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Italianismi commerciali di origine settentrionale nel Frühneuhochdeutsch e nel Vroegnieuwnederlands

Fonti e dinamiche di prestito
  • Davide Basaldella EMAIL logo
Veröffentlicht/Copyright: 3. Dezember 2024
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Abstract

This contribution analyses a number of trade terms of Northern Italo-Romance origin attested in German and Dutch documentation between the 14th and 17th centuries. In both cases, the borrowings are first presented with brief historical contextualizations. Next, the sources attesting the borrowings are examined and the dynamics of their dissemination are discussed, starting with the analysis of two conversation manuals composed between the 15th and 16th centuries. Finally, some concluding considerations are proposed, highlighting points of convergence and divergence between the German and Dutch cases.

1 Introduzione

Notava Alberto Varvaro che «la lunga prevalenza dei mercanti e soprattutto dei finanzieri italiani in Europa ha lasciato tali tracce linguistiche e culturali da non potersi dubitare che questa sia la prima significativa proiezione dell’Italia oltre le Alpi» (Varvaro 2003, 81). Tra queste tracce rientra naturalmente l’amplissima diffusione europea della terminologia commerciale italiana, fenomeno che interessò non solo il Medioevo, ma anche la prima età moderna, e che – come sottolinea Paola Manni (2012, 39, 44–45) – procedette su due binari paralleli: se da una parte, infatti, soprattutto in una prima fase, la terminologia commerciale fu diffusa attraverso scambi diretti tra mercanti italiani e stranieri, che si incontravano quotidianamente nelle piazze europee, un altro importante veicolo di diffusione furono le lettere commerciali e i manuali d’impostazione teorico-pedagogica, come la Summa de arithmetica di Luca Pacioli, che all’estero conobbero numerosissime rielaborazioni e adattamenti.[1]

Malgrado gli studiosi siano concordi nel riconoscere l’influenza esercitata dall’italiano sul lessico commerciale delle altre lingue europee, «le conseguenze linguistiche di una così ampia circolazione di uomini, merci e denaro restano ancora poco indagate» (Baglioni 2016, 127). A questo proposito, gli studi attualmente esistenti hanno enfatizzato il ruolo esercitato dal fiorentino, o più in generale dal toscano, sottolineando come esso abbia dato vita a vere e proprie scriptae autonome al di fuori dei confini nazionali[2] e come, al contempo, costituisca la varietà «su cui si sono plasmati gli italianismi più antichi che si sono insediati nelle diverse lingue» (Manni 2012, 38).[3] Tuttavia, «se certamente precoce e prioritario fu il prestigio del modello fiorentino, per un lasso temporale non indifferente, tale modello troverà [...] in Italia e anche al di fuori dei confini d’Italia, altri modelli linguistici concorrenziali, diffusi da altri e significativi poli economico-culturali dell’Italia medievale, rinascimentale e moderna» (Banfi 2014, 23). Tra questi un ruolo particolarmente rilevante ebbero, in ambito commerciale, alcune varietà settentrionali (il veneziano in primis), che hanno lasciato tracce significative, non solo – com’è da tempo risaputo – nel bacino mediterraneo, ma anche a Nord delle Alpi.

A testimonianza di ciò si possono citare i numerosi settentrionalismi commerciali rinvenuti da Marjatta Wis (1955) e da Eva Maria Wilhelm (2013) nelle fonti tedesche dei secoli XIV–XVIII, o quelli individuati da José de Bruijn-van der Helm (1992) nella documentazione neerlandese cinque e seicentesca, che finora non hanno ricevuto l’attenzione che meritavano.[4] Nel presente contributo ci concentreremo, per l’appunto, sull’analisi di alcuni settentrionalismi attestati nel Frühneuhochdeutsch e nel Vroegnieuwnederlands, cioè rispettivamente nel tedesco impiegato grosso modo tra il 1350 e il 1650 e nel neerlandese in uso tra il 1550 e il 1650 circa (Ebert/Reichmann/Solms/Wegera 1993, 5; van Leuvensteijn/Pijnenburg/van den Toorn 1997). In entrambi i casi si presenteranno prima i prestiti in questione, preceduti da brevi contestualizzazioni storiche (§§2; 3); successivamente ci si soffermerà sulle fonti che contengono i settentrionalismi (§§2.1; 3.1) e si analizzeranno le dinamiche della loro diffusione, a partire dall’esame di due manuali didattici composti tra il Quattro e il Cinquecento (§§2.2; 3.2). Infine, si proporranno alcune considerazioni conclusive, evidenziando i punti di convergenza e di divergenza tra il caso tedesco e quello neerlandese (§4).

2 Tra Italia e Germania

I contatti commerciali tra l’Italia settentrionale e la Germania furono notoriamente molto assidui nel corso del Medioevo e della prima età moderna, coinvolgendo principalmente centri come Venezia, Genova, Milano e le città «dell’Alta Germania, specialmente favorite dalla loro posizione geografica» (Wis 1955, 12–17). Come nota Philippe Braunstein (2016, 8–11), nella maggior parte dei casi lo scambio non fu a doppio senso: prima del XVI secolo i soggiorni dei mercanti italiani in Germania furono proporzionalmente scarsi e i pochi residenti che vivevano nelle città tedesche erano «soit des représentants temporaires de sociétés commerciales, soit des prêteurs et banquiers, particulièrement visibles en Rhénanie, soit quelques artisans ou techniciens de haut niveau sollicités par une ville, une église ou un prince». Al contrario, fin dall’XI secolo, i viaggi compiuti dai mercanti tedeschi al di qua delle Alpi furono continui e, molto spesso, le città del Nord Italia divennero meta di veri e propri apprendistati commerciali;[5] un fatto questo notoriamente motivato da un «dislivello culturale» in ambito commerciale, «rivolto dall’Italia settentrionale in direzione nord, verso l’Austria, la Germania Meridionale e la Svizzera» (Pfister 1983, 257).[6]

