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Riconversione e Ricostruzione

Il Reichskonkordat e la Repubblica Federale Tedesca
  • Maddalena Alvi ORCID logo EMAIL logo and Simon Unger-Alvi ORCID logo EMAIL logo
Published/Copyright: November 14, 2023

Abstract

This article focuses on German-Vatican debates on the Reichskonkordat after 1945. For this purpose, it explores newly available documents in the Vatican Apostolic Archive from the West German Nunciature in Bonn. Thereby, this essay retraces how the Catholic Church followed German political discourses and how it sought to influence public debates. While Konrad Adenauer and the Christian-Democratic Party aimed to preserve the Reichskonkordat, which had been negotiated by Eugenio Pacelli in 1933, an inner-German opposition began to question the role that the Church had played in the Nazi regime. Already in the 1950s, a diverse alliance of Social Democrats, liberals and Protestant intellectuals accused both the Vatican and members of Adenauer’s government to have supported Nazism in order to establish a form of ‚clerical fascism‘. While these accusations were often of polemical nature, they initiated a profound re-calibration of church-state relations, showing the limits of both Adenauer’s political ambitions and the visions of Pius XII to re-establish a Catholic dominance in postwar culture.

1 Introduzione

„Questa istituzione, creata da Cristo, dotata della sua autorità e consacrata a uno scopo santo, porta anche i diritti reali di Gesù Cristo nella vita pubblica e nella legislazione, e nel fare ciò, per sincera convinzione cristiana e interiore, trova anche l’appoggio dei rappresentanti del popolo“, così predicava il vescovo ausiliario Johannes Neuhäusler al giubileo decennale dell’Unione Cristiano-Sociale (CSU) nel 1955.[1] Questo discorso riassume lo spirito dell’attività politica del Vaticano in Germania.

Nel Dopoguerra, la Chiesa cattolica non concepiva il proprio agire nei termini di una cesura storica o di un nuovo inizio democratico, ma vedeva il suo ruolo in termini di longue durée. La storia tedesca a partire dall’unificazione del Reich sotto Bismarck veniva interpretata come la successione di diversi regimi, tutti accomunati dall’avere respinto il cattolicesimo dalla società civile. In questo senso, anche le politiche anticattoliche del nazionalsocialismo venivano valutate principalmente in termini di continuità e congruenza con i valori del Kaiserreich. Con Konrad Adenauer a capo del governo della Germania occidentale, al contrario, ci si trovava di fronte ad un cattolico che non solo voleva preservare il Concordato del 1933, ma condivideva anche la visione ben più ampia di un ‚Occidente‘ cristiano in cui la neonata Repubblica Federale Tedesca doveva essere incorporata.[2]

Nel contesto di una nuova alleanza tra Chiesa e Stato, domande sul passato del mondo cattolico tedesco sembravano inopportune. Ideologicamente, sia la Chiesa sia la CDU/CSU si identificavano come vittime del nazionalsocialismo. Neuhäusler stesso era stato un forte critico del regime nazista tanto da venire incarcerato nei campi di concentramento di Dachau e Sachsenhausen. Dopo la guerra, divenne una voce importante della storia della resistenza cattolica al regime grazie ad un volume di 800 pagine intitolato „Kreuz und Hakenkreuz“ („Croce e Svastica“).[3] Nonostante quello di Neuhäusler fosse stato un caso isolato, la questione della responsabilità collettiva nonché della collaborazione cattolica non venne affrontata in modo profondo. Sia la Chiesa sia la CDU miravano a condurre la Germania verso un futuro più promettente che superasse l’eredità del militarismo prussiano-protestante e l’ateismo nazista attraverso valori cristiani.

Sulla base di nuove fonti divenute disponibili grazie all’apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano nel 2020, si intende analizzare la politica pontificia e la sua relazione con la Germania occidentale.[4] Il cuore di quest’alleanza era il Reichskonkordat, ufficialmente stretto il 20 luglio 1933. Proprio sul dietro le quinte diplomatico che accompagnò le controversie sul Concordato e sul futuro ruolo della Chiesa si concentra questo articolo.

