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Tra reti politiche e prassi documentarie

A proposito di „Ein Reich ohne König?“ di Étienne Doublier
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Published/Copyright: November 7, 2025

Étienne Doublier presenta in questo ampio volume la sua Habilitationsschrift, discussa all’Università di Colonia nel 2023. Se il titolo potrebbe far pensare che il libro sia dedicato alle forme del governo imperiale in Italia, in effetti – come chiarisce il sottotitolo – la prospettiva è ben più innovativa, perché propone una riflessione su come si posero i poteri italiani di fronte al potere imperiale, tra accettazione, interpretazione e rappresentazione (e implicitamente resistenza). È un Impero fatto di persone, luoghi e azioni, prima che di istituzioni e ideologie, analizzato a partire dalle pratiche degli attori politici locali. Il periodo preso in esame va dal 1056 al 1152, ovvero dall’ascesa al trono di Enrico IV alla morte di Corrado III: è un periodo che complessivamente si può leggere in termini di allontanamento dell’Italia dal potere imperiale, ma proprio su questa interpretazione complessiva interviene Doublier, introducendo preziosi elementi di complessità e soprattutto mostrando come il processo non sia in alcun modo lineare.

Il volume affronta un tema così complesso sulla base di un’esaustiva ricognizione della documentazione pubblica e ampi sondaggi in quella privata, ponendosi in dialogo con alcuni dei più aggiornati orientamenti storiografici. La questione di fondo si articola in quattro chiavi di lettura, che vanno a costituire i quattro capitoli e delineano con chiarezza il questionario scientifico e le prospettive di indagine. Il primo capitolo („Motive, Wege und Träger der Interaktion“, pp. 35–156) si interroga sulle dinamiche di interazione tra aristocrazia e regno, con particolare attenzione ai momenti di convergenza dei potenti italiani alla corte imperiale. Il secondo („Zur südalpinen Mitwirkung an der königlichen Urkundenpraxis“, pp. 157–323) indaga il coinvolgimento degli italiani nella produzione della documentazione imperiale (e quindi in specifico le funzioni dei cancellieri). Nel terzo („‚Königliches‘ in den Urkunden italienischer Amtsträger und notarii“, pp. 324–457) Doublier rileva l’emergere di riferimenti all’Impero nella documentazione delle grandi chiese italiane. Infine il quarto („Könige und Königsherrschaft in der Literatur geschichtlichen Inhaltes“, pp. 458–586) riflette sulla rappresentazione del regno in alcune opere di contenuto storico prodotte in Italia tra XI e XII secolo.

Il cuore del volume e dell’indagine è rappresentato dai capitoli centrali, in cui Doublier sviluppa un’intensa, dettagliata e competente analisi della documentazione pubblica e privata del regno tra XI e XII secolo, che raggiunge risultati solidi e pienamente convincenti. Rispetto a questi capitoli, il primo capitolo si pone come premessa e contesto, interrogandosi sull’intensità e la continuità con cui gli italiani incontravano gli imperatori, un’analisi per cui Doublier valorizza pienamente le fonti disponibili. L’adesione al potere imperiale trovava infatti la sua prima espressione nella concreta convergenza dei nobili a corte, e da questo punto di vista i dati raccolti nel primo capitolo si legano strettamente alla scelta – del tutto condivisibile – di analizzare le circostanze di concessione dei diplomi, ovvero prima di tutto il rapporto tra il luogo di origine dei singoli aristocratici e i luoghi dove incontravano l’imperatore (nel capitolo 2.4, pp. 292–320), sulla base della fondamentale distinzione tra i momenti in cui i nobili andavano in Germania e quelli in cui attendevano l’imperatore in Italia. Ovviamente – ma non è e non poteva essere l’obiettivo di questo studio – ogni scelta dovrà poi essere contestualizzata nelle vicende del singolo attore politico, a cogliere le ragioni di urgenza che inducevano a sobbarcarsi l’oneroso viaggio in Germania per ottenere un diploma lontano dalle proprie terre, lontano da quei potenti vicini davanti a cui sarebbe stato utile ostentare il proprio legame intimo con l’imperatore. Ma è appunto un viaggio oneroso, che non sembra interpretabile tanto in termini di „Bereitschaft“ (pp. 292 sg., ma anche 303 e 319) degli italiani, quanto appunto di urgenza di ottenere un diploma, che andava a incrociarsi con la presa d’atto della duratura assenza dell’imperatore dall’Italia.