Proprio tale dislivello spiega il grande travaso di terminologia commerciale italiana nel tedesco, che si verificò principalmente tra il XIV e il XVII secolo. Sugli italianismi commerciali del Frühneuhochdeutsch disponiamo già di alcuni studi: più di 900 sono i prestiti rinvenuti da Wis (1955) nelle fonti tedesche comprese tra il Trecento e il Cinquecento. Circa 400 sono, inoltre, gli italianismi specificamente inerenti al commercio individuati da Wilhelm (2013) tra il XIV e il XVIII secolo.[7] Quel che importa maggiormente notare, però, è che all’interno di questi prestiti diverse sono le forme che presentano spie fonetiche o morfologiche che indiziano una provenienza italoromanza settentrionale.[8] Tra di esse si possono citare la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche, come in karg ‘carico’, carga ‘unità di misura di peso’, cargieren ‘caricare (merci su una nave)’, cavedal ‘capitale’, fontigo, intrada ‘entrata contabile’, partyda ‘partita contabile’, rysigo, stimadori, traffigo ‘commercio’, traffigi(e)ren ‘commerciare’; lo scempiamento delle geminate, come in baratiren ‘barattare’, boleta ‘documento ufficiale che permette l’introduzione, l’esportazione, la vendita di merci’, capara, contrabando, corent ‘corrente (riferito alla moneta)’, neto;[9] o, ancora le evoluzioni cj > [ts] (bratza ‘braccia [unità di misura]’, bilanzen ‘bilanci’), ctj > [ts] (strazzo ‘quaderno dei mercanti’),[10]dj [gj] > [dz] (czornall ‘registro di contabilità’, latzo ‘aggio’ < gr. biz. ἀλλάγιον ‘cambio’, DELI s.v. aggio),[11]sj > [z] (bastasi ‘portatori’) e il passaggio di -ar a -er, che si trova, ad esempio, nella forma sansser ‘sensale’ (a sua volta dall’ar. simsār, che ha subito lo stesso trattamento dei suffissati latini in -arium).[12]

A proposito di queste forme è opportuno notare che, al pari dei toscanismi, esse non includono solo termini inerenti ad aspetti materiali del commercio (come karg, fontigo o bastasi), ma anche tecnicismi del linguaggio finanziario (come boleta, cavedal o intrada). Proprio come le forme di provenienza toscana, inoltre, i settentrionalismi in questione non suppliscono sempre alla mancanza di un corrispettivo tedesco, a riprova del fatto che il prestito non avveniva solo quando «ein neuer Begriff aus der Gebersprache bezeichnet ein zu Benennendes (Denotandum), das vorher in der Zielsprache unbekannt war oder für das eine genaue Bezeichnung fehlte» (Wilhelm 2013, 26).[13] Il dato maggiormente rilevante, però, si ricava dal confronto tra la cronologia delle forme di provenienza settentrionale con quella dei concorrenti toscani, che è ben illustrato dalla tabella seguente, in cui si riportano le prime attestazioni di ogni variante, seguite dall’eventuale forma continuatasi nel tedesco odierno:[14]

XIV sec. XV sec. XVI sec. XVII–XVIII sec. Tedesco odierno






bilanzen (1383)























net (1349)















giornal (1383)
latzo (1479)

baratar (1425)

bastaxi (1489)

bilance (1494)

bolete (1489)[15]





karg (1483)[16]

carga (1471)

cavedal (1494) contrabando (1489)

corent (1479)

cothimo (1483)

intrada (1489)

fontigo (1479)

neto (1489)









strazzo (1450)

traffigo (1479)



agio (1554)









bratza (1558)

capara (1585–9)





cappital (1543)



corrent (1558)

cotimo (1558)



fundego (1518)

netto (1558)

rysigo (1507), risicko (1558)

stimadori (1557), stimatori (1572)

sansser (1572)





traffigi(e)ren (1585–9)

czornall (1507)


barattiren (1789)[17]





boletta (1760)















cottimo (1760)[18]













sensal (1700)
Agio

barattieren



Bilanz











Kapital

Konterbande







Fondaco

netto

Risiko





Sensal







Journal

Dai riscontri appena presentati si evince chiaramente che tutti i settentrionalismi considerati risultano attestati per la prima volta tra il XIV e la prima metà del XVI secolo e che, quasi in ogni caso, essi ricorrono prima delle varianti toscane. In altre parole, dunque, contrariamente a quanto osservato da Manni (2012, 38), nel caso tedesco il toscano non costituisce lo strato più antico dei prestiti commerciali, né si può affermare che nessuno dei settentrionalismi elencati «riesca ad imporsi [...] scalzando le corrispondenti voci di stampo toscano». Se, infatti, è vero che gli italianismi del tedesco odierno (come Kapital, netto, Risiko, Sensal, ecc.) riflettono la fonetica toscana, la tabella appena riportata mostra chiaramente che – almeno per quanto riguarda l’ambito commerciale – i toscanismi si imposero solo a partire dalla metà del XVI secolo, sostituendo gradualmente la terminologia settentrionale in uso fino a quel momento.[19]

2.1 Le fonti

Se i riscontri appena presentati evidenziano una chiara influenza delle varietà italoromanze settentrionali sul tedesco quattro-cinquecentesco, molto più difficile risulta stabilire come avvenne, nei fatti, la penetrazione dei prestiti all’interno di questa varietà. A tal proposito, è indubbio che – soprattutto in un primo momento – un ruolo importante abbiano avuto gli scambi orali tra mercanti tedeschi e italiani (Wilhelm 2013, 26), di cui recano testimonianza diverse fonti: una delle più note è il celebre manuale didattico di Giorgio da Norimberga, che comprendeva una serie di Dialoghi, un vocabolario e un frasario veneto-tedesco (Rossebastiano 1984, 7), i quali documentano l’esistenza – nella Venezia del Quattrocento – di una scuola dove un certo «maestro Zorzi» impartiva lezioni di tedesco a ragazzi veneziani che intendevano apprendere le professioni di mercante o di sensale.[20] La stessa opera, inoltre, testimonia indirettamente la presenza nella città lagunare di scuole in cui i germanofoni imparavano il veneziano (Rossebastiano 1983, XXI), come si desume chiaramente da passi come il seguente, in cui uno degli allievi di Giorgio da Norimberga dialoga con un mercante viennese:

Es-tu vegnudo qua per imparar latin?

