Abstract
This paper intends to present the first results of the project Mappatura dell’Italo-Romanzo Antico (MIRA) funded by the Swiss National Science Foundation (SNSF) for the period 2022–2026. The project’s main goal is the mapping of the linguistic situation of Italy before the year 1400. We illustrate one type of linguistic map, the one concerned with single linguistic features (such as the reflexes of Latin vowels, consonants, consonant clusters, etc.), using the outcomes of Latin ‑gn‑. We show how the geographic distribution of the various reflexes can be displayed graphically and how the data from our principal source, the Atlante Grammaticale della Lingua Italiana delle Origini (AGLIO) can be integrated with the scrutiny of other texts and with secondary bibliography. Furthermore, we discuss critical points regarding the balance of our corpus – in a diachronic, diatopic and diastratic/diaphasic perspective – and the expediency of different solutions for the visualization of our findings.
1 Introduzione: il progetto, le sue fonti e il rapporto tra scripta e spazio
Lo scopo principale di questo intervento è quello di fornire i primi risultati del progetto Mappatura dell’Italo-Romanzo Antico (MIRA), attualmente in corso presso l’Università di Zurigo sotto la direzione di Michele Loporcaro. L’iniziativa e la sua struttura sono già state presentate e descritte in altra sede (cf. Cristelli et al. 2022; Cristelli/Wild 2023), motivo per cui qui si rinuncia alla descrizione precisa e dettagliata dei vari prodotti previsti e all’introduzione degli strumenti e dei metodi di cui ci si avvale. Al centro della presente trattazione sta invece l’illustrazione della prima carta linguistica allestita in seno al progetto, quella dedicata agli esiti del nesso ‑gn‑ (§2); avremo inoltre modo di approfondire alcune delle problematiche inerenti alla documentazione dell’italo-romanzo antico – e perciò anche al nostro corpus – proprio in vista della (modalità di) cartografazione degli sviluppi linguistici documentati dai testi prequattrocenteschi (§3).
Diamo intanto per scontata la conoscenza dell’Atlante Grammaticale della Lingua Italiana delle Origini,[1] fonte principale del progetto MIRA da cui partono gli spogli per la mappatura dei singoli tratti linguistici, e del corpus OVI, strumento indispensabile per chi abbia intenzione di studiare l’italo-romanzo antico. È importante ricordare, in ogni caso, che l’AGLIO usa un sotto-corpus, congelato al 14 luglio 2016, contenente soltanto i testi specifici («TS») del corpus OVI per un totale di 732 testi e 4.825.874 occorrenze.[1] La scelta di basarsi sul corpus OVI e sull’AGLIO ha il vantaggio di fornire una soluzione, largamente condivisa nell’àmbito degli studi sull’italo-romanzo antico,[2] al problema della collocazione dei dati linguistici all’interno dello spazio geografico. Le fonti contenute nel corpus sono, infatti, già state localizzate e risultano pertanto attribuite a delle aree «generiche» e «specifiche» (l’AGLIO ha aggiunto inoltre le tre macro-aree settentrionale, toscana, centro-meridionale; cf., ad es., Barbato 2019 a, 110): mentre per l’area generica l’etichetta fa tendenzialmente riferimento a un àmbito regionale, l’area specifica corrisponde nella maggior parte dei casi a una città o a una località minore.[3] Quest’ultimo aspetto determina anche il modo in cui si è scelto di rappresentare graficamente, all’interno del progetto MIRA, l’informazione linguistica sulla mappa (su questo aspetto si veda soprattutto il §2.4): i dati relativi alle singole aree specifiche vengono visualizzati come punti in corrispondenza dei singoli centri (concretamente, all’interno della nostra banca dati, le aree specifiche sono state associate alle coordinate geografiche delle rispettive città).[4] Il ricorso a una serie di punti geografici – anziché a regioni, poligoni calcolati statisticamente o altre soluzioni simili – in corrispondenza delle varietà dell’italo-romanzo antico ci permette inoltre di evitare di sbilanciarci a proposito dell’effettiva estensione di un volgare (o, meglio, di un’area specifica) e della sua eventuale articolazione micro-diatopica interna.
2 La mappatura degli esiti di ‑gn‑
Il lavoro più recente sullo sviluppo del nesso ‑gn‑ dal latino alle lingue romanze è quello di Baglioni (2014), che individua le seguenti trafile principali per l’italo-romanzo:
(1) ‑gn‑ (pronuncia: [ŋn]) >
a. coalescenza: [ɲ(ː)] nella maggior parte dell’Italo-Romània;
b. vocalizzazione dell’elemento velare:
i. [i̯n] principalmente nell’Alto Meridione;
ii. [u̯n] principalmente in Basilicata, Puglia centro-meridionale e Calabria centrosettentrionale.
Questa ricostruzione ha il vantaggio di riconciliare la posizione dei latinisti e degli indoeuropeisti, per i quali il latino arcaico e classico presentava la pronuncia [ŋn], e quella dei romanisti, le cui trafile partivano dalla pronuncia [gn] (cf. Baglioni 2014, 3–8).[5]
Nella prospettiva del presente intervento – e del progetto MIRA in generale – le modalità esatte del passaggio dal nesso latino ai suoi continuatori italo-romanzi non sono, tuttavia, cruciali. Ciò che è centrale ai nostri fini è la distribuzione areale dei vari sviluppi così come emerge dalla documentazione antica, per cui sappiamo che il tipo alto-meridionale doveva arrivare più a nord rispetto alla situazione presente (cf. anche Baglioni 2014, 15–16): come ha osservato già Bianconi (1962, 68), l’«Italia mediana sembra essere stata divisa, nel medioevo, fra varie tendenze. L’esito n’n’, di provenienza toscana (e settentrionale), è largamente rappresentato; ma coesiste con (i)n [...] e anche [...] con nn». Sulla coesistenza dei tipi in [1] in singole varietà in epoca medievale si è soffermato brevemente anche Loporcaro (1997, 337 n. 1 e 361–362).
2.1 Lo spoglio dell’AGLIO
La ricerca parte anzitutto dallo spoglio dell’AGLIO tramite la funzione «Consulta per tratti fonologici», che permette di ottenere tutte le forme associate a un determinato tratto e ordinate per aree specifiche.
Al momento della ricerca, risalente al 2 maggio 2023, i lemmi pertinenti per il tratto in questione confluiti nell’AGLIO erano quattordici (cf. [2a]); il totale delle occorrenze schedate ammontava a 3.238 unità, distribuite in maniera poco uniforme sulle tre macroaree (cf. [2b]).
