle popolazioni locali. E proprio quest’ultimo genere di aneddoti istruttivi nella narrazione si prestava anche a svolgere un’altra fondamentale funzione: spostandosi sul linguaggio delle emozioni, veicolava e ribadiva in altra forma i concetti che più stavano a cuore all’autore, ascrivibili a un orizzonte di pensiero liberale.

In tal modo due messaggi, in particolare, ricomparivano più volte nel corso del racconto, inabissandosi e riaffiorando alla stregua di un fiume carsico. Il primo riguardava la massima importanza, per una nazione, del culto dei propri defunti e della propria memoria storica, poiché, ricordando ai vivi gli antichi splendori, li incentivava a conquistarne di nuovi. Il secondo si riferiva, di conseguenza, alla necessità – di altrettanto rilievo e che si sarebbe dovuta evolvere di pari passo con la prima – che ogni nazione si facesse promotrice del progresso tecnologico e culturale, proprio e del genere umano. Sotto questo profilo, il modello virtuoso per eccellenza era rappresentato dal Regno di Baviera, che nel volgere di pochi decenni, grazie a due lungimiranti sovrani, Massimiliano I (1799–1825) e Luigi I (1825–1848), aveva raggiunto un „florido stato“,[75] tanto che la capitale, Monaco, poteva dirsi „ben meritevole del nome glorioso di Atene Germanica“:[76] valorizzava le belle arti, accogliendo nei propri istituti culturali capolavori d’ogni tempo e innumerevoli artisti coevi, e incoraggiava l’innovazione in campo agricolo-pastorale tramite le annuali „feste d’Ottobre“.[77]

Ben tre imprevisti ponevano l’accento sulla „venerazione pei trapassati“, ritenuta „ispiratrice di santi e generosi sentimenti“.[78] Dapprima a Bolzano la vista fortuita di una ragazza che stava pregando sulla tomba della madre rammentò a Cusani il carme „Dei Sepolcri“ di Foscolo,[79] da lui molto amato e, com’è noto, incentrato sul forte valore civile e patriottico della permanenza dei cimiteri all’interno dei centri abitati. In Baviera, invece, vi era stata l’escursione al „Walhalla, o tempio degli Eroi“, invogliata dalle „cento e cento“ esortazioni in tal senso ricevute a Monaco.[80] L’edificio, allora in costruzione e destinato „ad accogliere i busti e le statue dei grand’uomini tedeschi d’ogni epoca“,[81] sembrava condensare in sé quelle che Cusani reputava le maggiori virtù della „nazione“ bavarese:[82] la dedizione al progresso in qualsiasi ambito e, al contempo, l’essere sempre memore del proprio passato, un passato che, come testimoniava la progettazione stessa del „Walhalla“, „nuovo Pantheon Germanico“, si stava concettualmente allargando da una dimensione locale a un’altra più ampia, „tedesca“.[83]

Infine, quest’ultimo leitmotiv veniva rimarcato con la descrizione delle celebrazioni per il Giorno dei morti tenutesi a Monaco,[84] ulteriore opportunità per menzionare di nuovo i versi di Foscolo:

„La festa dei morti è una prova evidente della pietà sincera dei Bavari, e dell’affettuoso culto ai defunti che quel popolo sente vivissima. Il qual culto è inspiratore di santi e generosi pensieri, che mantiene viva ne’ popoli la ricordanza degli uomini che resero illustre il loro paese, o ne furono i benefattori. A egregie cose il forte animo accendono / L’urne de’ forti … e bella / E santa fanno al pellegrin la terra / Che le ricetta …“.[85]

Tradizione religiosa e maturazione del sentimento patriottico, dunque, si supportavano reciprocamente nell’universo ideale dell’autore, com’era già emerso nella „Miscellanea pei fanciulli“.

