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Narrazione e percezione dell’impero nella cronachistica

Riflessioni iniziali (XIV sec.)
  • Caterina Cappuccio ORCID logo EMAIL logo
Published/Copyright: November 7, 2025

Abstract

This essay investigates the narration of the late medieval empire in chronicles from areas south of the Alps. The performativity, narration and self-representation of the individuals heading governmental and administrative political institutions such as the Empire and their officials played a key role, making deliberate use of discourses, symbols and communicative processes. The study is also accompanied by an examination of the reception, perception and narration of political power by individual authors and in different local contexts. The analysis aims to understand both the image of power transmitted to contemporaries, and the actors and mechanisms that underpinned its manifestation, as well as the individuals in whom decision-making power resided and the cultures and values from which an idea of power developed and found meaning within a political regime. The survey deals specifically with the reception of the imperial ideal in the chronicles of Matteo Villani and Donato di Neri and in the „Liber de coronatione Caroli IV“. Specifically, it focuses on the claims and actions of government in areas south of the Alps, demonstrating the persisting vitality of the fourteenth-century Empire in the territories of Reichsitalien.

Dopo la morte di Federico II nel 1250 l’impero è stato per molto tempo studiato attraverso la lente storiografica della crisi, una categoria impiegata inizialmente per riferirsi alle circostanze proprie dell’interregno, ma poi, di fatto, estesa anche all’impero del XIV secolo, spesso associando la crisi dell’impero a una mancata pretesa universalistica.[1] Si tratta di un paradigma storiografico ormai superato.[2] Uno degli assunti da cui parte la recente raccolta di studi „Emperors and Imperial Discourse in Italy c. 1300–1500“ curata da Anne Huijbers (2022) è l’elaborazione e diffusione continua, anche nel XIV secolo, del discorso imperiale, pienamente consapevole della sua pretesa universalistica.[3] Un approccio di tal genere, focalizzato sullo studio del discorso e della narrativa imperiale, è senz’altro anche debitore di tutta la svolta della storiografia legata all’uso dei linguaggi politici, e ancora di più, di impronta foucaultiana legata allo studio del discorso.[4] In questo volume l’impero tardo medievale e le sue relazioni con l’Italia sono affrontate attraverso una prospettiva consapevole degli eventi, soffermandosi anche sulla loro semantica e narrativa.[5] Un secondo volume, pubblicato nel 2023, „Carlo IV nell’Italia del Trecento“, curato da Daniela Rando ed Eva Schlotheuber, fa emergere con pari chiarezza la forte compenetrazione tra la rete politica dei sostenitori dell’imperatore e la rete degli attori più prettamente culturali, coinvolti nell’elaborazione e diffusione dell’ideale imperiale. È proprio grazie al sostegno di tali reti, che permisero una conoscenza più approfondita e delle dinamiche curiali e delle dinamiche politiche cittadine, che l’impero di Carlo IV rappresentò un momento di rottura nelle relazioni con l’Italia, rispetto all’operato dei suoi predecessori.[6]

La categoria della crisi, tra l’altro, non sembra spiegare adeguatamente la fioritura delle coeve opere degli intellettuali tese a una nuova definizione dei poteri universali – basti pensare alle teorie imperiali dantesche o alla complessità e importanza di un testo quale il „Defensor Pacis“ di Marsilio da Padova.[7] La presenza e, soprattutto, la diffusione di opere di tale portata non solo attesta con chiarezza l’inesausta tensione intellettuale alla definizione e propaganda del potere imperiale, ma rende soprattutto possibile identificare una sorta di sostrato teoretico in cui si collocava l’azione imperiale; si tratta inoltre di opere che contribuivano in modo significativo sia all’elaborazione che alla diffusione del discorso imperiale.