(2) Risultati dello spoglio dell’AGLIO (consultazione del 2 maggio 2023)
a. Lemmi contenenti ‑gn‑ inseriti nell’AGLIO:agnella, agnello, agno, cognata (1), cognato, legna, legno, pegno, pignorare, pugno, segna (1), segna (2), segnare, segno.
b. Numero di occorrenze di ‑gn‑ schedate:
sett. | 499 |
tosc. | 2.302 |
centro-merid. | 437 |
TOTALE | 3.238 |
A partire da questo spoglio è possibile associare le forme a uno degli esiti del nesso ‑gn‑ in modo tale da individuare gli sviluppi presenti nei singoli punti (cioè nelle singole aree specifiche) e la loro rappresentazione quantitativa. Questa analisi passa attraverso una tipizzazione delle diverse grafie attestate nella nostra fonte. Infatti, le soluzioni grafiche rappresentate dalle forme contenute nell’AGLIO sono ben tredici:
(3) Grafie attestate per gli esiti di ‑gn‑: <gn>, <gni>, <ngn>, <ngni>, <ng>, <ni>, <nni>, <n>, <nn>, <ign>, <igni>, <in>, <yn>.
Ora, è evidente che il livello grafico è l’unico tangibile per le (fasi storiche delle) lingue pervenuteci unicamente tramite la documentazione scritta, ma adoperando la metodologia adatta – che stiamo per illustrare – è comunque possibile ricostruire il sistema – a tutti gli effetti linguistico e non meramente graf(emat)ico – soggiacente alla produzione scritta dei secoli passati. Adottando questo approccio ci scostiamo dalla prassi che caratterizza i lavori scriptologici di stampo tradizionale (con le parole di Glessgen 2012, 6, l’obiettivo principale di tali studi «n’est [...] pas d’établir le système graphématique de l’état de langue en question ni de reconstituer son système phonologique ni encore de faire l’inventaire de ses marques morphologiques»), e assumiamo invece l’opposta prospettiva dell’AGLIO come è stata espressa da Barbato (2017, 832): «documentazione e ricostruzione non sono due blocchi inerti da confrontare ma due serie da far entrare in una proficua dialettica».[6] Fermarsi al livello puramente grafico nella rappresentazione dei dati potrebbe comportare, almeno in determinati casi, degli errori assai gravi: si pensi, ad esempio, al digramma <ch>: mentre il suo valore è quello di un’occlusiva velare in molti volgari (tra cui quelli toscani), non è così per la Sicilia, dove esso sta di solito per l’esito palatalizzato [ʧ] (cf., ad es., Maraschio 1993, 163–164). Associare forme contenenti <ch> a un unico esito sia per i testi toscani sia per quelli siciliani significherebbe pertanto ignorare le nostre conoscenze circa le particolarità grafiche di singole aree linguistiche, nonché introdurre un vero e proprio errore, dato che così si rischierebbe di postulare l’assenza della palatalizzazione di /k/ davanti a vocale palatale.[7]
La ricostruzione del valore dei singoli grafemi all’interno delle singole aree specifiche prevede le seguenti tappe: confronto della resa grafica di un tratto con quella di altri tratti affini (alla luce del quadro pancronico), ricerca di ipercorrettismi, consultazione della bibliografia secondaria, assunzione della prospettiva retrospettiva. Come si vedrà, le carte linguistiche prevedono la possibilità di commentare e – se necessario – di problematizzare determinate scelte operate in questa fase.
Nel caso specifico di ‑gn‑ ci si può avvalere del confronto con gli sviluppi del nesso ‑nj‑, il cui esito è una nasale palatale in tutte le varietà (cf. Rohlfs 1966–1969, §282).[8] Tale operazione permette di riunire sotto un unico tipo – che per comodità si è scelto di etichettare come ‑gn‑ – sette delle tredici soluzioni grafiche attestate (cf. [3]).[9]
(4) Grafie per la nasale palatale: <gn>, <gni>, <ngn>, <ngni>, <ng>, <ni>, <nni>.
Questi gruppi di grafemi si vedono adoperati, all’interno delle medesime varietà, anche per i continuatori di ‑nj‑.[10] Per quanto riguarda <gn> < ‑gn‑ non si può escludere del tutto il latinismo grafico; tale dubbio è ancora più forte là dove è attestato lo sviluppo alto-meridionale con vocalizzazione dell’elemento velare. Dal momento che la stessa grafia viene adoperata anche per rendere l’esito di ‑nj‑, è comunque lecito interpretare <gn> anche qui come grafia per la palatale; spesso si dispone inoltre di altri indizi che corroborano questa analisi. Prendiamo l’esempio del napoletano:
(5) Soluzioni grafiche per gli esiti di ‑gn‑ e ‑nj‑ in napoletano: dati AGLIO (con qualche integrazione)
‑gn‑ | ‑nj‑ | |
<gn> | pugna, pugno, signi, signo | iugno, sogno, vigne |
<gni> | agnielli | — |
<ni> | punio | iunio, junio |
<yn> | aynelli, caynata, caynati, caynato, puyna, puyno | — |
Come si evince dalla tabella in [5], non solo <gn> è usato sia per ‑gn‑ che per ‑nj‑ all’interno dello stesso testo (tutte le attestazioni risalgono al Libro de la destructione de Troya), ma si può anche notare come, sempre nel medesimo testo, uno dei lessemi venga realizzato con un’altra grafia, <ni>, usata per rendere la palatale.[11] Per quanto riguarda <gni>,[12] invece, non vi sono continuatori di ‑nj‑ ma soltanto sagnia (dal francese saignée, cf. TLIO, s.v. sagnìa), per cui è da ammettere una lettura con palatale, e teragnia ‘tirannia’, che valgono però, evidentemente, per il digramma <gn> (la i qui è tonica). Da tutto ciò emerge che il napoletano antico doveva conoscere sia l’esito alto-meridionale in [i̯n] sia quello in [ɲ(ː)] (cf. § 2), appartenente al resto della Penisola.
Per quanto riguarda la tipizzazione delle grafie rimanenti, non pongono problemi <in> e <yn>, che rendono l’esito alto-meridionale in [1b]. Possono invece essere interpretate, seguendo Agostini (1978, 65) e Castellani (2000, 398),[13] come soluzione di compromesso tra i due sviluppi principali in [1] le sequenze <ign> e <igni>, attestate in castellano e in cortonese (due varietà che si trovano ai margini dell’area di diffusione di ‑i̯n‑ in epoca medievale).
Spinosa la questione di <n> e <nn>, e non solo per una pur lecita diffidenza nei confronti della resa grafica delle geminate: sappiamo che oggi esiste ‑n‑ come sviluppo secondario di ‑i̯n‑ (cf. Baglioni 2014, 8; l’interpretazione risale già a Merlo 1908, 75);[14] <nn> si trova invece tendenzialmente in forme sospette di essere semidotte (cf. Formentin 1998, vol. 1, 231; Baglioni 2014, 16).[15]
(6) Forme con <n> e <nn> da ‑gn‑ nell’AGLIO
<n> | <nn> | |
aquilano | lena, lino, senare | sinno |
assisano | lena | |
lucchese | penora | |
orvietano | leni | |
perugino | lena, leno | |
romanesco | cunata, cunato, lena, leno | sinno |
senese | senati |
È interessante notare che <nn> è attestato da un unico tipo lessicale (si tratta del sostantivo maschile “segno” < sĭgnum); da considerare inoltre che per il romanesco sinno non può essere di trafila diretta, data l’assenza dell’innalzamento metafonetico delle medio-alte in questa varietà.[16] Per gli esiti con <n> da un lato abbiamo il lemma “legno”, che è responsabile di gran parte delle attestazioni, il che sarebbe compatibile con una diffusione lessicale di ‑n‑; dall’altro si può constatare che questo tipo di sviluppo appare spesso nelle varietà che conoscono anche ‑i̯n‑ (aquilano, perugino, romanesco)[17] o si trova comunque in aree contigue. Data questa situazione, sembra più prudente associare le due soluzioni grafiche a due tipi distinti.