Negli ultimi anni, diversi storici hanno sottolineato che rispetto al passato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, le chiese nella Germania dell’Ovest raggiunsero una maggiore prossimità alla politica, mentre negli anni ’60 si sarebbe accelerato il processo di secolarizzazione della società.[5] Nonostante la vicinanza ecclesiastica alla CDU di Adenauer, Thomas Großbölting ha diagnosticato un restringimento della pretesa politica del cristianesimo, che nel Dopoguerra si sarebbe presto esaurito in questioni di politica familiare, sociale ed educativa.[6] Anche lavori più recenti hanno caratterizzato dibattiti pubblici sulla ‚clericalizzazione‘ della società come tipici di una fase storica in cui l’influenza ecclesiastica era stata gradualmente arginata dal nuovo stato democratico.[7] Questo articolo non vuole confutare queste tesi, dimostra però che almeno negli anni ’50 la Chiesa cercò di influenzare la politica tedesca molto attivamente: dopo il 1945 la Chiesa aveva non solo ampliato le proprie pretese ma anche avuto modo di esercitare la propria influenza, riguadagnando inizialmente una parte del potere perso a partire dal 1870.

Perse le sue possessioni territoriali, la Chiesa poteva esplicare il proprio potere nell’esercizio di influenza diplomatica, o ‚soft power‘, per usare l’espressione coniata dal politologo John Nye.[8] In Germania, il Concordato del 1933 rappresentava il principale mezzo per questo scopo e il desiderio di plasmare questioni familiari ed educative va visto come l’affermazione delle pretese politiche della Chiesa.[9] Negli anni del Dopoguerra, però, il Concordato firmato da Hitler venne messo in discussione, costringendo il Vaticano ad interferire con la vita politica della RFT per proteggerlo.[10]

A interpretare la politica tedesca come emissario di Eugenio Pacelli era Aloysius Muench, il primo nunzio vaticano nella nuova repubblica tedesca. Figlio di due emigrati tedeschi a Milwaukee, Wisconsin, Muench era stato nominato nunzio nel 1950 e avrebbe rappresentato gli interessi vaticani in Germania fino al 1959.[11] Muench fece della nunziatura un cardine della diplomazia globale e un punto di contatto per gli scambi politici tra Germania, Vaticano e Stati Uniti, trasformando la rappresentanza vaticana in un centralino della guerra fredda. L’‚americano‘ Muench si trovava a difendere il Concordato stipulato dal suo predecessore Eugenio Pacelli, Pio XII, nunzio in Germania dal 1917 al 1929.[12] Il suo interlocutore principale era Domenico Tardini, il quale collaborava già dal 1935 con la Segreteria di Stato e venne nominato suo Pro-Segretario per gli affari straordinari nel 1952.

Il Vaticano collezionava articoli di giornale, documenti, reports politici come anche informazioni biografiche che formano ora parte di uno scambio epistolare di enorme valore storico. Da questi documenti si evince l’idea di una ‚Bekehrung im Wiederaufbau‘ (‚Conversione nella Ricostruzione‘) che può descrivere le pretese ideologiche della Chiesa in Germania. Il termine prende in prestito e ribalta la concezione di ‚Modernisierung im Wiederaufbau‘ usata nel 1993 da Axel Schildt e Arnold Sywottek per riassumere cambiamenti sociologici, culturali e biografici nella Germania post-bellica.[13] Nelle sue relazioni con il paese, la strategia della Chiesa era chiaramente improntata a riconvertire la società attraverso il Concordato. La fine della guerra era vista come un’opportunità per plasmare il futuro guardando al passato.

Nel suo libro „A Twentieth Century Crusade“ Giuliana Chamedes suggerisce che la politica della Chiesa da Benedetto XV a Pio XII era stata guidata da una visione utopica dell’Occidente cattolico che andava difeso dal comunismo.[14] Chiaramente la realizzazione di questa visione fallì di fronte a nuove realtà geopolitiche: anche per i politici cristiano-democratici seguire la leadership americana divenne più importante che assecondare le pretese e gli ideali della Chiesa.[15] Questo articolo mostra però che questi sviluppi non erano ancora pienamente prevedibili subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; fino alla metà degli anni ’50 pareva dunque aprirsi per il Vaticano la possibilità di plasmare la politica tedesca attraverso Adenauer e la CDU. Concentrandosi sulla questione concordataria, questo articolo mette in luce il modus operandi della Chiesa su una questione cardine del Dopoguerra. I nuovi documenti di archivio dimostrano che questa fase storica veniva vista dalla Chiesa come un’opportunità per operare una forma di „riconversione“ della società. Nel contesto di questa politica di longue durée la speranza era quella di tornare ad esercitare l’influenza perduta a partire dal diciannovesimo secolo.