Alle opere afferenti a un genere trattatistico sono necessariamente da affiancare i testi di carattere più prettamente cronachistico: è in essi che vengono riportate non solo le azioni e iniziative imperiali e i loro risultati, ma anche le aspettative e le percezioni ad esse associate. Per cogliere l’elaborazione, la diffusione e la percezione del discorso imperiale a sud delle Alpi nel tardo medioevo, nelle pagine che seguono mi concentrerò su alcune fonti narrative, particolarmente esemplificative ed espressive del rapporto del Reichsitalien con l’impero. La loro analisi è ben consolidata nella ricerca italiana e ha già raggiunto risultati importanti: tale approccio offre uno sguardo straordinario sull’azione politica imperiale nelle città, sulla percezione dell’impero nel mondo a sud delle Alpi e infine permette soprattutto di cogliere come questa visione si diffuse nel complesso scacchiere delle alleanze intra cittadine, nonché tra i singoli protagonisti politici. Pertanto lo studio della narrazione si legherà qui inscindibilmente alla complessa tematica della ricezione del potere imperiale nonché delle sue iniziative e azioni politiche da parte dei cronisti a sud delle Alpi. Intendo soffermarmi sulla narrazione del potere imperiale nella „Nuova Cronica“ di Matteo Villani e nelle cronache di provenienza senese, relativamente alla discesa e incoronazione di Carlo IV. Come è recepito e tratteggiato il potere imperiale in questi testi? Quali elementi dell’autorità di Carlo IV vengono messi in luce? La narrazione dell’impero nelle cronache menzionate verrà in un secondo momento messa brevemente a confronto con la narrazione proposta nel „Liber de coronatione Caroli IV“ di Giovanni Porta de Annoniaco, così da evidenziare le sostanziali differenze nella costruzione del discorso imperiale.

La „Nuova Cronica“ di Matteo Villani

Come ha recentemente sottolineato Gian Maria Varanini, molte delle cronache trecentesche non si soffermano particolarmente sul ruolo dell’Impero nelle vicende italiane, ma delineano piuttosto gli sviluppi delle città, limitandosi spesso a evidenziare le conseguenze politiche del passaggio degli imperatori nella vita cittadina.[8] Nel contesto appena tratteggiato, la „Nuova Cronica“ di Matteo Villani costituisce un’eccezione, perché offre spunti interessanti sulla percezione dell’impero a sud delle Alpi – anche se ovviamente dal punto di vista di un cronista guelfo.[9] La cronica si configura come la continuazione del testo del fratello Giovanni Villani, morto a causa della peste nel 1348.[10]

Probabilmente redatta a partire dal 1356, la cronica di Matteo Villani comprende l’arco di tempo intercorso tra il 1348 e la nuova ondata di pestilenza del 1363. Il focus della narrazione è senz’altro costituito dagli avvenimenti riguardanti le città della Toscana, ma Matteo Villani dedica ampio spazio ai soggiorni di Carlo IV in Italia. Tuttavia, l’orizzonte in cui si collocano i giudizi sull’operato imperiale non sembra mai riguardare le vicende imperiali a nord delle Alpi e già questo è degno di nota. L’impero è considerato da Matteo Villani in linea generale come un soggetto semi-interno al complesso quadro politico subalpino, quindi come un attore politico che si inserisce nelle vicende locali e sovralocali generando una serie di rivolgimenti a livello della politica cittadina. Sono in particolare i libri III–IV–V a trattare della discesa e del primo soggiorno di Carlo IV in Italia. L’occasione del Romzug di Carlo IV per ricevere l’incoronazione imperiale offre per Matteo Villani lo spunto anche per fornire alcune riflessioni di carattere molto più ampio e generale, a tratti anche estremamente teorico, proprio in merito al rapporto dell’imperatore con il mondo a sud delle Alpi.[11]

Vorrei qui sottolineare alcuni momenti della descrizione di Carlo IV di Matteo Villani: nel libro IV, al capitolo 74, della sua cronica ne descrive con minuzia di particolari non solo l’aspetto fisico, ma anche l’atteggiamento nel corso delle udienze. A seguire, Villani evidenzia l’atteggiamento distaccato di Carlo nei confronti dei ghibellini d’Italia che erano più soliti portare avanti i propri interessi che quelli della corona imperiale.[12] Sempre nel libro IV, poco oltre, e così anche nel prologo del libro V, Matteo Villani offre alcuni importanti spunti relativi al rapporto delle città con l’impero e tra loro stesse: era la libertà propria delle città – massimamente dei toscani e di Roma – e soprattutto la loro eredità di partecipazione al popolo romano, ciò che creava gli imperatori: una questione ormai disdegnata poiché l’elezione imperiale, con la Bolla d’Oro, era ormai di „sette principi d’Alamagna“.[13] Matteo Villani disegna dunque un impero fortemente spaccato tra i suoi territori a nord e sud delle Alpi: è da tale percezione che deriva probabilmente l’incapacità degli imperatori, tratteggiata e ripresa più volte nella Cronica, di governare e interagire efficacemente con le realtà del Reichsitalien. Questa incapacità deriva però anche dalla distanza degli imperatori dai domini subalpini, una distanza che è prima di tutto fisica („volendo col senno e colla forza dalla Magna reggere li italiani, e non lo sanno e no llo possono fare“) ma riguarda anche i costumi, la lingua, descritti dal Villani come „berberi“.[14]