Altri due imprevisti, invece, traducevano in azione vivida e spontanea l’entusiasmo di Cusani per l’avanzamento tecnologico contemporaneo, già esternato nell’illustrare le „feste d’Ottobre“ bavaresi, in cui venivano premiate le più recenti invenzioni dell’„industria rurale“.[86] Anzitutto la partecipazione al viaggio inaugurale della „prima“ ferrovia della „Germania“, quella da Norimberga a Fürth, occasione sfruttata all’istante:[87]

„alla sola parola strada di ferro era sorta in me una vivissima curiosità di vedere co’ miei occhi questa grande scoperta del nostro secolo, della quale aveva udito tanto parlare. E senza frapporre indugio, presi il cappello, ed uscii, tenendo dietro all’onda del popolo … Fuori di Norimberga un breve tratto, in un elegante recinto, stava il convoglio delle carrozze per la corsa sulla strada di ferro. Erano dodici, fatte sui modelli venuti d’Inghilterra, assai comode ed eleganti. Ciascuna era di dodici posti; ma trattandosi della prima corsa, la curiosità era sì forte, che un numero grandissimo di persone vi salirono, contente di starvi stipate, rannicchiate in qualunque più incomoda positura, purchè riuscissero a fare la famosa corsa pei primi. Io feci altrettanto … le dodici carrozze, trascinate dalla macchina a vapore, si mossero in mezzo a migliaja di spettatori assiepati lungo i due orli della strada. Ma tale era la velocità della corsa, che appena s’intravedevano, come un lampo, uomini, carrozze, alberi, gli oggetti tutti sui quali volgevasi l’occhio. La distanza da Norimberga a Fürth è di circa sette miglia comuni, e fu percorsa in undici minuti e mezzo“.[88]

Poi, a Berlino, la visita alle sfarzose esposizioni commerciali di Gropius, ospitanti i migliori prodotti del mondo:

„le ampie e numerose sale, cui metteva capo la galleria, oh sì che offrivano un colpo d’occhio veramente magico; vasi del Giappone, tappeti di Persia, manifatture chinesi [sic], le bellissime porcellane, e i mirabili lavori in ferro di Berlino, candelabri, drappi, seterie, in una parola quanto di più bello ed elegante sa creare l’industria in Francia, in Inghilterra e in altre parti, vedevasi là disposto con arte e buon gusto. Aggiungete le innumerevoli fiammelle a gas, che riverberavano nei molti specchi una luce tanto viva, da abbagliare, il profumo dei cedri e degli aranci là trasportati dalle serre, armonie istromentali eseguite con rara maestria, un grandissimo caffè affollatissimo, un panorama che spingeva al massimo punto l’illusione, sicché pareva assistere alla battaglia tra gli Alleati e Napoleone in esso raffigurata, gli ufficiali coi loro brillanti uniformi, le signore in tutto lo sfoggio del lusso, le più coi loro figliuoletti, una folla strabocchevole di gente, l’allegria non clamorosa né inurbana, i mutui riguardi e la pazienza di quella calca, e vi formerete un’idea di quello spettacolo veramente incantevole“.[89]

In definitiva, ne deriva che la strategia narrativa con cui risultano costruite le „Reminiscenze“ concorreva, non meno dei loro contenuti, a proporre ai giovani italiani, la cui identità culturale veniva spesso richiamata,[90] nuovi modelli europei a cui ispirarsi affinché anche la loro nazione, non ancora politicamente unita, proseguisse sulla strada dell’„incivilimento“.[91]

Le „Memorie storico-statistiche“ sulla Dalmazia, le Isole Ionie e la Grecia

Rispetto alle „Reminiscenze“, le „Memorie storico-statistiche“ sulla Dalmazia, le Isole Ionie e la Grecia rivelano sì un medesimo intento di fondo, ossia promuovere un ampliamento delle conoscenze dei loro lettori coniugato con un’ottica liberale, ma lo indirizzano a un pubblico diverso: gli adulti della nazione italiana. La finalità dell’opera era infatti offrire agli italiani uno strumento di facile fruizione attraverso cui potersi formare „una idea netta e positiva“ della „condizione attuale“ di quei tre popoli – dalmata, ionio e greco – a cui la storia li aveva legati fin dall’antichità, ma di cui non conoscevano molto a causa della carenza di libri aggiornati e in lingua italiana sull’argomento.[92]