2 Il Reichskonkordat e la nuova costituzione tedesca

Un articolo scritto dal giurista e diplomatico irlandese Daniel Anthony Binchy nel 1946 illustrava la posizione di Pacelli e le sue speranze per la Germania. Per Binchy, il Papa era in favore di una ‚soft peace‘ non solo per il ‚buon tedesco‘, ma anche per quello ‚indifferente‘ ai crimini del regime nazista.[16] L’articolo faceva notare come il Papa non si comportava da buon pastore, ma da astuto diplomatico, sapendo che una Germania democratica in cui i cattolici avevano un ruolo importante avrebbe costituito un fattore di stabilità in Europa oltre che un baluardo contro il Comunismo.[17] Anche se la collaborazione con Adenauer non poté avverare tutte le pretese ecclesiastiche, rappresentò però per il Vaticano la possibilità di influenzare la politica tedesca e quindi europea dopo la Seconda Guerra Mondiale. La ‚soft peace‘ di cui parlava Binchy va dunque vista come uno strumento per esercitare ‚soft-power‘ più che una linea di clemenza ispirata dalla morale cattolica.

Tra il 1948 e il 1949, l’attenzione del Vaticano era rivolta alla nuova costituzione tedesca e alla sorte del Concordato stipulato nel 1933 dal vicecancelliere Franz von Papen e da Eugenio Pacelli, allora Segretario di Stato nel Vaticano. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la questione del Concordato si poneva di nuovo in quanto chiaramente tutto il sistema politico tedesco andava ridefinito attraverso una nuova costituzione.[18] Anche se il Grundgesetz avrebbe dovuto avere carattere transitorio in vista di una futura riunificazione della Germania, regolava anche il ruolo del Concordato. Il Concordato cattolico, a differenza di quelli stretti dalle chiese protestanti, era stato stabilito secondo il codice del diritto internazionale ed aveva di conseguenza valore e legittimità internazionali.[19] La Santa Sede vedeva nel Concordato il frutto di negoziazioni che avevano avuto luogo negli anni della repubblica di Weimar, sotto la nunziatura Pacelli prima dell’ascesa al potere dei nazisti.[20] Concordati con i singoli Länder erano stati stretti dalla Chiesa con la Baviera (1924), Prussia (1929) e il Baden (1932).[21] Il Concordato firmato in Baviera era stato approvato nonostante l’opposizione del partito comunista, di parte del partito socialista e del Völkischer Block, un predecessore ideologico del partito nazista, nel 1925.[22] La stipula del Concordato non era quindi un progetto nazionalsocialista, anche se certamente era stato accolto dal giovane regime perché gli offriva una parvenza di continuità attestandogli anche capacità di negoziazione sulla scena internazionale. Dopo la guerra, tuttavia, divenne sempre più difficile distinguere tra lo sfondo originario del Concordato e le politiche del regime nazista.

Il nuovo ordine democratico tedesco doveva mettere in discussione il passato del quale anche il Concordato faceva parte. Il Vaticano era cosciente che la validità del Concordato sarebbe stata messa in dubbio, come suggeriscono documenti vaticani datati al 1948.[23] Come dimostra la corrispondenza tra Muench e Tardini, il Vaticano aveva studiato l’opinione di Hermann Höpker-Aschoff, il primo presidente della Corte Costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht). La posizione del giurista, che era stato attivo per il partito liberal-democratico DDP durante la repubblica di Weimar, era chiara: se, nel redigere il Concordato del Reich, si fosse seguita la debita via, cioè quella democratica, non sarebbe stato possibile ottenere dallo Stato privilegi così ampi come quelli contenuti previsti dal Concordato; esso era dovuto unicamente all’arbitrio di un dittatore, il quale, d’altra parte, si proponeva fin da principio di non rispettarlo.[24] Mancavano quindi due elementi essenziali, „da un lato la volontà del popolo (al parlamento non fu data l’occasione di manifestarsi liberamente), dall’altro la ‚voluntas contrahendi‘ (ovvero la volontà di applicazione) del Capo dello Stato“. Per Höpker-Aschoff, Hitler non aveva mai avuto intenzione di applicare il Concordato.[25] Il costituzionalista vedeva di conseguenza nella sua continuazione del Concordato un anacronismo per uno stato democratico.