Nel prologo del libro V Matteo Villani si esprime in maniera decisamente più teoretica sulla natura e sul ruolo dell’impero. L’imperatore, infatti, sorpassa gli altri nomi per la sua importanza ed era solito poter esercitare il suo potere su tutte le nazioni dell’universo, ma, ormai, la sua influenza si era estremamente ridotta ed erano pochi i re, signori e tiranni e comuni ancora a lui fedeli. Segue poi la motivazione di questa scarsa presenza dell’impero e della riduzione della sua area di influenza, identificata da Villani, ancora una volta, con la „germanizzazione“ dell’impero, che trova la sua massima espressione con le nuove norme dell’elezione imperiale.[15] Il giudizio negativo di Matteo Villani sull’impero ha le sue radici nella lontananza dell’impero dal costume e uso romano e nella sua sempre più radicale germanizzazione, particolarmente evidente nell’elezione del re-imperatore soprattutto a seguito della Bolla d’Oro. Questo giudizio trova per Villani ulteriore conferma e massima espressione nella figura di Carlo IV che, pur ricevuta l’incoronazione in Italia, si affrettò a tornare in Germania, non avendo però gloria alcuna dalle sue operazioni nel territorio italiano e soprattutto avendo addirittura sminuito l’onore imperiale: il giudizio negativo espresso è con tutta probabilità riferito ai patteggiamenti di Carlo IV con le città.[16]

La narrazione dell’impero, e in particolare dell’imperatore, si lega quindi nella cronica di Matteo Villani fortemente e principalmente al suo elemento germanico e alla lontananza dal sistema politico delle città del Reichsitalien. La lontananza dell’Impero è ulteriormente evidenziata dalle procedure normate dell’elezione imperiale che escludono, anche a livello normativo, sancendo una situazione di fatto già stabilizzatasi, qualsiasi possibilità di interferenza da parte del Reichsitalien, con la nomina dei sette grandi elettori. L’impero è dunque un elemento esterno, un elemento senz’altro presente, ma che costituisce più che altro la cornice giuridica e ideale entro la quale collocare le esperienze cittadine e che rimane in certa misura fortemente contrapposto alla libertas delle esperienze cittadine. Questa narrazione dell’impero e, in particolare, la germanizzazione dell’impero, così evidente nella „Cronica“ di Matteo Villani e la conseguente della percezione dell’impero come un attore esterno alle vicende italiane, contrapposto alla libertas cittadina è un assunto che ha avuto risvolti storiografici di lunghissima durata, soprattutto in ambito italiano.[17]

Le cronache senesi

Le cronache provenienti dalla città di Siena danno una descrizione tutto sommato tra loro concorde e univoca dell’operato di Carlo IV nella loro città. La „Cronaca“ di Donato di Neri e la „Cronaca“ di un autore anonimo del secolo XIV sono accomunate da uno sguardo fortemente locale, incentrato in particolare sulle rivoluzioni politiche conseguenti al passaggio e al soggiorno di Carlo IV nelle città toscane.[18] Senz’altro la cronaca anonima restituisce una visione ancora più limitata allo spazio politico senese dell’azione di Carlo IV, soffermandosi sul suo arrivo nel 1354 allorché, come noto, i Nove furono spodestati per volere del popolo minuto e si verificò un cambio di regime nella città, appoggiato da Carlo IV stesso; analogamente scarna è la narrazione del secondo passaggio di Carlo IV nel 1368.[19] Non emerge affatto, dunque, dalla narrazione della cronaca anonima, una progettualità politica ben definita di Carlo IV, il quale sembra piuttosto seguire le sollecitazioni del popolo minuto, bensì è il popolo a sfruttare con estrema consapevolezza il passaggio dell’imperatore per imporre un cambio di regime alla città. Inoltre, a differenza del racconto di Matteo Villani, non sono presenti excursus sulla natura del governo imperiale, o giudizi di più ampio respiro sulle azioni politiche di Carlo IV in Italia.