Pistu her chomen welisch lernen?

Sy io.

Jo ich.

Ne sas-tu miga anchora?

Chanstu sein noch igs?

E’ ne so un pocho.

Ich chan sein ein wenigt.

Sas-tu anchora dir «te nascha el vermochan»?

Chanstu noch sprechen daz dir der hunczburm wachs?

Sỳ ben quello.

Jo wol daz selb.

El è usanza che s’impara sempre la chativiera più tosto cha’ l ben.

Ez ist gebonhait daz man albeg daz pöz pelder lernt wenn daz guet (Rossebastiano 1984, 100–101).[21]

Dei due processi appena menzionati – apprendimento del tedesco da parte degli italiani e apprendimento dei volgari italoromanzi da parte dei tedeschi –, è probabile che quest’ultimo fosse almeno in una prima fase il più diffuso: come ricorda Braunstein (2016, 131–132), infatti, i primi sensali e i primi maestri di tedesco, attivi a Verona e a Venezia, furono stranieri,[22] e già dall’inizio del XIV secolo si hanno testimonianze esplicite di giovani tedeschi inviati a Venezia a imparare «linguam nostram et abachum».[23] D’altro canto, dalla documentazione delle città di confine, come Como, emerge che i mercanti germanofoni erano spesso bilingui, tanto che «in tutti i casi in cui nella città lariana incontriamo il rappresentante di qualche società tedesca di medio o grande livello, come la magna e la parva societas di Ravensburg, la competenza linguistica [del volgare locale] riscontrata è sempre buona» (Duvia 2010, 80).

Una testimonianza emblematica dei contatti diretti tra mercanti settentrionali e oltremontani è offerta dalla documentazione delle filiali italiane della compagnia di Ravensburg, edita da Aloys Schulte (1923). I documenti in questione, infatti, non contengono soltanto numerosi settentrionalismi lessicali (come avixo, carigo, contrabanda, latzo e rysigo),[24] concentrati soprattutto all’interno di testi scritti a Milano e a Genova, ma anche veri e propri fenomeni di commutazione di codice, che «zeigen nur einen geringen Bezug zur Kaufmannsterminologie [...], sondern stellen idiomatische Floskeln des alltäglichen Sprachgebrauchs dar» (Mihm 2021, 55). Eccone di seguito alcuni esempi, per i quali Mihm (2021, 55), ha parlato di fused lect, vale a dire, «la fase incipiente di formazione di una vera e propria lingua mista» (Berruto 2009, 13):

Ninte d mancko lauss wier uns nit gären also gantz dar aon finden [...].

Dar zuo costend uns al waran mer den ell conschuetudo vetzion [...].

Das guott so man lad per Buk oder Marsella a folluntad nostra [...].

A fronte di quanto appena osservato, già prima del XVI secolo gli scambi orali furono sicuramente affiancati da contatti di natura scritta (Wilhelm 2013, 236), di cui recano testimonianza in primis gli stessi materiali didattici originariamente concepiti per l’apprendimento del tedesco, come il già citato manuale di Giorgio da Norimberga. Quest’opera, infatti, godette «di una fortuna a rovescio», perché la sua massima circolazione non si verificò nel Nord Italia – come ci si sarebbe potuto aspettare – ma principalmente in Austria e in Germania, dove fu adoperata come strumento per apprendere il veneziano in forma scritta e successivamente rielaborata e ampliata (Braunstein 2005, 336).

D’altra parte, come nel caso dei toscanismi (§1), un altro importante veicolo della diffusione scritta dei settentrionalismi furono i manuali rivolti ai mercanti. Per rendersene conto è sufficiente dare uno sguardo alle prime pratiche della mercatura tedesche, elaborate sul modello di quelle italiane, come la Musterbuchhaltung (1518) di Matthäus Schwarz e l’Handel Buch (1558) di Lorenz Meder, che contengono attestazioni assai precoci di settentrionalismi come bilanza, fundego, risigo, zornal (Wolf 1983, 277; 280), bastasy, boleta, bruto, cauedal, cargo, cotimo, intrada, messetaria e stimadori.[25] L’uso di questi termini da parte di Schwarz e Meder potrebbe essere dovuto a ragioni differenti: nel primo caso, ad esempio, esso potrebbe dipendere dalla frequentazione diretta degli ambienti mercantili italiani da parte di Schwarz, che compì, tra il 1514 e il 1516, un apprendistato commerciale a Venezia (Wolf 1983). Più in generale, però, è verosimile che un ruolo significativo abbia avuto l’influenza dei modelli italiani,[26] che spesso contenevano al loro interno termini di origine settentrionale, come per l’appunto cavedal, cavedale, çornal, çornale e cargare;[27] un fatto questo dovuto a ragioni eminentemente pratiche, che sono chiaramente esposte da Domenico Manzoni da Oderzo all’interno del suo Libro mercantile (1564–1565):

«In quanto poi alla lingua, io ho procurato d’usar modo di parlare non ristrettamente et affettatamente toscano, ma italiano puro et commune, et qual si conviene et usa in maneggi di mercantie et di faccende, avendo ogni sorta di professione il suo modo di parlare et le parole o i termini propri, i quali chi volesse lasciare per usar quelli del Petrarca o del Boccaccio saria degno di riso o almeno di compassione se non vogliamo dir di biasimo et riprensione. Io dunque ho usato cavedal, amontar, teze, piper, golo di nozze, contadi, varottaro, messetaria, lotto et alcun’altre tai parole, perché sono proprie et comunissime fra mercatanti, principalmente in Venetia, et se altramente avessi detto, o non sarei stato inteso o le genti di maneggi, per chi si scrivono et per chi servono questi libri, averebbon detto ch’io non parlava o scriveva a loro et che essi non volevano ne i loro libri et scritture imparar da me ad usar parole che quelli con chi bisognava servirsene non le intendano»(Trovato 1994, 43–44).