Per <nn> ci si vede inoltre confrontati con l’ipotesi, espressa da Macciocca (2018, 100–102) per il romanesco e da De Blasi (1986, 345) per il napoletano, che tale digramma vada letto con una nasale palatale. Alla base di questa supposizione si trovano forme come rom. regnegare ‘rinnegare’ o napol. signo ‘senno’, vegni ‘venni’. A nostro avviso è, tuttavia, preferibile analizzare questi esempi come grafie ipercorrette che rivelano una reazione proprio all’esistenza dell’esito [nː] per ‑gn‑. Qualora la ricostruzione del sistema ponga problemi come quello appena illustrato in riferimento a singoli punti, si rende conto della scelta operata in sede di tipizzazione nei commenti puntuali alle singole varietà (su cui cf. il §2.3). Lo stesso si fa anche in casi come quello del mantovano, dove i digrammi <gn> e <ng>, entrambi generalmente interpretati come rese per la palatale, si trovano in distribuzione complementare (<gn> all’interno di parola, <ng> in posizione finale secondaria, cf. Ghinassi 2006 [1965], 58; Tagliani/Bino 2011, 118), o in quello del perugino, dove l’alternanza tra <gn> e <ngn> – il primo in sede protonica, il secondo nelle altre posizioni – può essere interpretato come una spia dello scempiamento protonico di [ɲː] (cf. Agostini 1968, 146–147).
Riassumendo, possiamo ricostruire cinque esiti diversi per il nesso ‑gn‑ in italo-romanzo antico:
(7) Esiti di ‑gn‑ in italo-romanzo antico
a. palatalizzazione: ‑gn‑;
b. vocalizzazione dell’elemento velare: ‑i̯n‑;
c. compromesso tra a e b: ‑i̯gn‑;
d. sviluppo secondario di b (Centro-Meridione) o esito indipendente (Zara): ‑n‑;
e. esito semidotto: ‑nn‑.
2.2 Spogli aggiuntivi
Come si è visto al paragrafo precedente, l’analisi dei dati ottenuti tramite lo spoglio dell’AGLIO prevede la consultazione dei commenti ai testi per risolvere i problemi legati alla veste grafica degli stessi. Il rapporto con la bibliografia secondaria del progetto MIRA è invero più profondo: il ricorso agli studi precedenti ha come scopo anzitutto quello di sopperire ad eventuali lacune dell’AGLIO, che sono inevitabili visto che esso non intende – né può materialmente – schedare tutte le occorrenze contenute nel corpus di base. È perciò possibile che le schede dell’Atlante non intercettino proprio tutti gli sviluppi di un tratto rinvenibili nella documentazione antica (soprattutto quelli minoritari). Là dove mancano testi commentati si ricorre invece a spogli (a campione) manuali.
Le integrazioni basate sugli spogli aggiuntivi sono di due tipi diversi: per garantire una certa omogeneità al dato quantitativo – messo in rilievo tramite i diagrammi «a torta» usati per rappresentare le singole aree specifiche sulla mappa (cf. il §2.4) – vi confluiscono soltanto le occorrenze rinvenibili nei testi che fanno parte del corpus congelato su cui si fonda l’AGLIO; le forme provenienti da testi che non fanno parte della base di dati dell’AGLIO,[18] invece, possono confluire soltanto nei commenti ai singoli punti (su cui cf. il §2.3).
Per quanto riguarda il nesso ‑gn‑, la consultazione della bibliografia secondaria altera il quadro offerto dall’AGLIO (cf. il §2.1) in riferimento a pochi punti. È questo il caso, ad esempio, dell’assisano e del cortonese:
(8) Integrazioni al quadro in §2.1 basate sulla bibliografia secondaria
dati AGLIO: tipi attestati | bibliografia secondaria | |
a. assisano | ‑gn‑ e ‑n‑ | «Il sost. aino/ayno è attestato nella documentazione in volgare assisano della fraternita di S. Stefano almeno fino al 1388, quando s’imporrà il sost. eno» (Santucci 2021, 300) |
b. cortonese | ‑gn‑ e ‑i̯gn‑ | anellina menzionato da Castellani (1949, 25) |
Le forme a cui si riferisce il brano di Santucci in [8a][19] si rinvengono soprattutto nei testi editi nel 2021, che non rientrano quindi nel corpus su cui ci fondiamo. Abbiamo però anche due occorrenze di aina (entro il sintagma «carne d’aina») in a Doc. assis., 1354–62, già parte del sotto-corpus AGLIO.[20] Anche l’anellina rilevato da Castellani (cf. [8b]) nell’unico testo «TS» per il cortonese (il Registro di crediti e pagamenti del maestro Passara) va aggiunto senz’altro allo spoglio e rende necessaria la ricerca manuale del lemma “agnellino” negli altri testi del corpus congelato in modo tale da non distorcere il dato quantitativo su cui si fonda la simbologia delle carte. Sono esempi come questi che rendono tangibile la necessità del lavoro aggiuntivo che ci permette di intercettare anche esiti minoritari attestati da lemmi che non sono (ancora) confluiti nell’AGLIO o che non vi confluiranno mai.[21]
In altri casi la bibliografia secondaria consultata non influisce sulla rappresentazione grafica dei dati (cf. il §2.4) perché non riguarda il materiale linguistico contenuto nel corpus congelato, ma, ciò nonostante, merita di essere integrata, sia pur sotto la forma di un commento. Questa situazione può essere illustrata con l’esempio del todino: l’AGLIO restituisce soltanto forme attribuibili al tipo ‑gn‑ (cf. [7a]), ma sappiamo (cf. già Ferri 1910, 16) che le laude iacoponiche hanno soprattutto ‑nn‑ (insieme a qualche attestazione di ‑i̯n‑ e ‑n‑), tratto ritenuto tra i «più caratteristici della lingua iacoponica, e dei dialetti centromeridionali in generale» da Ageno (1955, 194). I testi posteriori al 1400, invece, si trovano in pieno accordo con i dati dell’AGLIO: «Di questo tratto [scil.