Diversa è la narrazione della discesa a sud delle Alpi di Carlo IV da parte di Donato di Neri nella sua cronaca: Donato di Neri non si limita a descriverne gli effetti per lo spazio politico senese, ma osserva e descrive anche con dovizia di dettagli gli effetti seguiti all’arrivo dell’imperatore anche in altre città toscane, in particolare Pisa.[20] L’ampliamento dello sguardo non solo limitato a una città, ma relativo allo spazio politico più ampio della Toscana, lascia trasparire con maggiore chiarezza la percezione dell’impero rappresentata da Donato di Neri, nonché la presenza di un vero e proprio disegno imperiale di Carlo IV in un sistema politico sovralocale, e in particolare quello toscano, sfaccettato e complesso.[21] Anche nel racconto di Donato di Neri emerge chiaramente lo sfruttamento, da parte delle diverse fazioni cittadine, della presenza dell’imperatore per risolvere questioni interne e ottenere dei cambi di governo (e di alleanze), che portarono infatti alla soppressione del regime dei Nove.[22] Nella descrizione degli eventi pisani nel 1354, l’arrivo di Carlo IV a Pisa fu preceduto dai suoi ambasciatori che annunciarono alla città che l’imperatore

„volea fare grande Pisa, per cagione che per antico aveano fatto grande onore a lo nperio, e massime al suo avolo, e non solamente a lui, ma a tutti gli imperatori passati dicendo: lui viene per vendicarsi e vindicare voi del sangue, che voi avete sparto per lo ‚nperio ne‘ tempi passati, e per volervi rimeritare degli affanni e danni che avete avuto e sostenuti per difendere lo nperio e per parte ghibellina“.[23]

Per portare a termine tutto ciò l’imperatore non sembra richiedere l’aiuto dei pisani, perché, viene detto poco oltre, l’imperatore era ricco di denari e di alleati in suo favore.

A differenza anche di quanto affermato da Matteo Villani, questo passaggio permette di cogliere uno sguardo realmente imperiale di Carlo IV, nonché un vero e proprio progetto politico, al di là di un mero esercizio dell’arbitrato nelle importanti questioni politiche cittadine: egli si presenta a Pisa in primo luogo in continuità con i suoi predecessori, richiamando le azioni di Enrico VII, ma anche come difensore delle parti imperiali italiane, in grado di risarcire le città dai danni subiti per la promozione della sua parte.[24] Anche dunque nel sostegno alle partes imperiales lo sguardo delle cronache senesi si distanzia dal quadro offerto dalla cronaca di Matteo Villani, che aveva evidenziato un certo disinteresse di Carlo IV per i ghibellini d’Italia.[25]