2.2 Il manuale didattico di Giorgio da Norimberga

Nella maggior parte dei casi è estremamente difficile determinare quando un singolo settentrionalismo sia penetrato in tedesco per via diretta, attraverso scambi orali tra i mercanti, oppure attraverso contatti indiretti, di natura scritta. Qualche ragguaglio, a questo proposito, è fornito da indizi grafici: talvolta, infatti, i prestiti presentano grafie non conformi a quelle usate nell’Italia settentrionale, che denunciano un apprendimento orale del volgare locale da parte degli scriventi. Ne sono esempio gli scritti di Albrecht Dürer, il quale, dopo aver appreso il veneziano in modo imperfetto durante un soggiorno a Venezia (1505–1507), scrisse lettere infarcite di venezianismi (come ad esempio parungan < ven. paragon ‘confronto [tra merci]’ e soylir o soilir ‘gioielliere’), che riflettono un’origine orale, perché non seguono la norma grafica del veneziano, ma si rifanno alle consuetudini della scripta di Norimberga (Ashcroft 2019, 389). D’altra parte, la documentazione tedesca attesta anche usi grafici estranei al Frühneuhochdeutsch, che indiziano al contrario una penetrazione scritta dei prestiti. È questo, ad esempio, il caso dell’uso di <x> per la sibilante sonora [z], tipico delle varietà italoromanze settentrionali,[28] che si incontra nelle forme avixo, bastaxi e croxetta ‘Kreuzer (moneta coniata per la prima volta verso il 1271 in Tirolo)’ (Wilhelm 2013, 98, 103, 121). Altre volte, infine, i termini penetrati per via scritta hanno dato luogo a pronunce non conformi ai loro etimi, come nel caso della forma rabatt ‘sconto’, che deriva dal fr. rabat ‘id.’, pronunciato con -t finale [raˈbat], e per questo motivo spesso interpretato dagli scriventi come un italianismo e scritto nella forma italianizzata rabatto (Orioles 2006).

A ogni modo, le spie grafiche interessano un numero assai limitato di prestiti e non sempre presentano un’interpretazione univoca. Rilievi ben più interessanti si possono fare invece a partire dal confronto tra le fonti tedesche studiate da Wis (1955) e Wilhelm (2013) e il già citato manuale didattico di Giorgio da Norimberga, soprattutto per quanto riguarda la sezione dedicata ai Dialoghi. Se infatti, come ha notato Ronnie Ferguson (2007, 201), i Dialoghi rappresentano «a unique source for later E[arly] V[enetian] ‘spoken’ venexian», essi testimoniano al contempo una lingua tedesca presumibilmente vicina al registro parlato di un emigrato (Giorgio da Norimberga per l’appunto), ormai da anni trapiantato a Venezia; cosa che ci consente di ricavare qualche dato ulteriore sulla diffusione dei settentrionalismi commerciali nel tedesco orale dell’epoca.[29]

In effetti, lo spoglio del manuale di Giorgio da Norimberga restituisce dati interessanti:[30] com’era da attendersi, la maggior parte dei settentrionalismi rinvenuti nelle sezioni tedesche riguarda nomi di merci, in particolare vini, come malvasirs (D, p. 47),[31]rainvolln ‘ribolla’ (D, p. 47)[32] e romanirs ‘romania (vino greco bianco)’ (D, p. 47);[33] stoffe, come falessi, falescio ‘valescio’ (D, p. 39 passim)[34] e bochasin ‘bocaccino’ (D, p. 38 passim);[35] spezie, come saffran (V, p. 245) e galanga (V, p. 52); monete e unità di misura, come dugaten (D, pp. 114; 120), begantin ‘dodicesima parte del soldo’ (D, p. 120), gross (V, p. 218), zientner (D, p. 120) e meilar (D, p. 120).[36] A fianco di queste forme, però, si incontrano anche termini estranei al lessico materiale, come l’aggettivo chontent ‘soddisfatto (rispetto a una transazione)’ (D, p. 44), in alcuni manoscritti sostituito da zovreden (D, p. 45, ted. zufrieden), stim ‘valutazione commerciale’ (V, p. 808) e ‘fare una valutazione commerciale’ (V, p. 785, impiegato a fianco di schecz, V, p. 808, cfr. ted. schätzen ‘valutare’) e il verbo *alfanzen ‘guadagnare’,[37] che rappresenta la prima attestazione del termine.[38] D’altra parte, l’interesse per il manuale di Giorgio da Norimberga non si limita ai prestiti contenuti al suo interno. Analogamente rilevanti risultano infatti le voci del commercio glossate da parole tedesche, le quali sono largamente prevalenti nel campo dei tecnicismi contabili e del diritto commerciale:

chambiador (begsler, V, p. 29, ted. Wechsler), chaparra (daran D, p. 64 e goczpfennigt, V, p. 230),[39]imprestado (gelichen, D, p. 128, ted. geliehen), nollo (lon, V, p. 224, ted. Lohn), dazio (zol, V, p. 226, ted. Zoll), pegno (pfant, V, p. 763, ted. Pfand), pegnorare (pfenten, V, p. 763, ted. pfänden), affittare (hinlossen, V, p. 226),[40]fitto (zinzzt, V, p. 226, ted. Zins), vendita (pfail, p. 103, cfr. ted. feil ‘in vendita’), zonta ‘merce aggiuntiva offerta in omaggio o in soprammercato dal venditore’[41] (zugab, D, p. 66 passim, ted. Zugabe).