‑gn‑ > ‑nn‑] [...] non c’è traccia in RT [scil. lo statuto di Rocca Tederighi del 1406], esattamente come nella Cronaca todina: gli esiti di gn sono regolarmente rappresentati dalla grafia <(n)gn> che appare anche negli esiti di nj e dunque rappresenterà sicuramente la nasale palatale» (Sestito 2006, 93). Ora, l’opera di Iacopone da Todi è sì confluita nel corpus OVI, ma non è dotata dell’etichetta «TS». Ciò è dovuto al fatto che la «todinità» della sua poesia è, a dir poco, dubbia per motivi che non riguardano solo la sincerità linguistica dei manoscritti e l’affidabilità delle varie edizioni, ma la lingua in sé:[22] «i filologi debbono ormai convincersi che quanto più si va a ritroso nel tempo e si risale verso e entro il Duecento, tanto più il volgare d’arte, da qualunque regione prenda le mosse, presenta, all’infuori di taluni elementi municipali o regionali, carattere ‹illustre›. E il ‹todinismo› di Jacopone non va esagerato» (Ugolini 1947, XX). È dunque fuori questione che le attestazioni iacoponiche, senz’altro importanti, non possono avere lo stesso valore di quelle provenienti dallo Statuto dei Disciplinati di Porta Fratta, l’unico testo «TS» nel corpus OVI. Il dato, tuttavia, non si perde: i commenti ai singoli punti (cf. il §2.3) offrono la possibilità di aprire una finestra su fonti non contenute nel corpus di base e di fornire spiegazioni che vanno al di là del mero dato quantitativo. In questo caso specifico, la circolazione di esiti alternativi a ‑gn‑ in todino è in linea con il quadro geolinguistico immediatamente contermine data la loro presenza in punti ubicati più a nord quali Assisi, Perugia e Cortona e potrebbe essere soggetta a dinamiche diacroniche (gli esempi iacoponici risalgono al Duecento) e diafasiche.[23]
In alcuni casi la consultazione della bibliografia secondaria non fa che confermare quanto emerge dall’AGLIO; si vedano gli esempi in [9]:
(9) Dati AGLIO confermati dalla bibliografia secondaria
esiti attestati dall’AGLIO | bibliografia secondaria | |
a. orvietano | ‑gn‑, ‑n‑ | «l’orvietano trecentesco oscilla tra n’n’ [...] e n (derivante molto probabilmente da un anteriore in)» (Bianconi 1962, 67) |
b. anconetano | ‑gn‑ | «L’esito negli Statuti è di norma quello toscano con nasale palatale, indicato graficamente con il gruppo <ngn>» (Romagnoli 2014, 109) |
Per quanto riguarda l’orvietano in [9a], la corrispondenza tra l’AGLIO e la bibliografia è poco significativa poiché l’unico testo «TS» è stato edito dallo stesso Bianconi. Diverso il caso dell’anconetano in [9b], dato che gli Statuti anconetani del mare del 1397, oggetto dello studio di Romagnoli (2014), non fanno parte del corpus OVI.
Riassumendo, possiamo constatare che gli spogli aggiuntivi, che hanno contemplato i lemmi agna, agnellino (1), agnellino (2), assegnare, assegnazione, disdegno, ignorante, magno e significare, ci hanno permesso di rinvenire delle occorrenze per aree specifiche che prima ne erano prive (agrigentino, amiatino, marchigiano, parmense e zaratino), diminuendo così l’impatto delle lacune dovute alla copertura non perfetta della documentazione da parte della schedatura AGLIO, nonché di completare il quadro circa la variazione interna dei punti (presenza, oltre agli esiti attestati dall’AGLIO, di ‑i̯n‑ ad Assisi, di ‑n‑ a Cortona e di ‑nn‑ e ‑n‑ a Napoli); si è inoltre potuto completare l’elenco delle grafie per la nasale palatale in [4] con il trigramma <mgn>, impiegato da scriventi lucchesi. Dal punto di vista quantitativo, al quadro riassunto in [2] si sono aggiunte 1.488 occorrenze: 1.467 per ‑gn‑, 11 per ‑n‑, 7 per ‑nn‑ e 3 per ‑i̯n‑.[24]
2.3 Commenti (generale e ai singoli punti)
Recuperati tutti i dati utili dalle fonti informatiche e dalla bibliografia tradizionale, è necessario procedere alla stesura del commento generale alla carta, nonché, scendendo maggiormente nel dettaglio, dei commenti ai singoli punti; i testi in questione saranno poi integrati nell’interfaccia cartografica e completeranno la mappa relativa agli esiti del nesso ‑gn‑ (cf. §2.4).
Il commento generale, proiettato in un angolo della mappa (cf. §2.4), ha lo scopo primario di informare circa i criteri di tipizzazione delle grafie attestate (in altre parole, indica a quali esiti riconduciamo quali sequenze grafiche; la questione è poi riaffrontata, più approfonditamente, in riferimento ai singoli punti della carta, per cui cf. infra); dà anche modo, tuttavia, di fornire un primo, essenziale riferimento bibliografico sul tema e – non meno importante – raduna i metadati relativi allo spoglio su cui si fonda la mappa (data della consultazione di AGLIO e lemmi in esso contenuti al momento della ricerca; lemmi alla base dello spoglio aggiuntivo). Composto di queste tre facce, il testo si presenta in questo modo:
(10) Commento generale alla carta
Nesso ‑gn‑
Gli esiti qui presenti sono frutto di una tipizzazione:
– ‑gn‑ (esito palatalizzato [ɲ(ː)]) = <gn>, <gni>, <ngn>, <ngni>, <ng>, <ni>, <nni>, <mgn>;
– ‑i̯n‑ (esito con vocalizzazione dell’elemento velare) = <in>, <yn>;
– ‑i̯gn‑ (compromesso tra ‑gn‑ e ‑i̯n‑) = <ign>, <igni>;
– ‑n‑ (sviluppo secondario di ‑i̯n‑ nel Centro‑Meridione, indipendente a Zara) = <n>;
– ‑nn‑ (esito semidotto) = <nn>.
Si è scelto di tener separate le grafie <n> e <nn> dato che la seconda potrebbe rappresentare tanto uno sviluppo ulteriore a partire da ‑i̯n‑ (alla pari di ‑n‑) quanto – più probabilmente – un esito semidotto.
Bibliografia essenziale: Sull’evoluzione (fonetica) di ‑gn‑ nel passaggio dal latino all’italo-romanzo si veda Baglioni (2014), cui si rimanda anche per la bibliografia precedente.
Data dello spoglio di AGLIO: 2 maggio 2023.
Lemmi presenti in AGLIO al momento della ricerca: agnella, agnello, agno, cognata (1), cognato, legna, legno, pegno, pignorare, pugno, segna (1), segna (2), segnare, segno.
Lemmi integrati tramite spoglio aggiuntivo: agna, agnellino (1), agnellino (2), assegnare, assegnazione, disdegno, ignorante, magno, significare.