Per Wilhelm Johannes Böhler, il canonico della cattedrale di Colonia, il Concordato corrispondeva però ad un ‚diritto naturale‘, come spiegava in un articolo del 1948: „Una costituzione non può né conferire né ritirare diritti fondamentali. I diritti naturali, i diritti dati da Dio, non possono essere concessi. Possono essere espressi, riconosciuti e protetti solo nella riverenza.“ Per Böhler, „il popolo che pensava da cristiano“ avrebbe saputo come rapportarsi „a una costituzione nella quale gli viene negato il riconoscimento dei diritti umani essenziali e più genuini“. Böhler continuava agguerritamente, rivendicando apertamente il proprio campo di influenza: „Lo stato non può arrogarsi il diritto di risolvere autonomamente questioni che appartengono anche al regno della chiesa.“ Il discorso conteneva anche un invito a considerare la posizione della Chiesa e il suo ruolo mitigante durante il Nazismo.[26] Altre voci erano più moderate nella difesa del Concordato: l’„Osservatore Romano“ in un articolo sul Concordato pubblicato nel 1949, alcuni mesi prima della ratifica del Grundgesetz, scriveva che nel 1933 l’offerta del Concordato rappresentava l’opportunità di ‚salvare il salvabile‘ della libertà religiosa sulla base delle garanzie previste dalla Costituzione di Weimar. L’articolo continuava esprimendo la propria meraviglia per il fatto che chi nel presente difendeva quella costituzione non si rendeva conto che la sostanza del Reichskonkordat era basata proprio sulle garanzie sancite a Weimar.[27] In altre parole, il Concordato era un prodotto di Weimar, più che del Nazismo e andava interpretato come tale.

Il Grundgesetz entrò in vigore il 24 maggio 1949.[28] Le norme supplementari della costituzione tedesca di rilievo per la questione concordataria erano contenute nel diritto fondamentale e umano della libertà di religione nell’articolo 4 (§ 1 e § 2) e nelle disposizioni sul diritto ecclesiastico nell’articolo 140, che faceva riferimento agli articoli della Costituzione di Weimar che vi erano stati incorporati (articolo 137 della Costituzione di Weimar). Queste garantivano il diritto di autodeterminazione di tutte le chiese e comunità religiose nei loro affari. La disposizione costituzionale dell’articolo 140 del Grundgesetz („Non esiste una chiesa di stato“) costituiva l’ordinamento della Repubblica Federale Tedesca come stato religiosamente neutrale. Stato e Chiesa erano organizzativamente separati e indipendenti l’uno dall’altro.[29]

Le relazioni tra lo Stato e la Chiesa nella Repubblica Federale di Germania erano prevalentemente di competenza dei Länder nell’ambito della legislazione e dell’amministrazione. Già nel dicembre 1948, del resto, la Chiesa era entrata in contatto con gli americani, nel tentativo di carpire informazioni e di esercitare controllo sulle nuove costituzioni dei vari Länder tedeschi. Era stato Howard Smith, un prelato attivo nell’ufficio del consulente di collegamento ad avere scritto da parte di Aloysius Muench a Robert Murphy, consigliere politico americano per la Germania: „Sarebbe possibile darmi qualche assicurazione che ci sia, almeno, la possibilità di includere il principio in questione [i. e. libertà religiosa e indipendenza della Chiesa] nella Costituzione sulla quale i Länder sarebbero obbligati a esercitare i loro poteri legislativi?“[30]

Dal testo si evince che il Vaticano sperava bene di poter fare vincere i propri interessi nel campo della libertà religiosa. La risposta di Murphy metteva in chiaro che il governo americano non avrebbe fatto nulla per limitare o dissuadere i tedeschi dall’esercizio della loro libertà religiosa e esprimeva anche una certa distanza dalle richieste del Papa: „Lei ha ragione nel credere che il governo militare americano non farebbe, né incoraggerebbe nessun altro a fare nulla che possa limitare l’esercizio della piena libertà religiosa. Non so di nessun passo fatto dai governi militari occidentali per scoraggiare i tedeschi dall’includere nella loro costituzione disposizioni per la piena libertà religiosa.“[31]