Questo livello di analisi minuta non poteva ovviamente trovare spazio nel libro; è invece centrale la questione del diverso peso da attribuire agli aristocratici laici, ai vescovi (che in misura significativa erano tedeschi ed emanazione diretta della corte imperiale) e infine all’aristocrazia romana, certo non esterna al sistema imperiale, ma i cui circuiti politici erano diversi e non del tutto riconducibili a quelli del regno italico. In sede di conclusioni del capitolo (p. 152) Doublier mette bene in luce come durante la minorità di Enrico IV il legame della corte imperiale con il regno italico fosse attivo, ma di fatto limitato ai vescovi, per poi notare come questa convergenza fosse connessa a „eine besondere Deutung und Idealvorstellung der politischen Ordnung“ (p. 591). Nel corso delle analisi più specifiche questa distinzione non sempre è messa adeguatamente in rilievo, con l’emergere a tratti di formulazioni che possono indurre a una lettura distorta: appare ad esempio difficile sostenere che negli anni Cinquanta dell’XI secolo ci sia una „relativ hohe Anzahl an Besuchen südalpiner Großer nördlich der Alpen“ (p. 41), se non si interpreta quei „südalpine Große“ come un riferimento ai vescovi. È quindi del tutto condivisibile l’idea che in quegli anni „mit dem König zu interagieren oder sogar zu kooperieren war … für all die Kräfte naheliegend, die an der allgemeinen politischen Stabilität interessiert waren“ (p. 89), ma mi pare fondamentale sottolineare anche che nessun laico adottava allora una prassi politica di questo genere. I grandi aristocratici non erano interessati alla stabilità politica, o forse – più probabilmente – trovavano altre vie per la stabilità, su base relazionale e in una prospettiva regionale.

Questa strutturale debolezza del legame tra regno e aristocrazia sembra d’altronde sfumare la rilevanza del mutamento che si attua alla fine del secolo (che Doublier sottolinea ad esempio a pp. 96 sg.), mutamento che fu senza dubbio rilevante per quanto riguarda le pratiche e le forme della documentazione (ad esempio pp. 205 e 207 sg.), ma che si era in gran parte realizzato mezzo secolo prima nelle prassi politiche dell’aristocrazia. Se per l’età di Enrico V si può parlare di una „nahezu vollständige Entfremdung“ tra l’Italia e la corte (p. 154), il legame tra l’Impero e le maggiori dinastie risulta debole già nei decenni precedenti: i grandi laici non trasformavano la propria fedeltà all’Impero in una pratica politica e al contempo l’Impero non aveva la capacità di nominare nuovi conti e marchesi, ma di fatto solo nuovi vescovi (una differenza, questa, che Doublier forse non mette sufficientemente in evidenza).

Due ulteriori vie di analisi si aprono potenzialmente alla riflessione sui nessi tra la società italiana e l’Impero: la rappresentazione dell’Impero nelle cronache e le dinamiche connesse ai beni fiscali. Doublier percorre la prima strada, non la seconda: vediamo quindi più in dettaglio potenzialità e procedure di queste due linee di analisi. Per quanto riguarda le cronache, il quarto capitolo si pone su una consolidata linea di analisi delle fonti narrative come espressione dei quadri ideologici e della cultura politica degli autori, riflettendo sulla rappresentazione del potere imperiale quale si può trovare nei testi di Benzone d’Alba, Landolfo Seniore, Arnolfo, Landolfo di San Paolo e Donizone. Le analisi dei singoli testi appaiono informate e convincenti, con importanti differenze tra le diverse culture politiche qui espresse, che condividono la constatazione dell’ampia autonomia dei prìncipi; tuttavia desta qualche perplessità la scelta dei testi presi in esame. I due criteri di selezione esplicitati (pp. 461 sg.) sono la presenza di un contenuto propriamente storico e un contesto di produzione identificabile, eppure il volume non prende in considerazione testi che rientrerebbero in pieno in tali criteri, come le grandi cronache monastiche (Farfa, Casauria, Novalesa), né quelle di città diverse da Milano (mentre ad esempio Pisa avrebbe offerto testi significativi). Di fatto, restano al di fuori dell’indagine numerosi testi espressi dalle diverse componenti dei gruppi dominanti italiani, proprio quegli attori politici la cui accettazione o meno del potere imperiale è l’oggetto della ricerca; l’esito è una strana Italia, con un centro posto su Milano che di fatto cancella ogni altra città e la completa esclusione delle memorie monastiche, portatrici probabilmente di una cultura politica specifica (come sembra suggerire lo stesso Doublier a p. 512). Resta nel complesso irrisolta la questione della rappresentatività di questi testi e risulta difficile cogliere in che misura permettano di comprendere complessivamente l’atteggiamento dei poteri locali italiani nei confronti dell’Impero.