I commenti ai punti non interessano, naturalmente, tutti i centri della mappa, ma esclusivamente quelli per cui il lavoro di ricerca svolto in parallelo allo spoglio dell’AGLIO ha restituito informazioni interessanti. In alcuni casi i commenti si limitano a integrare il dato relativo alla distribuzione degli esiti con alcune informazioni bibliografiche utili; questo tipo di approfondimento, pur senza discutere problemi connessi con la distribuzione degli sviluppi del nesso, permette di segnalare peculiarità importanti, delle quali, diversamente, si perderebbe traccia: è il caso di quelle relative al mantovano [11a], al perugino [11f] e al todino [11g], a proposito delle quali si è già avuto modo di intervenire (§§2.1–2.2).
(11) Commenti ai singoli punti (esclusi il romanesco e il napoletano)
varietà | scheda di commento MIRA |
a. mantovano | Sulla grafia <ng> per [ɲ] in posizione finale secondaria, tipica della Lombardia orientale antica, cf. ad esempio Ghinassi (2006 [1965], 58) e Tagliani/Bino (2011, 118). |
b. zaratino | Si segue l’interpretazione di Dotto (2008, 144–148), che suggerisce di leggere con [n] la <n> che s’incontra assai frequentemente, in corrispondenza di ‑gn‑ e ‑nj‑, nei testi dalmati antichi (diversa l’opinione di Zamboni 1976, 33, secondo cui si avrebbe che fare con una più banale grafia per [ɲ]). |
c. pistoiese | Manni (1990, 25) interpreta le soluzioni pistoiesi <nni>, <ni> come grafie per [ɲː]. |
d. cortonese | Sul tipo anellina ‘di agnello’ a Cortona cf. Castellani (1949, 25; 2000, 398); secondo quest’ultimo studio, il tipo ‑i̯gn‑ rappresenterebbe un compromesso fra l’esito toscano [ɲː] e quello mediano e meridionale [i̯n]. |
e. castellano | Sui vari esiti presenti nei testi castellani antichi cf. Agostini (1978, 65), dove si chiarisce che ‑i̯gn‑ «è un compromesso» tra gli esiti [ɲː] e [i̯n]. |
f. perugino | Sulla compresenza di ‑gn‑, ‑i̯n‑ e ‑n‑ < ‑gn‑ nei testi perugini del Medioevo cf. Agostini (1967–1970, 150; 1968, 147–148). Importanti le considerazioni di Agostini (1968, 146–147) circa la distribuzione di <gn> e <ngn> (il primo ricorrerebbe solo in sede protonica; il secondo nelle altre posizioni), probabile indizio di uno scempiamento protonico di [ɲː] analogo a quello documentato, a Perugia, per [ʎː]. |
g. todino | L’esito ‑nn‑ < -gn- caratterizza la lingua di Iacopone, ma non si riscontra negli antichi testi todini in prosa; cf. al proposito Ageno (1955, 194) e Sestito (2006, 93). Data la generale scarsezza di attestazioni di ‑gn‑ a Todi (e il fatto che ‑n‑ e ‑i̯n‑ sono decisamente minoritari, ad es., pure nella vicina Perugia) si potrebbe anche pensare a un semplice difetto di documentazione. |
h. anconetano | Analogo lo sviluppo documentato dagli Statuti anconetani del mare del 1397 (fuori corpus): «L’esito negli Statuti è di norma quello toscano con nasale palatale, indicato graficamente con il gruppo <ngn>» (Romagnoli 2014, 109). |
i. orvietano | Resta valida la sintesi di Bianconi (1962, 67): «come risulta dagli esempi citati [...] l’orvietano trecentesco oscilla tra n’n’ [...] e n (derivante molto probabilmente da un anteriore in)». |
k. aquilano | Sull’esito ‑gn‑ > ‑nn‑ in Buccio di Ranallo si sofferma rapidamente Formentin (2010a, 214). |
L’insieme dei commenti, così strutturato, permetterà all’utente di raccogliere un buon numero di informazioni e di rinvii bibliografici, facilitando la lettura del dato cartografico da un lato e offrendo, dall’altro, le basi per un ulteriore approfondimento del problema in riferimento alla diacronia del tratto o, ad esempio, al comportamento di alcune aree specifiche. Vi sono casi, tuttavia, in cui i commenti alle varietà non hanno (solo) una funzione collaterale, ma si rendono necessari – come si è visto supra (§2.1) – per giustificare la lettura dei dati e in special modo la tipizzazione operata in riferimento al centro in questione. Si è detto, in particolare, che per gli esiti del nesso ‑gn‑ alcuni problemi sono posti dai documenti provenienti da Roma e Napoli; ecco allora che, in corrispondenza di questi punti, avremo dei commenti un po’ più dettagliati, volti certo – come nei casi in [11] – a fornire alcuni dati complementari ma anche, parallelamente, a spiegare come vanno letti (secondo noi) i testi antichi:
(12) Commento ai punti Roma e Napoli
varietà | scheda di commento MIRA |
a. romanesco | Sugli esiti di ‑gn‑ nei testi romaneschi del corpus cf. Macciocca (1982, 47–49; 2018, 100–102); di quest’ultimo studio, tuttavia, non pare condivisibile l’ipotesi secondo cui <nn> potrebbe indicare semplicemente [ɲː] sulla base, oltre che di alternanze quali rennao/regnao, ecc. e sinno/signo, sìgnora, della coppia rennegare/regnegare, la quale, al contrario, si configura proprio come prova del fatto che la grafia <gn> non doveva corrispondere necessariamente a [ɲː] e quindi, in parallelo, che <nn> = [nː] in corrispondenza di ‑gn‑ poteva effettivamente circolare, forse come esito semidotto in alcune serie lessicali (cf. Baglioni 2014, 16). Nella mappa, per ragioni di cautela, scegliamo comunque di attribuire tutte le forme con <gn> a un esito diverso da quello indicato da <nn>, riportandole a [ɲː] (sviluppo attestato del resto, con maggior sicurezza, dagli esempi con <ngn>; sulla diffusione di ‑gn‑ > [ɲː] anche in romanesco antico cf. ancora Baglioni 2014, 16).Per lo sviluppo del nesso nella Roma medievale cf. anche gli appunti di Formentin (2012, 52; 2012–2013, 32), che pure documentano forme con ‑gn‑, ‑nn‑, ‑n‑ e ‑i̯n‑. In generale, per il romanesco, si veda Ernst (1970, 87). |
b. napoletano | Sugli esiti di ‑gn‑ nei testi napoletani del corpus cf. Mussafia (1884, 34) e De Blasi (1986, 345). De Blasi, nel luogo citato, attribuisce senz’altro valore palatale alle grafie <ni> e <ny>; lo stesso dovrebbe valere, secondo l’autore, per <nn>, dati casi come signo ‘senno’, teragnia ‘tirannia’ e vegni ‘venni’ in uno dei testimoni della Destructione de Troya. Tali esempi, tuttavia, non potranno essere piuttosto il frutto della diffusione di <gn> come grafia latineggiante per [n:] < ‑gn‑, esito non raro nell’Italia centro-meridionale antica (cf. Baglioni 2014, 16)? Ci regoliamo secondo quest’ultima interpretazione, attribuendo le forme con <nn> a un esito diverso da quello che caratterizza le voci con <gn>/<gni>/<ngn> (che, per ragioni di cautela, riteniamo comunque tutte rappresentanti dello sviluppo ‑gn‑ > [ɲː]).Sugli esiti del nesso in un testo napoletano più tardo cf. Formentin (1998, vol. 1, 230–232), che pure, in linea con quanto si propone in questa sede, interpreta <nn> come grafia per [nː] («esito che [...] credo si debba ritenere semidotto»). |
2.4 La mappa
Provvisti, a questo punto, e dei dati relativi alla distribuzione degli esiti e di una serie di commenti (generale e specifici), possiamo procedere a generare la carta linguistica relativa al nesso. La creazione della mappa avverrà grazie all’interfaccia cartografica messaci a disposizione dalla Linguistic Research Infrastructure (LiRI) dell’Università di Zurigo: tale interfaccia tratta i nostri dati collocandoli su una carta geografica secondo modalità che, discusse e perfezionate con l’aiuto dei tecnici, ci sembrano le migliori per lo scopo che ci siamo prefissi. In questo articolo, che non può ancora giovarsi di schermate tratte dal sito del progetto MIRA (tuttora in via di perfezionamento),[25] stampiamo un prototipo di mappa (Mappa 1) che riproduce nel modo più fedele quella che sarà messa a disposizione degli utenti del nostro atlante.[26]

La mappa MIRA relativa alla distribuzione degli esiti di ‑gn‑ in italo-romanzo antico, con commento generale e specifico (anconetano).