Il lavoro, senz’altro più complesso del precedente, aveva quindi assunto le forme di un voluminoso reportage ante litteram, articolato in due tomi di circa 320 pagine ciascuno. Al suo interno, ai capitoli dedicati al racconto odeporico, che costituiva il vivace filo conduttore della narrazione, nutrito di aneddoti, dati storici, geografici e statistici, se ne alternavano altri contenenti una concisa storia dei paesi descritti, costruita intrecciando tra loro le informazioni fornite dai libri più accreditati sul tema a livello internazionale.[93]

Era, in sostanza, uno scritto di alta divulgazione scientifica, fondato su grandi doti di sintesi e di ricerca sul campo, mirante a soddisfare tanto la curiosità di un pubblico colto non specialista quanto gli interessi degli scienziati dell’epoca. Obiettivo che venne centrato, anzitutto poiché lo studio fu recensito con toni d’elogio sulla „Rivista europea“ di Carlo Tenca,[94] „organo autorevole dell’opposizione liberale“,[95] e da Michele Sartorio sulla „Gazzetta privilegiata di Milano“.[96] Inoltre, perché guadagnò al suo autore persino una menzione onorevole e l’invito a partecipare, in qualità di relatore, alla sezione di „Geografia e archeologia“ del nono congresso degli scienziati italiani,[97] tenutosi a Venezia nel 1847.[98]

Come nelle „Reminiscenze“, anche qui il racconto di eventi inattesi concorreva ad alleggerire ulteriormente una narrazione memorialistica che già di per sé al lettore risultava più piacevole di altri generi, quali il trattato o la dissertazione. In questa sede, però, gli imprevisti assumevano un carattere maggiormente avventuroso, che si sarebbe potuto considerare diseducativo in un giornale per ragazzi, ma adeguato invece a tenere alta l’attenzione di un pubblico adulto particolarmente abituato ai romanzi[99] – si ricordi, ad esempio, che quelli di Walter Scott furono dei veri e propri best-sellers nel primo Ottocento, in Italia come in altri paesi europei.[100] Quanto fosse importante l’inclusione di questo elemento romanzesco in un’opera per conquistarle il favore dei lettori lo conferma Cusani stesso in una missiva del 1846 al fratello Ferdinando, in cui si diceva preoccupato per le sorti del primo volume, quello sulla Dalmazia, ma più fiducioso per il successivo, sulle Isole Ionie e la Grecia:

„Da quanto mi scrivi, capisco bene che il mio libro non piace gran che in generale: non serve piacerà più durevolmente. L’argomento non si prestava agli anedotti [sic], ne [sic] io volli fare un libro di moda per un mese. Il s.(econ)do riesce da se [sic] più vivo e pittoresco, e pieno di avventure, e compenserà l’altro anche pei dilettanti di romanzi.“[101]

Gli imprevisti di viaggio, infatti, riflettendo il vissuto nella sua dimensione più quotidiana – disguidi di trasporto, difficoltà di orientamento, dialoghi con le persone –, costituivano il sale delle „Memorie storico-statistiche“, alle quali conferivano divertenti coloriture realistiche e folkloristiche insieme. In questo modo, essi si configuravano, ancor più che nelle „Reminiscenze“, come delle preziose opportunità per entrare a più stretto contatto con la complessità dei territori visitati, fatta di una molteplicità di risorse umane e naturali, che promettevano un prospero futuro, ma anche attraversata da problematiche e tensioni. Gli eventi inattesi arrivavano così ad acquisire spesso una valenza simbolica decisamente più marcata di quella rinvenibile nelle „Reminiscenze“.

Da questo punto di vista giocavano un ruolo cruciale gli incontri con la popolazione locale, che rispetto alle „Reminiscenze“ si moltiplicavano in maniera vistosa, divenendo la tipologia di imprevisto predominante, al pari delle peripezie di ordine logistico. Nel tomo sulla Dalmazia, vi era la grande ospitalità, nonostante l’estrema povertà di mezzi, più volte dimostrata dagli autoctoni nei confronti del protagonista in momenti critici e, più in generale, verso gli italiani: essa assurgeva a emblema di quel senso di fratellanza che Cusani intendeva coltivare nel rapporto tra i propri connazionali e i finitimi dalmati,[102] di cui egli rintracciava i primordi ai tempi dell’Impero romano, poi proseguiti sotto la Repubblica di Venezia, il Regno italico e l’Impero asburgico.[103]