Il diritto all’autodeterminazione dei Länder tedeschi era quindi maggiore nel 1949 di quanto Aloysius Muench avesse probabilmente previsto inizialmente. In un rapporto destinato al Vaticano e datato all’agosto 1949, Böhler trovava parole molto chiare: „Dobbiamo portare il Concordato del Reich a pieno regime in tutti i Länder.“ Sosteneva anche che si doveva essere preparati al momento in cui sarebbe stata promulgata una nuova costituzione nella convinzione che il Grundgesetz avrebbe cessato di essere valido con la riunificazione. Secondo la vecchia versione del suo preambolo, il Grundgesetz era stato adottato solo per un periodo transitorio destinato a concludersi con una futura riunificazione delle due Germanie.[32] Böhler scriveva quindi che „dobbiamo essere armati per il momento nel quale dovrà formarsi una nuova costituzione.“[33]

3 Dibattiti pubblici e strategie vaticane

La questione dei Länder si sarebbe presentata come un problema serio per il Vaticano nel 1953. Dal 1953 al 1957, il governo Adenauer si trovò coinvolto in una disputa con il Land della Bassa Sassonia sulla questione del sistema scolastico confessionale di fronte al Bundesgerichtshof, la Corte di Cassazione tedesca.[34] L’oggetto della controversia giuridica era la divergenza di opinioni tra il governo federale e il Land su come la legge sul sistema scolastico pubblico del 14 settembre 1954 aveva violato il Concordato e quindi anche il diritto a livello federale di far osservare ai Länder trattati internazionali vincolanti. Il progetto di legge era stato presentato dalla fazione del Landtag della FDP già nel settembre 1953 con la richiesta di una nuova regolamentazione delle condizioni confessionali delle scuole elementari.[35] Aloysius Muench aveva obiettato che le disposizioni della proposta erano incompatibili con il Concordato, portando il governo federale a passare questa critica al ministro presidente della Bassa Sassonia. Vista l’impossibilità di arrivare ad un accordo, il 9 marzo 1955 il governo federale aveva preso la decisione di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale tedesca. I governi dei Länder Brema e Assia si unirono alla Bassa Sassonia.[36]

A differenza della Costituzione di Weimar, nella Germania post-bellica i Länder erano responsabili della sovranità culturale, ci si trovava quindi di fronte ad un’impasse, giacché i Länder non potevano essere visti come in dovere nei confronti dello stato federale.[37] Si arrivò dunque ad un processo che sarebbe stato concluso solo il 26 marzo 1957 davanti al Bundesverfassungsgericht.[38] La più alta istanza giuridica tedesca rigettò la posizione della Repubblica Federale, sostenendo che il Land poteva disporre liberamente della questione. Questa decisione appare importantissima per leggere le azioni della Chiesa alla metà degli anni ’50, come spiega il lavoro di Konrad Repgen.[39] Nel marzo 1957, la Corte Costituzionale tedesca aveva sì difeso l’autonomia del Land, ma anche dichiarato esplicitamente che, in qualità di tribunale nazionale, non poteva decidere sull’efficacia di un trattato stipulato sulla base al diritto internazionale.[40] Questo compromesso era insoddisfacente per tutte le parti. Si era arrivati ad un compromesso in cui la Chiesa poteva far riconoscere il Concordato in linea di principio, ma non farlo applicare pienamente ovunque.

Anche se un dibattito pubblico sul rapporto tra il Concordato e l’Ermächtigungsgesetz si sarebbe sviluppato negli anni ’70, già negli anni ’50 si era formata una chiara opposizione politica al Concordato che veniva spiegata attraverso il suo ruolo durante il Nazismo.[41] Il materiale d’archivio dimostra che questa disputa non servì a mitigare le pretese ecclesiastiche, ma a ribadire l’importanza della riconversione della società tedesca. La linea politica del Vaticano in Germania può quindi essere compresa solo sullo sfondo di una lotta in corso sulla validità del Concordato. Le reazioni di parti del mondo politico a queste ingerenze furono molto forti.