Nell’immagine scegliamo di presentare la carta come se stessimo visualizzando l’insieme dei dati relativi a tutta la Penisola tenendo aperti il commento generale (in basso a sinistra, eventualmente riducibile a icona) e il commento a una varietà specifica (queste caselle di testo, come si ripeterà, si aprono in forma di pop-up cliccando sul simbolo assegnato al punto); scegliamo l’anconetano per ragioni di pura chiarezza, perché la nuvoletta di commento relativa, una volta aperta, si limita a occupare parte del bacino dell’Adriatico e dei Balcani e, tolto il caso dello zaratino, non si sovrappone ai simboli di altre località. Ai nostri fini è importante offrire una visualizzazione dell’Italia intera; è tuttavia possibile zoomare all’interno della carta per soffermarsi su aree più circoscritte.
Spostiamo l’attenzione sulle soluzioni adottate per comunicare i dati linguistici da noi raccolti.[27] A ogni punto, come si vede, è associato un simbolo di forma circolare che può assumere uno o più colori (o, in mancanza di attestazioni pertinenti, nessuno) in base agli esiti restituiti dal centro in questione (per la decodifica ci si deve affidare alla legenda in basso a destra, che permette anche di deselezionare – togliendolo dalla mappa – ciascuno dei valori); il rapporto tra i colori all’interno del cerchietto è regolato su base proporzionale e rappresenta, quindi, la relazione numerica tra le attestazioni dei diversi sviluppi. Cliccando sul simbolo di un punto si accede alla scheda ad esso relativa, dove, a prescindere dalla presenza o meno di un commento ad hoc (come quello sull’anconetano presente nell’esempio), si esplicita il dato quantitativo con riferimento al numero di occorrenze di ciascun esito.
Così come è riprodotta nell’immagine, la mappa non dà informazioni relative al rapporto fra le attestazioni complessive dei punti che restituiscono materiale utile: anche se è facilmente intuibile, non si ha modo di sapere, a colpo d’occhio, che Firenze attesta l’esito ‑gn‑ con un numero di esempi assai maggiore di quello portato da Volterra o Colle di Val d’Elsa; l’unico modo per recuperare il dato sembrerebbe quello di interrogare le schede di ogni centro, ciò che però, evidentemente, non si risolve su un piano sinottico. Si tratta di un limite apparente, imposto dalla necessità di riprodurre, in questa sede, una sola schermata della mappa in questione; nella realtà, infatti, il dato è rappresentabile sulla carta in ogni momento: la grandezza delle torte, una volta selezionata la modalità di visualizzazione Proporziona simboli nella maschera in alto a sinistra, varierà sulla base del numero di occorrenze documentate dal centro, così da permettere all’utente di valutare meglio l’incidenza del dato relativo alla diffusione di un esito in un’area.
3 La rappresentabilità della variazione sociolinguistica alla luce della natura del corpus
Ci si è già soffermati brevemente, in altra sede (cf. Cristelli/Wild 2023, 82–85), su alcuni degli aspetti problematici che il progetto MIRA deve affrontare. Tra questi spicca, per importanza, sicuramente quello della distribuzione areale dei testi del nostro corpus, che risulta essere piuttosto disomogenea (cf. anche Barbato 2019 a, 110). Per ottenere un’idea di questo squilibrio si possono confrontare l’apporto, in percentuale, delle tre macroaree al totale dei testi e al numero di occorrenze dell’intero corpus.
(13) Distribuzione areale del materiale linguistico nel corpus (in %):
a. le tre macroaree
numero di testi | numero di occ. | |
sett. | 46.36 | 14.37 |
tosc. | 42.25 | 65.84 |
centro-mer. | 11.39 | 19.79 |
b. i tre volgari toscani meglio attestati
numero di testi | numero di occ. | |
fior. | 11.80 | 21.18 |
pis. | 7.96 | 17.50 |
sen. | 4.80 | 15.32 |
TOTALE | 24.55 | 54.00 |
Emerge chiaramente da [13a] la scarsezza, ben nota a chi si occupa dei volgari italo-romanzi, di dati relativi alle varietà centro-meridionali (da ricordare inoltre che da Napoli in giù disponiamo di testi per sette punti, di cui cinque si trovano in Sicilia): il fiorentino da solo dispone di un numero di occorrenze maggiore di quello di tutto il Centro-Meridione. Inoltre, si può constatare che i tre volgari toscani meglio attestati, presi insieme, benché forniscano soltanto poco meno di un quarto dei testi, sono responsabili di più della metà delle occorrenze contenute nel nostro corpus.
Si tratta qui di un limite inerente alla documentazione italo-romanza stessa che potrebbe essere superato soltanto estendendo il limite cronologico oltre il 1400 e includendo anche testi allografici. Tale soluzione non è prevista all’interno dell’attuale progetto, ma potrebbe essere al centro di un’eventuale iniziativa futura da realizzare a partire dall’anno 2026.
Un altro aspetto critico del nostro approccio concerne l’asse diacronico, dal momento che la prima fonte, la Formula di confessione umbra, risale al 1065, mentre gli ultimi documenti toccano le soglie del secolo XV. La rappresentazione simultanea di tutte le informazioni contenute nella nostra base di dati comporta dunque, in linea di massima, il rischio di un appiattimento della prospettiva cronologica.