Un discorso analogo vale anche per le parti sulle Isole Ionie e la Grecia, costellate di numerosi esempi di filellenismo e di reciproca solidarietà fra italiani e greci: incontri con italiani che, accolti fraternamente dai greci, vivevano in quei territori per questioni di lavoro[104] o in quanto costretti all’esilio per ragioni politiche, a causa del loro fervente patriottismo,[105] oppure perché avevano preso parte alla rivoluzione ellenica contro il dominio ottomano. Rappresentava l’ultimo gruppo il piemontese Casali, che, „dopo aver militato al servizio di Napoleone“ e combattuto in Grecia „cogli altri Filelleni“[106] raggiungendo il grado di capitano,[107] aveva aperto l’Hotel d’Europe, ritenuto, nel 1832, il miglior albergo di Atene e prescelto anche da Cusani per il proprio soggiorno.[108] Mentre nella seconda categoria spiccavano due „dottori“ di cui l’autore, per prudenza, si guardò bene dal rivelare i nomi, ma identificati, grazie ai dettagli da lui forniti e alla sua corrispondenza privata, nei medici Tito Savelli e Atanasio Basetti.[109] Implicati nelle fallite insurrezioni degli anni Trenta, si erano rifugiati a Corfù e, insediatisi a pochi chilometri dalla capitale, nel „villaggio di Coracchiana“,[110] avevano contribuito al miglioramento delle condizioni di vita degli autoctoni, fornendo cure, medicine e pane tramite una farmacia e un’osteria di loro proprietà.[111] Con il pensiero ancora rivolto alla penisola, inoltre, avevano attribuito alla propria abitazione il nome greco di „Exoría“, ossia esilio, dando vita a un ambiente divenuto presto uno dei principali luoghi di ritrovo dell’esulato italiano, oggi noto per il suo probabile coinvolgimento nell’organizzazione della spedizione dei fratelli Bandiera.[112]

In altri casi, conversazioni con gente del posto e avvenimenti di cui Cusani era stato uno spettatore fortuito fotografavano con efficacia lapidaria la situazione politica locale, esposta con dovizia di particolari nelle pagine precedenti. Accadeva così, ad esempio, nella parte dedicata alle Isole Ionie. Essa era attraversata dal motivo ricorrente dell’ostilità nutrita dagli ioni verso il protettorato britannico sotto cui erano costretti a vivere fin dal 1815 e che aveva mostrato a più riprese un’attitudine prevaricante nei loro confronti.[113] Le ragioni di questa tensione sociale venivano spiegate nei capitoli antecedenti tramite una penetrante analisi sociopolitica: lo scontento popolare era stato alimentato dall’imposizione di una Costituzione, risalente al 1818, troppo vincolata all’autorità britannica, inadatta alle peculiarità di un territorio frazionato in sette isole e mai radicalmente riformata, nonostante le richieste degli ioni.[114] A ciò si sommava la differenza linguistica e religiosa degli inglesi, che pertanto venivano percepiti dai locali alla stregua di veri e propri governanti „stranieri“.[115]

Tuttavia, a inconfutabile riprova di una tale insofferenza, l’autore aveva scelto di concludere la sezione su Corfù, centro governativo del Paese, con un’ultima, pregnante, immagine: un tafferuglio occorso tra alcuni corfiotti e dei militari inglesi durante la festa dell’Ascensione. Un ufficiale, infatti, aveva tentato di obbligare con la forza un vetturale a ricondurlo subito in città, nonostante vi fossero altri clienti prima di lui, ed era dunque scoppiato „un tal parapiglia, che l’Inglese se ne cavò a stento pesto e malconcio“.[116]

La narrazione degli imprevisti fungeva quindi da cassa di risonanza di temi che comparivano più approfonditamente nei capitoli dedicati alle ricostruzioni storiche, nelle quali gli accenti liberali e antimperialisti si facevano più evidenti: dall’ammirazione per la combattività dei dalmati contro i conquistatori del loro territorio sin dall’epoca romana[117] fino ad arrivare, come in una sorta di climax ascendente, all’esplicita denuncia del malgoverno del protettorato britannico sugli ioni[118] e alla difesa apertis verbis dell’indipendenza della Grecia continentale, ormai raggiunta.[119]