Gli anni del governo di Adenauer furono caratterizzati da un’opposizione intensa a quella che veniva percepita come una ‚clericalizzazione‘ della Germania da parte di differenti forze politiche. La Chiesa non era attaccata solo dalla SPD, ma anche dalla Freie Demokratische Partei (FDP) che conveniva in piena linea con i socialisti, mostrandosi un nemico tanto agguerrito quanto la SPD. Nel 1951 al congresso della FDP il deputato e ministro della giustizia Thomas Dehler aveva sostenuto che il Vaticano con il Concordato speculava sulla possibilità di costruire un regime „clerico-fascista“ con la Germania hitleriana. Per Dehler questo fascismo clericale era ancora presente e la conferma del Concordato nel 1951 da parte di Adenauer gli sembrava particolarmente scandalosa anche perché avvenuta sotto il presidente liberale Theodor Heuss.[42] Bisogna ricordare che proprio tra il 1953 e il 1954 era stata la sezione del Landtag della FDP a presentare il progetto sulla legge scolastica della Bassa Sassonia. Nel 1954 un altro membro della FDP aveva usato termini molto agguerriti contro il Vaticano: Gli ecclesiastici erano „inquisitori chiassosi“ („randalierende Inquisitoren“) e la RFT non era altro che „uno stato feudale governato dai cattolici“ („katholisch regierter Lehenstaat“).[43]

Nella „Süddeutsche Zeitung“, il dibattito sul Reichskonkordat venne condotto in termini ancor più polemici. Oltre a „fascismo clericale“ si parlava anche di un „Reichskonkordat totalitario“.[44] Il vescovo cattolico Johannes Neuhäusler e il politico socialdemocratico Georg-August Zinn, il primo ministro dell’Assia, si scambiarono critiche furiose: per Zinn si doveva parlare di un „Hitler-Concordat“.[45] Un altro autore arrivò a sostenere che il Concordato fu „l’arma di Hitler contro gli ebrei“.[46] Proprio Georg-August Zinn era a capo di un gruppo di investigatori per raccogliere prove della collaborazione della Chiesa cattolica con il regime nazista. Mentre la validità giuridica del Reichskonkordat doveva essere sancita dalla Corte Costituzionale tedesca, Zinn publicava la prima versione completa del testo del Concordato. Il Reichskonkordat del 1933 aveva incluso un’appendice segreta che regolava il ruolo della Chiesa cattolica nelle forze armate tedesche e in via provvisoria anche in caso di una futura guerra. Stabiliva, ad esempio, che i sacerdoti cattolici potessero essere reclutati come cappellani militari. Simili disposizioni potrebbero quindi suggerire che nel 1933 la Chiesa cattolica era già al corrente sui piani di riarmo di Hitler e sulla sua intenzione di non rispettare il Trattato di Versailles. Un simile Concordato, sosteneva Zinn, non sarebbe mai stato firmato da un governo democratico.[47]

È da notare che in questi vari articoli e documenti di accusa contro il Vaticano e il Reichskonkordat non veniva menzionato neanche con una parola il genocidio degli ebrei in Europa. Questo non sorprende considerando che diversi membri di spicco della FDP avevano un passato nazista. L’argomento rimase un tabù soprattutto perché le critiche anticattoliche si concentravano principalmente sul rapporto tra Chiesa e Stato, più che sulle più vaste implicazioni storiche che il Nazismo aveva avuto. Al congresso della FDP del 1956, Thomas Dehler dichiarò che il Reichskonkordat era „criminale“, perché sarebbe stato concluso „solo con l’obiettivo di trasformare la Germania, in collaborazione con il nazionalsocialismo, in uno stato clerico-fascista“.[48] In risposta a questo discorso, il nunzio apostolico a Bonn, Aloysius Muench, aveva convocato il ministro degli Esteri tedesco Heinrich von Brentano ad una conversazione privata durante la quale un reclamo formale del Vaticano era stato trasmesso al governo tedesco.[49]