Per alcune fonti – non per tutte quelle che ho appena citato – una chiave per comprendere l’esclusione si coglie quando Doublier dichiara di non analizzare i testi che non trattano dell’Impero o lo fanno in minima parte (pp. 463 e 583 sg.). Qui però mi sembra emergere un errore di metodo, poiché il fatto che molti testi parlino poco o nulla del regno non è un motivo per escluderli, ma è invece un dato storico in sé: la narrazione storica italiana tra XI e XII secolo in larga misura poteva prescindere dal regno e questo è un elemento con cui fare i conti, è l’espressione di una cultura storico-politica che cerca un equilibrio senza un re/imperatore. Una lettura di questi silenzi, ovvero dei tempi e dei contesti in cui gli autori scelgono di escludere l’Impero dalla narrazione, avrebbe probabilmente aiutato a dare più sostanza all’ipotesi che l’Italia potesse fare a meno del re, che fosse un „Reich ohne König“.

Una scelta sicuramente meditata e consapevole è quella che ha portato Doublier a non trattare dei beni fiscali, recentemente posti al centro delle attenzioni di diversi gruppi di ricerca. Il fisco è il grande assente di tutto il libro: un regno senza re e un re senza patrimonio? Non pare essere questa la tesi di Doublier, che più semplicemente sceglie di non trattare il tema, senza esplicitare la scelta né le sue motivazioni. Giustamente il libro si muove in una prospettiva di Interaktionsdynamik (ad esempio a p. 37) e concentra la propria attenzione sulle persone, sulle loro pratiche politiche e sui loro legami con il regno; ma in questo quadro sorprende che non rifletta sui contenuti di queste relazioni e di questo scambio, ovvero sulla componente concreta della redistribuzione.

Nei capitoli 2 e 3 Doublier esprime al meglio la forza della sua analisi documentaria e soprattutto una non comune capacità di integrare competenze storiche, paleografiche e diplomatistiche, oltre a una costante attenzione per il cerimoniale. Non si può qui dare conto in modo esauriente delle analisi, dei risultati e delle suggestioni che il libro propone: dall’evoluzione (o meglio, in larga misura involuzione) delle capacità grafiche degli scribi italiani, alle forme di ripresa e imitazione dei modelli documentari e grafici degli atti imperiali, al mutamento non lineare delle sedi di concessione dei diplomi e di riunione delle assemblee giudiziarie. Nel complesso – sulla linea di una solida storiografia soprattutto tedesca – emerge con evidenza la natura bilaterale della comunicazione politica espressa nella documentazione imperiale, i cui destinatari non sono passivi fruitori delle concessioni e delle enunciazioni ideologiche imperiali.

Se non tutto appare condivisibile nello studio di Doublier (come peraltro è ovvio, in una ricerca di tale ampiezza), il volume si propone indubbiamente come un punto di riferimento imprescindibile per la ricerca sui funzionamenti politici del regno italico nei secoli XI e XII, sia per i dati che presenta e le interpretazioni che propone, sia per gli interrogativi che apre, che sono di fatto altrettanti spunti per future ricerche.


Recensione di

Étienne Doublier, Ein Reich ohne König? Akzeptanz, Deutung und Repräsentation königlicher Herrschaft im regnum Italicum zwischen dem 11. und 12. Jahrhundert, Wiesbaden (Harrassowitz) 2024 (Monumenta Germaniae Historica. Schriften 84), LXXIV, 666 pp., ISBN 978-3-447-12274-0, € 115.


Published Online: 2025-11-07
Published in Print: 2025-11-03

© 2025 bei den Autorinnen und den Autoren, publiziert von De Gruyter.

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