Ora, nell’àmbito del convegno che ha ospitato l’intervento alla base di questo articolo ci è stato fatto notare che la scelta di pubblicare i dati in rete permetterebbe di risolvere tale problema: suddividendo i dati cronologicamente (ad es. per secoli) si potrebbe visualizzare l’asse diacronico tramite una funzione che proietti le attestazioni su una singola mappa facendo passare i secoli in «time-lapse».[28] Dal punto di vista tecnico tale soluzione sarebbe senz’altro fattibile,[29] ma nel caso dell’italo-romanzo prequattrocentesco la domanda è, piuttosto, quanto essa sia realmente funzionale e interessante. Un primo argomento contrario viene di nuovo dalla distribuzione dei testi e delle occorrenze nei quattro secoli contemplati dal corpus.[30]
(14) Distribuzione cronologica dei dati contenuti nel corpus:
a. testi e occorrenze per secolo (in %)
numero di testi | numero di occ. | |
1001–1100 | 0.27 | 0.01 |
1101–1200 | 1.92 | 0.06 |
1201–1300 | 26.75 | 25.46 |
1301–1400 | 71.06 | 74.47 |
b. varietà rappresentate per secolo
1001–1100 | amiat., norc. |
1101–1200 | savon., colt., prat., pist., pis., volt., march., fabr., osim., molis. |
1201–1300 | mil., bergam., mant., bologn., venez., padov., ver., fior., mug., sang., casol., prat., pist., lucch., pis., montier., sen., aret., castell., folign., macer., viterb., rom. |
1301–1400 | gen., chier., pav., lomb. or., mant., parm., moden., ferr., bologn., ravenn., venez., zar., vicent., padov., bellun., ver., trent., fior., sang., collig., prat., pist., lucch., garfagn., pis., volt., sen., amiat., aret., cort., castell., napol., mess., catan., sirac., agrig., palerm., eugub., perug., assis., tod., orviet., spolet., ancon., recan., aquil., viterb., rom., cass. |
Da notare che quasi tre quarti dei materiali non risalgono oltre il Trecento (cf. [14a]), che per di più restituisce occorrenze per ben 49 delle 63 varietà (cf. [14b]),[31] mentre tale numero per gli altri secoli è sensibilmente inferiore (XI: 2; XII: 10; XIII: 23). Ciò significa che la variazione diacronica effettivamente osservabile, in prospettiva pantopica, si limita a duecento anni. Da [14b] emerge inoltre che 45 volgari (quelli stampati in grassetto) forniscono attestazioni per un unico secolo, laddove soltanto 18 permettono di seguire la loro evoluzione diacronica con attestazioni distribuite su due o tre dei periodi individuati in [14].
La scarsa funzionalità di una suddivisione per secoli emerge ancora meglio guardando all’esempio concreto degli esiti di ‑gn‑.[32]
(15) Distribuzione di ‑gn‑ per secoli
a. occorrenze assolute e percentuali
numero di occ. | % | |
1001–1100 | 0 | 0 |
1101–1200 | 5 | 0.15 |
1201–1300 | 712 | 21.99 |
1301–1400 | 2.521 | 77.86 |
TOTALE | 3.238 | 100 |
b. varietà con attestazioni
1001–1100 | — |
1101–1200 | savon. (2), fabr. (3) |
1201–1300 | mil. (39), bologn. (3), venez. (3), ver. (1), fior. (61), prat. (4), lucch. (1), pis. (42), sen. (61), aret. (465), macer. (4), viterb. (1), rom. (27) |
1301–1400 | gen. (30), pav. (77), lomb. or. (1), mant. (11), ferr. (5), bologn. (38), venez. (135), padov. (137), ver. (25), trent. (2), fior. (536), sang. (4), collig. (2), prat. (75), pist. (80), lucch. (29), pis. (736), volt. (1), sen. (193), aret. (8), cort. (4), castell. (8), eugub. (8), perug. (222), assis. (24), tod. (11), orviet. (6), ancon. (3), aquil. (18), viterb. (17), cass. (1), napol. (35), mess. (16), catan. (9), sirac. (16), palerm. (8) |
La distribuzione degli esempi di ‑gn‑ nei secoli in [15a] corrisponde a quella delle occorrenze totali in [14a]. Se consideriamo la distribuzione cronologica delle varietà con attestazioni utili emergono 10 aree specifiche con occorrenze sia due che trecentesche, di cui solo tre restituiscono più di uno degli esiti del nesso: il lucchese (‑gn‑ e ‑n‑), il senese (‑gn‑ e ‑n‑) e il viterbese (‑gn‑ e ‑i̯n‑). Per i due volgari toscani la situazione è abbastanza chiara: ‑n‑ è indubbiamente l’esito minoritario in quanto disponiamo di un’unica attestazione in entrambe le varietà la cui collocazione cronologica (un testo datato al periodo tra il 1279 e il 1302 per il lucchese e una fonte risalente al biennio 1281–1282 per il senese) non lascia intravedere un’evoluzione interna (l’esito ‑gn‑ è attestato sia prima che dopo);[33] si tratterà – se non di errori da parte degli scriventi – di isolati influssi meridionali. Più interessante potrebbe sembrare il caso del viterbese (considerata la sua posizione geolinguistica, cf. il §2), ma anche qui ‑i̯n‑ è l’esito minoritario (un’unica occorrenza in un testo del 1384, cf. già Bianconi 1962, 67). Negli altri punti con compresenza di due o più esiti le attestazioni risalgono allo stesso secolo o (ad es. per il cortonese) allo stesso testo.
Volendo tradurre i dati ottenuti per ‑gn‑ in mappe con scansione cronologica saremmo costretti a produrre la seguente serie di carte:[34]

Suddivisione della carta relativa al nesso ‑gn‑ per secoli.
Come si è già detto, il quadro offerto dai primi due secoli è ben poco informativo, ma anche le carte relative ai secoli XIII e XIV non rivelano molto (soprattutto se si considera l’assenza – a parte le quattro occorrenze maceratesi – di dati duecenteschi al di sotto della linea Roma-Ancona).
Una visualizzazione analoga a quella della Mappa 2 comporta inoltre il rischio di essere interpretata in modo errato. Così il fatto che le prime attestazioni di ‑i̯n‑, ‑n‑ e ‑nn‑ si trovino in romanesco (e, per ‑n‑, in lucchese) potrebbe indurci, in base al confronto con la situazione del secolo XIV, a interpretare tali sviluppi come esiti romaneschi diffusisi in séguito a varietà come il cassinese, il napoletano, l’aquilano, ecc.,[35] laddove il confronto pancronico suggerisce piuttosto il contrario. In generale, tale soluzione grafica rende difficile distinguere ciò che è effettivamente un’innovazione o un cambiamento e quanto invece è dovuto a mere lacune documentarie. Questo problema non si pone tanto per i tratti fonologici – che nella nostra prospettiva corrispondono a fonemi e nessi del latino per i quali l’assenza di dati è sempre riconducibile alla mancanza di contesti pertinenti nelle fonti – quanto per la morfologia, dove è più semplice trovare fenomeni innovativi per cui tale equivalenza non vale più.