Queste critiche erano viste dalla Chiesa come analoghe per natura alla persecuzione che sentiva di avere subito durante il Terzo Reich. Il vescovo di Osnabrück Wilhelm Berning scrivendo apertamente sulle elezioni del Bundestag del 1953, rispondeva indirettamente a queste esternazioni. Per Berning la Chiesa si trovava nella stessa posizione del Kulturkampf, degli scontri culturali politici degli anni ’20 e della Dittatura Nazionalsocialista. Berning parlava apertamente degli ostacoli alla ‚cristianizzazione‘ della vita sociale, dimostrando ancora una volta quanto fosse viva l’idea di una riconversione: „Come al tempo dell’infelice Kulturkampf, come al tempo dei conflitti politico-culturali degli anni venti, come al tempo del regime nazionalsocialista, anche oggi dobbiamo temere che si cerchi di impedire la cristianizzazione della vita sociale e pubblica, che si voglia costruire un mondo secolarizzato e spingere la chiesa di nuovo nello spazio puramente pastorale.“[50]

Questa lettera pastorale per la campagna elettorale faceva echeggiare le parole di Böhler evocando una società bisognosa di riconversione e ponendo sullo stesso piano diversi momenti della storia tedesca, tutti accomunati dal moderno secolarismo e dal rifiuto di un futuro religioso.[51] La Chiesa aveva raccolto questo articolo tra i suoi documenti testimoniando la consapevolezza di una politica diplomatica da longue durée. Nel 1953 una lettera del nunzio di Bonn a Domenico Tardini ammoniva contro „attacchi al concordato col Reich che costituivano … un atto d’ingratitudine verso la Augusta Persona del Santo Padre, il quale negli anni della prova si è rivelato amico vero e prezioso della Germania“.[52]

4 Ambizione e realtà della politica diplomatica vaticana

Riferendosi alla cerimonia di conferimento dell’Ordine dello Speron d’Oro ad Adenauer tenutasi nel gennaio 1956, il Cardinale Frings scriveva che per il Papa Adenauer poteva essere visto come uno dei più fermi baluardi del ‚occidente‘ cattolico.[53] Quest’Ordine era conferito a chi si era prodigato per diffondere la novella della Chiesa. La cerimonia formalizzava quindi l’alleanza tra Adenauer e Pacelli riconoscendo ufficialmente il cancelliere come alleato nella missione della Chiesa.

In quest’alleanza, c’era poco spazio per una cultura della memoria dei crimini nazisti e della Shoah. Sia conservatori cattolici in Germania sia membri del clero sostenevano un’interpretazione unilaterale della storia, in cui il cattolicesimo era interpretato come principale fonte di resistenza contro la Germania nazista. Nel discorso tenuto nel luglio 1956 in occasione dell’udienza privata ad Adenauer, dopo avere sottolineato due volte il ruolo del Concordato stretto durante il Nazismo, Papa Pio XII ricordava quanta forza e quanto „supporto ed equilibrio riconciliatorio“ („Halt und versöhnlicher Ausgleich“) la popolazione cattolica aveva portato tra estremi pericolosi nei buoni cosí come nei cattivi giorni dei decenni precedenti.[54] La mancanza di un accenno agli orrori della guerra ricorda la strategia conciliante che Daniel Anthony Binchy aveva descritto in termini di ‚soft peace‘ nei confronti della Germania post-nazista. Questa linea nei confronti della Germania era divenuta garanzia di potere per il Vaticano creando le condizioni per l’esercizio di ‚soft power‘. Ogni attacco alla Chiesa era di conseguenza visto come un segno di ingratitudine nei confronti della clemenza del Santo Padre verso la Germania.

Non sorprende che la paura del Comunismo come prodotto di esportazione sovietico apparisse in tutti i documenti di questi anni, nonostante il Vaticano vedesse come minaccia anche forze ben meno rivoluzionarie, come per esempio la FDP, che si era dimostrata un avversario quasi più agguerrito della SPD in Germania. La lotta per il Concordato non va interpretata come il richiudersi della Chiesa nella sfera familiare ed educativa, ma è al contrario il simbolo delle pretese di riconoscimento formale della Chiesa. Il dibattito sul Concordato del Reich si trasformò in un precedente per la definizione dei confini tra Stato e Chiesa. La lotta per il Concordato del Reich preannunciava già molte delle controversie sulla persona di Pio XII, che si sarebbero accese a livello mondiale solo dopo la rappresentazione e la pubblicazione del testo teatrale di Rolf Hochhuth „Der Stellvertreter“ nel 1963. „Per l’establishment politico della Germania occidentale“, conclude lo storico Mark Ruff, „Pio XII era un’icona sacrosanta per il suo sostegno ai tedeschi vinti“.[55]