Perciò persino le digressioni più aneddotiche, legate alla dimensione dell’intrattenimento, contribuivano a comunicare, seppur con un registro diverso, i medesimi messaggi presenti nel resto del testo. Quasi a creare un canale secondario attraverso cui garantire in qualsiasi modo la trasmissione dell’idea che, a un’analisi complessiva, pare essere al cuore dell’intera opera: quella di un’area mediterranea quale spazio di popoli fratelli, profondamente connessi tra loro da reciproche influenze culturali, che, grazie al proprio animo pugnace, erano riusciti a incamminarsi sulle strade del progresso, nonostante le avversità, e potevano pertanto aspirare legittimamente ad acquisire „un bel seggio fra le nazioni europee“.[120]

Questa prospettiva affondava le proprie radici, ancora una volta, nelle posizioni di Romagnosi, la cui filosofia civile aveva inaugurato, in ambito italiano, un’originale corrente di pensiero antimperialista, che, proseguita dai suoi allievi negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, aveva trovato un terreno privilegiato d’espressione negli „Annali universali di statistica“: a suo fondamento vi era la convinzione che fosse il commercio, dunque una dimensione di mutuo scambio, e non la conquista, il miglior mezzo atto a garantire l’avanzamento della civiltà su scala mondiale.[121] Nel lavoro di Cusani, però, tali tematiche subivano un’evoluzione ulteriore coniugandosi con un’idea di fratellanza tra i popoli mediterranei, che ne riprendeva concettualmente un’altra, quella di un Mediterraneo abitato da „nazioni sorelle“, elaborata dall’esulato italiano filellenico ai tempi della guerra d’indipendenza greca.[122] L’opera di Cusani sembrava quindi potenziare e diffondere presso un più ampio pubblico alcune intuizioni maturate nei decenni precedenti tra le frange più cosmopolite del liberalismo italiano, comprovando, con la forza dei dati scientifici, la levatura culturale e la dignità di quelle aree mediterranee che, invece, diversi intellettuali inglesi e francesi, sulla scorta di un’immagine di decadenza trasmessa dai viaggiatori del Grand Tour, consideravano solo zone arretrate, da incivilire tramite il proprio dominio coloniale.[123]

Conclusioni

In conclusione, Cusani nelle sue memorie odeporiche a carattere divulgativo fece un uso articolato degli eventi inattesi, che da accadimenti ragionevolmente connaturati nell’esperienza di viaggio – quali la sua mente li interpretava – si trasformarono in preziosi espedienti volti a conferire al testo un suo dinamismo interno ben calibrato. Il fine più immediato di questa tecnica era tenere desto l’interesse del lettore, instillando in lui il gusto di un’intelligente curiositas, se giovane, sorprendendolo con avventure dal sapore romanzesco, se più adulto. Ma, se ci si sposta sul piano dei contenuti, si può notare come gli imprevisti fungessero spesso anche da amplificatore dei messaggi cardinali dell’opera, fondati su solidi dati storico-geografici, inseriti, però, in una cornice interpretativa liberale. Oltre a fornire opportunità di approfondimento più agevoli, meno impegnative, rimarcavano concetti – quali il culto della memoria storica di una nazione, ma anche del suo progresso, l’antimperialismo in nome del principio di fratellanza tra i popoli per proseguire nell’„incivilimento“ del genere umano – che avevano ricadute politiche, più velate nel „Museo storico-pittoresco“, maggiormente esplicite nelle „Memorie storico-statistiche“.

Nel primo Ottocento italiano, dunque, la relazione tra divulgazione scientifica e politica appare più che mai meritevole di futuri approfondimenti, come dimostra il caso considerato, che si situa emblematicamente all’incrocio fra queste multiformi e complesse interazioni.

Published Online: 2022-11-18
Published in Print: 2022-11-15

© 2022 bei den Autorinnen und den Autoren, publiziert von De Gruyter.

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