Anche più significativo, infine, appare il fatto che in questa seconda categoria di termini rientrino forme che – più o meno negli stessi anni – entrarono come prestiti nella documentazione tedesca, ma che evidentemente non facevano parte o non erano ancora sufficientemente acclimatati nel lessico tedesco di Giorgio da Norimberga:

avanzo ‘guadagno’ (ubrick, D, p. 67), bastasi (trager, D, p. 65), chambio (begsel, V, p. 296, ted. Wechsel, o wegselpanch, ted. Wechselbank, V, p. 297), far credenza ‘fare credito’ (borgen, D, p. 119, ted. bürgen ‘garantire’),[42]risego (gebogt, D, p. 36. cfr. ted. gewagt ‘rischioso’), cavedale (haubtguetz, D, p. 61),[43]baratar (stechen o verstechen D, p. 71),[44]zenzale (untterchaufer, D, p. 45),[45]fontego (deuczen hauss, D, p. 65 passim, ted. Deutschen Haus).

3 Tra Italia e Paesi Bassi

I dati appena considerati mostrano come la diffusione dei settentrionalismi commerciali nel tedesco sia stata – almeno in una prima fase – un fenomeno per niente trascurabile, che riflette una connessione storica ed economica significativa tra le due aree in questione. D’altro canto, sarebbe sbagliato analizzare il fenomeno indipendentemente dal contesto circostante: è infatti sufficiente dare uno sguardo alla documentazione di altri territori dell’Europa nordoccidentale per rendersi conto di come la diffusione dei settentrionalismi commerciali si sia spinta ben oltre i valichi alpini, attraverso dinamiche che restano ancora in gran parte da ricostruire. Basti pensare, a questo proposito, a forme come contraband, traffigo, traffygo, risgoe, risgo, contenute nella documentazione inglese cinque e seicentesca (Ferguson 2012, 59; Praz 1944, 21; OED s.v. risgoe),[46] o ai termini risigo (1659, SAOB s.v. risk) e strazza ‘quaderno dei mercanti’ (SAOB s.v. strassa1), documentati in testi svedesi sei e settecenteschi e verosimilmente penetrati in Svezia attraverso il basso tedesco, che fu per lungo tempo la principale lingua di comunicazione dei mercanti dell’Hanseraum.[47]

A ogni modo, i riscontri quantitativamente più significativi sono quelli ricavabili dall’analisi della documentazione neerlandese studiata da de Bruijn-van der Helm (1992), che ha individuato più di 190 italianismi commerciali che, ancora una volta, contengono al loro interno diversi settentrionalismi. Questi ultimi sono individuabili a partire dalle stesse evoluzioni fonetiche descritte in §2, come la sonorizzazione delle occlusive intervocaliche, che si trova nelle forme carregeren ‘tassare’, cauedael ‘capital’, risigo ‘rischio’ e segurta ‘assicurazione’; lo scempiamento delle geminate, come in bruto ‘lordo’, contrabande, cotimo ‘sorta di tassa’, corenti, retrata ‘cambiale di rivalsa’, soma; o gli sviluppi [gj] > [dz], come in lazo ‘agio’,[48]cj > [ts], come nella forma billantz, e lj > [ʎ] > [j], come in miaro. Più dubbio appare invece il caso delle forme persento ‘per cento’, onsa ‘oncia’, brasso ‘braccio (unità di misura)’ e avanso ‘guadagno’, in cui de Bruijn-van der Helm (1992, 146) vede la «riduzione a sibilante dell’affricata palatale sorda [...], tipica del veneziano», fenomeno che però compare nella documentazione veneziana solo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento (Tomasin 2010, 138).[49]

A proposito di questi termini bisogna notare che molte sono le sovrapposizioni con i settentrionalismi del Frühneuhochdeutsch (come lazo, billantz, carregeren, cauedael, contrabande, cotimo, corenti, miaro e risigo); il che potrebbe suggerire l’ipotesi di un processo di diffusione unitario e, in alcuni casi, forse anche una mediazione del tedesco.[50] D’altra parte, alcune volte le corrispondenze sono solo apparenti, come dimostra il caso del verbo carregeren, che – a differenza del tedesco cargieren – non significa ‘caricare (merci su una nave)’, ma ‘tassare’. Come nel caso dei prestiti tedeschi, comunque, il dato più rilevante si ricava dal confronto tra la cronologia dei settentrionalismi con quella delle varianti toscaneggianti, attestate negli stessi documenti:[51]

XVI sec. XVII sec. Neerlandese odierno
aigeo, augeo (1565)

bilance, billantz (1585)







carregeren (1585)

capitael (1526), cauedael (1577)





corrent (1559)



miaro (1585)



risico (1525)

retrata (1590)

segurta (1590)

somma (1536)
lazo (1643)







bruto (1624), brutto (1643)





contrabande (1650)



corenti (1643)

cotimo (1615), cottimo (1632)

milliar (1643)



risigo (1643)





soma (1585)
agio







bruto



kapitaal

contrabande











risico





som

Dai riscontri appena presentati appare evidente che ci troviamo di fronte a una dinamica sostanzialmente inversa rispetto a quella rilevata in Germania: a parte in rari casi, infatti (come nelle coppie bruto – brutto, cotimo – cottimo, miaro – milliar), i settentrionalismi commerciali del Vroegnieuwnederlands risultano più recenti rispetto ai loro concorrenti toscani, essendo di norma attestati tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo; un dato che con ogni probabilità rispecchia ancora una volta una precisa situazione storico-economica, vale a dire il forte incremento degli scambi commerciali tra Venezia e i Paesi Bassi che si verificò a seguito della crisi europea degli anni Novanta del Cinquecento (§3.1, n. 54). Sul piano linguistico, del resto, la diffusione dei settentrionalismi in una fase così tarda appare un fatto estremamente rilevante, perché dimostra che le varietà italoromanze settentrionali mantenevano, ancora nel XVII secolo, una forza propulsiva considerevole in ambito commerciale.[52]