Dopo che lo Stato federale della Bassa Sassonia si rifiutò di applicare il Concordato del Reich, la controversia sulla validità dell’accordo dovette essere risolta dalla Corte Costituzionale tedesca nel 1956/1957. In questo processo sensazionalistico, accompagnato da numerosi articoli di giornale e commentato da esperti storici, il ruolo della Chiesa durante il nazionalsocialismo venne discusso pubblicamente. Alla luce venne portato anche un allegato al Concordato con il Reich fino ad allora segreto, che presentava le negoziazioni che la Chiesa e il regime nazista avevano concluso nel 1933 delineando l’eventualità della cessazione del Trattato di Versailles o di una guerra. Questo documento regolava la posizione degli ecclesiastici in caso di mobilitazione bellica e servizio militare, il che aveva portato critici come Georg-August Zinn della SPD a ritenere che il Concordato non avrebbe mai potuto essere firmato da uno Stato democratico e senza l’Ermächtigungsgesetz di Hitler. Il parlamentarismo di Weimar avrebbe infatti portato al rifiuto delle sue disposizioni.

La sentenza della Corte Costituzionale fu un compromesso diplomatico non completamente soddisfacente per le parti coinvolte: se da un lato veniva confermata la validità del Concordato ai sensi del diritto internazionale, dall’altro la corte concedeva ai Länder tedeschi la libertà di decidere sulla sua attuazione, motivo per cui si rese necessario negoziare nuovi accordi con i singoli Länder. Ciò che la Chiesa aveva considerato come una vittoria legale, aveva però contemporaneamente portato a una più profonda messa in discussione della sua attività politica nella sfera pubblica.

Questo articolo ha anche mostrato il fallimento delle ambizioni vaticane in Europa occidentale. Se da un lato le questioni ecclesiastiche avevano dato adito a una riconversione della Germania occidentale come parte di un ‚Occidente‘ o ‚Abendland‘ cattolico, dall’altro il Vaticano si trovò ad affrontare una forte opposizione politica. I politici socialdemocratici e liberali accusarono esplicitamente Pio XII di aver cercato un’alleanza con Hitler nel 1933 e quindi Konrad Adenauer di aver consolidato una forma antidemocratica di ‚clerico-fascismo‘ dopo il 1945. In questo senso, le discussioni sulla validità del Reichskonkordat negli anni ’50 diedero impeto a dibattiti accademici che continuano fino ad oggi. Gli anni ’50, quindi, non furono segnati dal silenzio, ma piuttosto da conflitti e divisioni politiche che si irrigidirono attorno alla questione del ruolo che la Chiesa avrebbe dovuto svolgere nella Repubblica federale.

Dopo la fine della guerra, la Chiesa non era meramente interessata a mantenere lo status quo. La democratizzazione della Germania occidentale era vista dal Vaticano come un’opportunità per realizzare un Occidente cattolico. Il caso tedesco mostra che la speranza inespressa era quella di un ritorno ad una ‚vecchia Europa‘ in cui la Chiesa era fortemente coinvolta nella politica. Ancora negli anni ’50, il Vaticano pensava in termini di una longue durée, per cui la fine della Guerra veniva vista come un’opportunità per operare una forma di riconversione della società. La democratizzazione della Germania occidentale non era vista come minaccia per il Vaticano, ma come un’opportunità per vedere la propria influenza aumentare. Il più grande ostacolo all’attuazione di una politica cattolica nella Germania del Dopoguerra non era però più lo Stato tedesco, ma un’opinione pubblica più critica e laica che mai prima.

Published Online: 2023-11-14
Published in Print: 2023-11-08

© 2023 bei den Autorinnen und den Autoren, publiziert von De Gruyter.

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  36. Leitrezensionen
  37. Die zwei Dekretalenzeitalter im Vergleich
  38. Ehrenvolles Scheitern und ruhmreiches Nachleben
  39. Maritime Verflechtungsgeschichte(n)
  40. Allgemein, Mittelalter, Frühe Neuzeit, 19.–20. Jahrhundert
  41. Verzeichnis der Rezensentinnen und Rezensenten
  42. Register der in den Rezensionen genannten Autorinnen und Autoren
Downloaded on 20.9.2025 from https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/qufiab-2023-0019/html
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