La situazione documentaria dell’italo-romanzo antico in generale e la natura del corpus su cui ci basiamo in particolare ci inducono pertanto a rinunciare alla Mappa 2 – o ad altre affini – come modalità di visualizzazione principale dei dati. Va inoltre ribadita, a questo proposito, la prospettiva di base del progetto, meno interessato alla (micro)variazione diacronica all’interno dei testi del corpus e volto a tracciare un quadro geolinguistico delle prime attestazioni del volgare in Italia per costituire un punto fermo, quello di partenza ovvero delle «Origini», per lo studio della dialettologia storica che considera l’evoluzione dei dialetti lungo tutto l’asse diacronico.[36] Non escludiamo, ad ogni modo, la possibilità di ricorrere in maniera eccezionale alla suddivisione per secoli qualora il tratto in questione suggerisca l’importanza di un’interpretazione diacronica generale. Per il resto, si faranno confluire eventuali osservazioni circa la cronologia nei commenti ai singoli punti (cf. il §2.3).
Il nostro corpus risulta essere poco bilanciato anche per quanto riguarda le variabili diastratica e diafasica; come nel caso della variazione diacronica, lo chiariamo subito, osservazioni che pertengono a questi assi verranno fornite nei commenti ai singoli punti. Un’altra dimensione rilevante, che si sovrappone parzialmente a quelle diastratica e diafasica (nonché al parametro della vicinanza-distanza), riguarda i generi testuali.[37]
Il corpus impiegato per il progetto MIRA comprende 24 dei generi testuali definiti dall’OVI,[38] di cui alcuni sono rappresentati da un unico testo (così ad es. «vite», «comm.»), mentre altri contano più di cento esponenti («doc.» e «doc. giur.»). Ora, il numero di tipi diversi è troppo elevato per risultare funzionale a una traduzione grafica dei dati. Più promettente forse la tripartizione in «documento», «monumento» e «testo letterario» proposta da Barbato (2005, 190; 2016, 21) modificando la dicotomia originaria tra documento-monumento elaborata da Zumthor (1973, 37–38) per le fonti delle Origini.[39] I documenti si distinguono per l’impiego del volgare in funzione puramente comunicativa, mentre la categoria dei testi letterari serve a individuare «le produzioni più decisamente artistiche» (Barbato 2005, 190). Unendo i generi dell’OVI appartenenti sicuramente al genere dei documenti («doc.», «doc. giur.», «doc./lett.», «doc. merc.», «gloss.», «lett.», «stat.», «stat./doc. merc.») si contano 648 testi, il che equivale all’88.89% del corpus.[40] Ciò comporta delle difficoltà per l’analisi quantitativa di un’eventuale variazione legata al genere testuale. Più gravi le implicazioni che ha la distribuzione areale dei tipi di testo, dal momento che vi sono volgari rappresentati unicamente da documenti (ad es. l’agrigentino, il catanese, il palermitano) oppure, il che è forse più problematico,[41] da testi letterari (ad es. il messinese, il milanese, il napoletano, il siracusano). Tutto considerato, dunque, distinguendo in maniera costante tra i vari generi testuali nella visualizzazione dei dati si rischierebbe di nuovo l’oscuramento del quadro d’insieme.
4 Conclusioni
Si è qui presentato un esempio di ricerca utile a dar conto delle metodologie e dei risultati del progetto MIRA. È possibile che alcune delle soluzioni indicate nelle pagine precedenti siano soggette a modifiche nel corso del tempo: solo grazie a una costante pratica cartografica – quella che ci impegnerà fino al 2026 – potremo sancire la bontà (o meno) di tutte le opzioni prescelte; è vero, d’altra parte, che il confronto con gli informatici e con gli esperti del settore (in occasioni quali il convegno da cui prende le mosse questa parte tematica) potrà sempre illuminare aspetti poco approfonditi e suggerire, di conseguenza, alcune lievi modifiche al nostro modello di rappresentazione cartografica.[42]
Al netto di questi possibili aggiustamenti, quello che si è visto per il nesso ‑gn‑ sarà ripetuto, in futuro, per circa un centinaio di altri tratti (la maggior parte afferenti al livello della fonetica; un numero più ridotto a quello della morfologia): si costruirà così un database cartografico che, di fatto, rappresenterà un aggiornato profilo linguistico delle varietà italo-romanze antiche. Per quanto riguarda ‑gn‑ si è visto che, pur senza stravolgere – com’è ragionevole attendersi – le conoscenze relative agli sviluppi del nesso in fase antica, le informazioni raccolte dalla mappa MIRA permettono di ricostruire un’immagine assai più dettagliata di quella offerta dalle grammatiche storiche e dagli studi che si sono confrontati con il problema (cf. il §2): questo non solo perché di ogni centro si registrano puntualmente gli esiti e il numero delle occorrenze relative, ma anche perché, in tutti i casi in cui è opportuno farlo, questi dati sono discussi alla luce dei commenti linguistici ai testi e di altri studi di settore. Talora, come per il romanesco e il napoletano (cf. il §2.3), la consultazione della bibliografia non si risolve in una semplice citazione, ma spinge a ridiscutere interpretazioni ritenute fuorvianti o poco condivisibili.
È sulla base di mappe analoghe a quella descritta in questo articolo che potremo tracciare la Carta dei volgari italo-romanzi, rappresentazione sinottica che costituirà il coronamento degli sforzi intrapresi in seno al progetto MIRA (cf. Cristelli et al. 2022, 312 e 314; Cristelli/Wild 2023, 90).
Nota
Il lavoro, pur concepito e redatto congiuntamente, è da suddividere come segue: a SC vanno attribuiti i §§2.3, 2.4 e 4; MW è responsabile dei §§1, 2–2.2, 3. Siamo riconoscenti al Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica del finanziamento ottenuto (FNS 100012_205028); ringraziamo inoltre per i loro commenti, in occasione della presentazione di questo lavoro, Davide Checchi, Mariafrancesca Giuliani e Hans Goebl, nonché Alessandro Cerri e Stefano Teti per l’aiuto con gli spogli aggiuntivi (di cui al §2.2). I simboli a cui ricorriamo sono quelli consueti nella tradizione italianistica (parentesi aguzze per i grafemi e quadre per i foni, doppie virgolette alte per i tipi lessicali, corsivo per le forme linguistiche, ecc.); ai paragrafi si rinvia ricorrendo al simbolo relativo (§), mentre i rimandi ai punti che recano gli esempi discussi nel corso della trattazione sono effettuati con parentesi quadre.
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- Kurzbesprechungen
- Gabriele Giannini (ed.), La vie de sainte Agnès en quatrains de décasyllabes (BNF, fr. 1553 (Collection des anciens auteurs belges 19), Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 2022, lxxx + 72 p.
- Kurzbesprechungen
- Il ciclo di Guiron le Courtois. Romanzi in prosa del secolo XIII, edizione critica diretta da Lino Leonardi e Richard Trachsler, vol. III/1: I testi di raccordo, a cura di Véronique Winand, analisi letteraria di Nicola Morato (Archivio Romanzo 33), Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2022, XVIII + 596 p.
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