3.1 Le fonti

Come nel caso tedesco, fin dal Medioevo i mercanti del Nord Italia ebbero contatti diretti con i loro colleghi neerlandesi. Vanvolsem (2007, 33) menziona «la presenza di genovesi a Brugge [...] sin dal 1234, o le prime galeazze veneziane che approdarono, al porto di Sluis, nei primi decenni del Trecento». Lo stesso studioso ricorda, inoltre, che «i mercanti fiamminghi, da parte loro, frequentarono le piazze italiane nel nord e nel centro del paese sin dalla fine del dodicesimo secolo, ma soprattutto nel corso del Duecento». All’inizio le principali vie di comunicazione passavano lungo il Rodano, la Soana e la Mosa, attraversando le fiere della Champagne (de Bruijn-van der Helm 1992: 38). Già dal XII secolo, però, alle rotte terrestri si affiancarono itinerari marittimi,[53] che avrebbero assunto particolare importanza nel corso del Seicento, quando i mercanti neerlandesi diventeranno «the link which firmly connected the Italian republic [of Venice] to the Atlantic trading world» (van Gelder 2009, 72).[54]

Un ruolo particolarmente importante in questo processo ebbero i mercanti neerlandesi presenti nel Nord Italia, che con almeno un secolo di ritardo rispetto ai loro colleghi tedeschi – cioè a partire dal Quattrocento – avevano iniziato a insediarsi nelle città del Settentrione, prima tra tutte Venezia. Come osserva de Bruijn-van der Helm (1992, 40), il fenomeno fu particolarmente intenso nel corso del XVI secolo[55] e, proprio come nel caso dei mercanti tedeschi, ebbe conseguenze rilevanti sul piano linguistico. Durante i loro soggiorni italiani, anche gli olandesi e i fiamminghi imparavano le varietà locali durante apprendistati commerciali, come quello «messo in scena» nel Koopmansboek, un anonimo manuale didattico veneto-neerlandese del XV–XVI secolo, che si compone di dialoghi per molti versi analoghi a quelli contenuti nell’opera di Giorgio da Norimberga.[56] In uno di questi un mercante italiano si propone come maestro a un giovane fiammingo:

Te insignerò de fare bon mercato,

Ic sal u leren te doenne goede comescap,

in che tu porà avanzare

in dat ghy sult mogen veroveren

in poke iorne de molte denare.

in wenich dagen vele gheels.

E in quisto mezo tu inparerà

Ende in deser middelt suldi leren

de practigare in omni loco dove tu va.

te practigerenne in allen plaessen dar ghy ga[et].

Che dizete voy? Respondé una parola

Wat segdi? Antwort een wort

si te plaze te fare.

oft u gelieft te doene.

Omni mese te darò li vostri denari

Alle maenden sal ic u geven u gheelt

e siate un poco el myo famiyo.

ende sijt een wenich min knecht.

In mancko de un anno tu serà maystro

In min dan een jar suldi sijn meester (De Bruijn-van der Helm 2001, 308).[57]

Come osserva de Bruijn van-der Helm (2001, 86–87), benché ci troviamo di fronte a un’opera d’invenzione, quest’ultima nasce senza dubbio da esperienze reali e ci offre una descrizione piuttosto accurata di ciò che i mercanti neerlandesi dovevano apprendere nel corso dei loro tirocini, tra cui rientrano la conoscenza degli usi e costumi locali, la capacità di far di conto in «italiano» e quella di scrivere lettere nella stessa varietà.

Proprio le lettere commerciali cinquecentesche ci offrono, del resto, un buon esempio delle varietà apprese dai mercanti provenienti dai Paesi Bassi durante i loro soggiorni in Italia o presso le scuole fiamminghe.[58] Particolarmente indicativa, in questo senso, è la corrispondenza della famiglia Della Faille, i cui membri scrivevano in volgare italoromanzo non solo ai loro colleghi italiani, ma persino ai mercanti fiamminghi o di altra nazionalità, in virtù del «prestigio attribuito in quel tempo nell’ambito commerciale all’uso dell’italiano» (de Bruijn-van der Helm 1992, 35). Più che a un «italiano», però, ancora una volta ci troviamo di fronte a un veneziano italianeggiante o tutt’al più a un italiano con forti elementi veneziani: lo dimostrano forme come «seda greza per seta greggia, zonzer per giungere, zugnio per giugno, razon per ragione» (de Bruijn-van der Helm 1992, 35), cui si aggiungono elementi morfologici, come l’articolo determinativo maschile el e le forme del condizionale trovaressimo e finiressimo, attestati in una lettera tardocinquecentesca, che oltretutto presenta interessanti fenomeni di commutazione di codice:

«[...] Momfrère, Zoo ick hier a Lis ben gearivert ho trovato el corier de Middelborgo qual me porta lettres de Londra de 3 stante stillo vechio ende daerbij avisert mij cousijn Artssen dat hij ende alle onse natie gearrestert waren bij de Ingelse Spaensche coopvaerders duer ordene vande Majesta al om te ondersoecken de Spaensche, Portughessche ende Malcontenten goeden. [...]. Questo è quanto cosino Arttsen scrive. Zoo mij dunckt si noi fossimo dellì per ritrovarsei Coteels molto confuso non trovaressimo opschacholo alchuno et finiressimo ogni cossa sensa defìcultà want hij soude ons vreesen ende niet eens dorven hem roeren. Daeromme, ick zoude goet vinden dat wij ons hoe eer hoe liever derwarts maeckten dewijle ons de fortune gunstich is. Zoo laat mij subito vostro parer weten om mijne calculatie daemaer te maecken [...]».[59]

Ancor più che i contatti diretti tra i mercanti, comunque, nel caso neerlandese sembrano essere stati significativi quelli indiretti, di carattere scritto. Secondo de Bruijn-van der Helm (1997, 163), la caratteristica fondamentale del contatto tra il neerlandese e le varietà italoromanze è proprio la sua «natura essenzialmente ‹culturale›». In questo senso, appare rilevante il fatto che – al pari dei toscanismi – diversi settentrionalismi, come le forme cotimo, bruto e gecarrigiert (participio passato di carregeren), si trovino in documenti che non riguardano direttamente il commercio con l’Italia, come i bilanci dell’Amsterdamsche Wisselbank o i negoziati con gli stati del Levante,[60] a riprova del fatto che l’influenza delle varietà italoromanze settentrionali si proiettava anche al di fuori degli scambi italo-neerlandesi.