Il „Liber de coronatione Caroli IV“

Per tentare di cogliere la complessità della narrazione dell’impero non solo prendendo spunto dal mondo politico cittadino, ma utilizzando un punto di osservazione più esterno, vorrei proporre alcuni spunti a partire dal „Liber de coronatione Caroli IV“ di Giovanni Porta. Redatto dal cappellano e segretario del cardinale Pietro Colombario (Pierre Bertrand de Jeune) il „Liber de coronatione Caroli IV“ rappresenta una fonte eccezionale sull’arrivo di Carlo IV a Roma e sui simboli e sul cerimoniale seguito nel corso dell’incoronazione.[26] L’aspetto della comunicazione simbolica del potere è ovviamente tutt’altro che secondario qualora ci si interroghi sulla narrazione e la semantica del potere imperiale trecentesco. Molti aspetti del passaggio di Carlo IV in Italia in occasione della sua incoronazione sono stati studiati da Martin Bauch come espressione della pietas dell’imperatore;[27] una tesi che è anche confermata dal racconto del „Liber“ dell’arrivo di Carlo IV a Roma di nascosto, così come le successive visite ad alcune chiese romane. Tuttavia, Eva Schlotheuber ha recentemente messo bene in luce come alcuni aspetti di questo soggiorno – ad esempio per Carlo IV il passaggio a Pisa con la sua partecipazione alla celebrazione in suffragio di Enrico VII descritta nel „Liber“, abbiano perseguito in realtà il preciso scopo politico di dimostrare una nuova, pur fragile, concordia tra impero e papato, e non siano riducibili alla mera espressione della religiosità.[28] Esempi ulteriori in questa direzione sono offerti dal giuramento che Carlo IV, come tutti i suoi predecessori, presta a Roma alla città di Roma, prima di essere incoronato imperatore.[29] Ancora una volta, similmente a quanto osservato nella cronaca senese di Donato di Neri, Carlo IV si pone nella chiara consapevolezza di una continuità con i suoi predecessori. A questo giuramento nei confronti della città segue quello prestato da Carlo di difendere l’honor della Chiesa, infine avviene l’incoronazione imperiale il 5 aprile 1355 per mano del cardinale Pietro Colombario, secondo quanto prescritto nel pontificale e sempre secondo l’uso e la consuetudine delle incoronazioni imperiali.[30] Ovviamente l’assenza del pontefice condizionò il cerimoniale seguito nel corso dell’incoronazione e alcuni atti dal forte valore simbolico e performativo come lo Stratordienst non ebbero luogo. Anche il successivo incontro a Siena, tra l’imperatore, il legato papale per l’Italia Egidio Albornoz e il cardinale Pietro Colombario, descritto nel capitolo 56 del „Liber de coronatione“, intende mostrare la rinnovata collaborazione tra l’impero e il papato.[31] Gli effetti politici di questo accordo sono noti e da rintracciare nella Bolla d’Oro del 1356, con la quale non solo gli elettori furono limitati al mondo nord alpino, ma soprattutto venne abolita l’approvazione papale dell’imperatore e il diritto papale al vicariato imperiale.[32]

Spunti e prospettive

Lo studio della percezione e narrazione del potere imperiale in fonti differenti relative a contesti tra loro tangenzialmente o a volte intrinsecamente connessi permette di uscire definitivamente dalla categoria della crisi a lungo associata all’impero del XIV secolo, nonché di ottenere uno sguardo ampio che comprende sia i sistemi politici particolari che il potere universale.[33] Si tratta di uno sguardo che può senz’altro essere ulteriormente ampliato, mettendo in futuro a confronto tale narrazione con quanto elaborato dagli intellettuali più vicini alla corte di Carlo IV, in modo da ottenere un quadro ancora più composito dell’ideale imperiale, dei suoi mutamenti e della sua narrazione nel corso del XIV secolo.[34]

Il discorso di Matteo Villani permette di cogliere senz’altro una delle visioni (di parte guelfa, ovviamente) della presenza imperiale nei territori del Reichsitalien. Villani colloca la presenza imperiale dentro il contesto più ampio e generale del complicato scacchiere politico subalpino; egli attribuisce all’istituzione imperiale una qualche debolezza, soprattutto, sembra, dovuta alla sua germanizzazione. Tuttavia non nega affatto l’appartenenza delle città a tale sistema di potere; ma soprattutto ancora nei suoi scritti si riconosce con chiarezza, quantomeno a livello teoretico, l’impero come il grande quadro politico di riferimento e quale in qualche caso dietro pagamento, garante della libertà delle città. Più incisivo nella descrizione delle conseguenze a livello politico è il ritratto di Carlo IV in Toscana tratteggiato dalla cronaca di Donato di Neri. Oltre ai rivolgimenti politici già ben noti alla storiografia, è in particolar modo il racconto dell’annuncio dell’arrivo dell’imperatore a Pisa che fa chiaramente emergere la consapevolezza dell’impero e del suo rapporto attivo con il Reichsitalien. Infine, il „Liber de coronatione Caroli IV“, con il racconto dell’incoronazione di Carlo IV, e principalmente, attraverso la presentazione della rinnovata concordia (o forse, sarebbe meglio dire, della più chiara separazione dei due poteri) con il papato, e delle trattative con il cardinale Albornoz, dimostra ancora una volta come il passaggio di Carlo IV in Italia avesse un chiaro scopo politico e un consapevole disegno imperiale, un disegno a tratti rintracciabile anche nelle diverse narrazioni delle cronache subalpine riprese nelle scorse pagine.[35]

Published Online: 2025-11-07
Published in Print: 2025-11-03

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