Ugualmente rilevante appare, infine, la presenza di settentrionalismi all’interno di manuali rivolti ai mercanti, che anche in questo caso dipendono evidentemente da modelli italiani, come si ricava sin dai titoli (ad es., De luchtende Fachel van het Italiaens Boeck-houden ‘La fiaccola luminosa della contabilità italiana’ di David Cock, 1643).[61] Significativamente, però, in linea con quanto osservato in §3, tale influsso non riguarda le opere più antiche, come la celebre Nieuwe Instructie di Jan Ympyn Christoffels (1543, rielaborazione del Tractatus de computis et scripturis di Luca Pacioli), ma piuttosto documenti tardi, come il trattato di David Cock o il Koopmansleerboek (1643), sorta di libro segreto appartenuto alla famiglia Colen-de Groot, dove si incontrano forme come lazo, corenti, corenten e risigo.[62]

3.2 Il Koopmansboek veneto-neerlandese (XV–XVI sec.)

Come nel caso del tedesco, è estremamente difficile determinare le dinamiche attraverso le quali i singoli prestiti penetrarono nel Vroegnieuwnederlands. Anche in questo caso qualche indicazione proviene dall’esame delle grafie, le quali talvolta presentano corrispondenze estranee alle varietà italoromanze, che denunciano una scarsa familiarità con l’ortografia di queste ultime. Alcune corrispondenze trovano riscontro nei prestiti del tedesco, come l’uso frequente di <k> per [k], <tz> per [ts] e <y> per [i], come nelle forme kas ‘cassa’, billantz e advys.[63] Altre sono invece tipicamente neerlandesi, come ad es. l’impiego del grafema <w> per [u], come nella forma wttillo ‘utile’, o dei digrammi <ae>, <aa> per [aː] tonica italiana in sillaba aperta, come in cauedael e ducaat.[64] D’altra parte, anche nella documentazione olandese e fiamminga non mancano spie che indiziano, al contrario, una penetrazione scritta dei prestiti, come l’uso di <x> per la rappresentazione di [z] nelle forme avixo e pexo,[65] riscontrato già nei documenti tedeschi (§2.2); oppure le grafie latineggianti <ct>, <dv> e <mn> per [tː], [vː] e [nː], attestate nelle forme cambio fictitio, adviso e damno.[66]

A ogni modo, come nel caso dei prestiti del Frühneuhochdeutsch, le spie grafiche e fonetiche presentano spesso notevoli incertezze.[67] Qualche informazione in più si può invece desumere dal confronto tra i prestiti attestati nei documenti studiati da de Bruiin-van der Helm (1992) e quelli che ricorrono nel manuale didattico veneto-neerlandese già citato in §3.1, che si presta alla stessa analisi cui abbiamo sottoposto il manuale di Giorgio da Norimberga (§2.2). Anche in questo caso, infatti, siamo di fronte a un testo redatto da un autore non italiano, bensì neerlandese (più specificamente brabantino), che con ogni probabilità lo compose durante un soggiorno a Venezia. Proprio come per i Dialoghi di Giorgio da Norimberga, inoltre, anche per quelli contenuti nel Koopmansboek si è parlato di una lingua prossima all’oralità (de Bruijn-van der Helm/Bruni 2003, 445–446), che ancora una volta può fornirci informazioni preziose sulla diffusione dei prestiti nel registro parlato del neerlandese dell’epoca.[68]

A questo proposito, bisogna notare innanzitutto che – come già nel manuale veneto-tedesco – la maggior parte dei prestiti contenuti nelle sezioni neerlandesi del Koopmansboek concerne elementi del lessico materiale, riguardanti l’ambito dei cibi, come capone ‘capponi’ (p. 226), parnisen ‘pernici’ (p. 228), trute ‘trote’ (p. 232) e calamari (p. 232); delle spezie, come sofferaen (p. 248), specerie ‘spezie’ (p. 248), speciar ‘droghiere’ (p. 120);[69] dei vini, come malavaseie (p, 238), e le monete (ad es. ducaten, p. 256 e bolegin ‘bolognino’, p. 266 < ven. ant. bolegnin).[70] Come già nel manuale di Giorgio da Norimberga non mancano, inoltre, alcuni prestiti inerenti ad aspetti tecnici del commercio, come le forme practigerenne ‘trafficare’ (p. 268),[71]proeve ‘profitto’ (p. 308),[72] che si affiancano a francesismi come presenten ‘regalo’ (p. 304), summe (p. 264) e prijs ‘prezzo’ (p. 300). Tuttavia, la maggior parte dei tecnicismi commerciali è composta da voci neerlandesi, come borge (neerl. borg), che traduce piezeria ‘garanzia’ (p. 246),[73]piez[o] ‘garante’ (p. 242) e persino credenza ‘credito’ (p. 104); rekennig(g)e (neerl. rekening), usato per tradurre conto (p. 98) e rasoni ‘conti’ (p. 232); wissel per cambio (p. 282); gewiin e winnigge per guadangia ‘guadagno’ (p. 260; p 272); pant (neerl. pand) per pigno ‘pegno’ (p. 104) e verhurren (neerl. verhuren) per afittrare ‘affittare’ (p. 314). Tra queste, oltretutto, diverse sono le voci che traducono forme attestate nella documentazione esaminata de Bruijn-van der Helm (1992), come

orbere per utile (p. 98), scade (neerl. schade) per dampno (p. 98), scolder (neerl. schuldenaar) per debitor (p. 106), tol per gabella (p. 258), gheneren per traffaga ‘traffica’ (p. 272), gelove per credito (p. 274), wissel e wisselen per barattaria (p. 294), baratto (p. 296) e barattare (p. 292), gherekende ghelde per denari contante ‘contanti’ (p. 296).

Ancora più significativo appare, infine, il fatto che il Koopmansboek contenga voci neerlandesi che traducono forme che hanno cittadinanza nelle sezioni tedesche del manuale di Giorgio da Norimberga (§2.2), come avanzare ‘guadagnare’ (p. 306), tradotto con veroveren (neerl. verwerven), contento (te vreden, p. 310, neerl. tevreden) e miliaro (dusende, p. 96, neer. duizend); il che suggerisce che il grado di diffusione dei prestiti nella lingua parlata fosse, nel caso neerlandese, anche minore di quello riscontrato per il tedesco, a conferma delle supposizioni di de Bruijn-van der Helm (§3.1) sulla preminenza dei contatti indiretti.

4 Conclusioni

Quanto esposto fin qui ci permette di fare qualche prima considerazione in merito all’espansione delle varietà italoromanze settentrionali a Nordovest in ambito commerciale. La documentazione tedesca e quella neerlandese, infatti, attestano non solo il processo di diffusione dei settentrionalismi a Nord delle Alpi, ma anche l’evoluzione che tale fenomeno subì nel lungo periodo compreso tra il XIV e il XVII secolo: in questo senso, appare significativo il fatto che – mentre nella documentazione tedesca i settentrionalismi costituiscono lo strato più antico degli italianismi – in quella neerlandese essi appaiono in generale più recenti delle varianti toscane. Ciò riflette verosimilmente le mutate condizioni delle relazioni economiche tra il Nord Italia (Venezia in primis) e i territori dell’Europa nordoccidentale, per cui – dopo una prima fase di stretti rapporti con la Germania – a partire dalla fine del Cinquecento i mercanti neerlandesi si affermeranno come i principali intermediari per gli scambi commerciali a lungo raggio.[74]

Dati ugualmente significativi emergono dall’analisi grafica e fonetica dei prestiti e, soprattutto, dal confronto tra le fonti analizzate da Wis, Wilhelm e de Bruijn-van der Helm e i «testi orali» contenuti nel manuale di Giorgio da Norimberga e nel Koopmansboek veneto-neerlandese. Com’era lecito attendersi, infatti, essi sembrano confermare che mentre i settentrionalismi che riguardano gli aspetti materiali del commercio (come spezie, monete, vini, ecc.) ebbero larga circolazione orale, i tecnicismi contabili penetrarono nel tedesco e nel neerlandese anche, e soprattutto, attraverso la lingua scritta. Un canale quest’ultimo che, nel caso del neerlandese, deve essere stato anche più importante che in quello tedesco, come suggerisce il minore numero di tecnicismi attestati nel Koopmansboek, nonché l’assenza di settentrionalismi che invece trovano posto nel manuale di Giorgio da Norimberga.


Ringraziamenti

Il presente contributo è stato redatto grazie ai finanziamenti dell’European Research Council per il progetto Migrating Commercial Law and Language. Rethinking Lex Mercatoria (11th–17th cent.), ERC-2020-COG 101002084 MICOLL. Ringrazio Daniele Baglioni per le preziose osservazioni a una versione precedente di questo saggio.


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Published Online: 2024-12-03
Published in Print: 2024-11-13

© 2024 the author(s), published by Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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Artikel in diesem Heft

  1. Frontmatter
  2. Frontmatter
  3. Aufsätze
  4. Gli impieghi non riflessivi di se/sibi nelle lingue romanze: dati e teoria
  5. Ne, pour ce que l’Archorant est rithmé, n’en doit estre dicte plus saincte loy. La nature poétique du Qur’ān dans le Trésor des simples (1447–1451) de Jean Germain
  6. Citas bíblicas en el prólogo del Libro de buen amor: observaciones críticas y literarias
  7. A proposito di alcune formule nella prosa agiografica e cavalleresca castigliana
  8. Construcciones adverbiales formadas sobre seguro en español: diacronía y variación
  9. La elisión de la /d/ intervocálica en el español de las islas Canarias
  10. La Commedia nella Fiorita di Armannino giudice
  11. Italianismi commerciali di origine settentrionale nel Frühneuhochdeutsch e nel Vroegnieuwnederlands
  12. Portugiesische und italienische Filiationen in der frühneuhochdeutschen Lexik des Indien-Handels
  13. Il nuovo manoscritto veglioto dalla Biblioteca Civica di Trieste
  14. Miszellen
  15. Nota a cicotrico (LEI 14,90)
  16. Pist. brigidino
  17. Besprechungen
  18. Andres Kristol, Histoire linguistique de la Suisse romande, vol. 1: De la préhistoire au Moyen Âge, vol. 2: De la Renaissance à l’aube de la Suisse moderne, vol. 3: La question de la langue au XIXe et au XXe siècle (Collection Glossaire des Patois de la Suisse romande), Neuchâtel, Éditions Alphil – Presses Universitaires Suisses, 2023, 217 + 425 + 339 p.
  19. Wolfgang Eichenhofer, Vordeutsche Flurnamen in Vorarlberg, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2023, 239 p.
  20. Eugenio Coseriu, Einführung in die Phonologie für Romanisten, Bearbeitet und herausgegeben von Wolf Dietrich, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2024, 210 S.
  21. Franz Staller (ed.), Fragment eines hebräisch-altfranzösischen Bibelglossars aus der Universitätsbibliothek Salzburg: kritische Edition, sprachgeschichtliche Analyse und historisch-geographischer Kontext (Situation der jüdischen Minderheit in Lothringen zwischen 1220 und 1350), Innsbruck, Studia Verlag Innsbruck, 2023, 292 p.
  22. Nachruf
  23. Thomas Städtler (21. Juni 1957–3. Juni 2024)
Heruntergeladen am 11.12.2025 von https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/zrp-2024-0039/html
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