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Ricettari regionali e lessico gastronomico napoletano d’età borbonica

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Published/Copyright: December 9, 2022
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Abstract

The paper aims to present some preliminary outcomes as part of the National Research Project Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità (AtLiTeG). The project’s main purpose is to reconstruct the history and geography of Italian culinary texts and their language from the medieval period to the Unification of Italy. The Unit of Naples «Federico II» created a corpus of interregional cookbooks printed between the 18th and the 19th centuries, namely before the turning point represented by Pellegrino Artusi’s Scienza in cucina (1891). After illustrating our digital database, together with other kinds of collected sources, we will deal with some historical-linguistic and lexical issues related to the Cuoco galante (1773) by Vincenzo Corrado, a very important gastronome and chef of Bourbon Naples.

1 Introduzione

Il riconoscimento del Bel Paese come patria della buona tavola e della buona cucina, e della raffinata, ma anche semplice e sana, tradizione culinaria ed enogastronomica non si è sempre accompagnato ad una altrettanto fervida attenzione alla lingua del cibo. Se la quantità di pubblicazioni ad opera di appassionati e dilettantisti risulta amplissima, e quasi esclusivamente per i secoli a noi più vicini (Otto- e Novecento, e poi gli anni Duemila), lo stesso non si può dire sul versante della letteratura scientifica di stampo filologico, storico-linguistico, lessicografico e lessicologico, fatta eccezione naturalmente per quei fondamentali contributi di chi di questi temi si è occupato a lungo, a partire da Giovanna Frosini e Sergio Lubello.[1]

In questa sede chiarirò gli obiettivi di ricerca dell’Unità napoletana del PRIN 2017 AtLiTeG, per poi passare a una panoramica su alcune opere di gastronomia stampate a Napoli in età borbonica (1734–1860, alla vigilia dell’Unità).[2] Per il contesto storico e geografico considerato lo stato attuale degli studi risulta poco avanzato, e ha interessato per lo più storici della gastronomia e dell’alimentazione come Claudio Benporat (1990a; 1990b), Alberto Capatti e Massimo Montanari (cf. Capatti/Montanari 2005), con un’attenzione rivolta quindi più al cibo, alla cucina e alle tradizioni culinarie in sé e come fattore di identità culturale, nonché alla dimensione, questa della tavola, di rito connesso alla socializzazione.[3] A completamento di tali prospettive di ricerca, sarebbe perciò auspicabile che anche filologi e storici della lingua vedessero nel periodo in questione un fertile campo d’indagine, in quanto studiosi in grado di procurare edizioni critiche rigorose, provviste peraltro di utilissimi spogli lessicali, come già è stato fatto, per l’evo medievale, per quello che parrebbe essere il più antico ricettario italiano oggi noto.[4]

Fatta questa premessa, scopo generale dell’AtLiTeG è la ricostruzione della storia e della geografia dei testi e della lingua del cibo nella nostra penisola dal Medioevo all’Unità (1861). Per effettuare uno studio sistematico del genere sul lessico gastronomico, studio sviluppato dunque in diacronia e in diatopia, si è partiti dalla costituzione di un ampio e variegato corpus testuale, con testi raccolti seguendo i vari segmenti cronologici assegnati a ciascuna unità: Medioevo, Rinascimento, secondo Cinquecento e Seicento, Sette-Ottocento. Per questa prima fase si sono seguite due piste: da un lato la necessità di procurare edizioni critiche (sia cartacee che digitali, le seconde con marcatura XML-TEI)[5] di testi di cucina medievali a tradizione manoscritta o di testi moderni con tradizione a stampa; dall’altro l’accertamento filologico, direttamente sugli originali, di testi già pubblicati ma in edizioni giudicate scarsamente affidabili, o comunque editi con criteri incompatibili con quelli adottati ora in funzione dell’Atlante.[6]

2 Per un corpus interregionale di ricettari sette-ottocenteschi

Nel quadro dei comuni obiettivi di ricerca del PRIN, l’Unità di Napoli si è occupata della costituzione di un corpus interregionale di ricettari dei secoli XVIII e XIX, precedenti al processo di unificazione e alla svolta avutasi con la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891), uscito a trent’anni esatti dall’Unità.[7] Più precisamente, la ricerca persegue due scopi: in primo luogo, allestire una raccolta di testi sia editi, verificandone però le linee della tradizione, sia inediti o privi di edizioni moderne; in secondo luogo, contribuire al glossario della lingua del cibo, indagando sulla storia delle parole e sulle loro etimologie. Sono stati presi in considerazione, con un’attenzione rivolta anche ai paratesti (introduzioni e glossari), da un lato quei ricettari tradotti dal francese ma rivisitati e adattati – è il caso de Il Cuoco piemontese perfezionato a Parigi (Torino, 1766), pubblicato anonimo sul modello de La Cuisinière bourgeoise (Parigi, 1746) di Joseph Menon –, dall’altro quelli stampati in Italia e di ambito nazionale o a carattere localistico-regionale,[8] talvolta con inserti o intere sezioni in dialetto, e rappresentativi in particolare delle aree e delle cucine piemontese, lombarda, ligure, marchigiana, napoletana e siciliana. In questo modo si potrà definire il repertorio di parole nuove, prestiti e rideterminazioni semantiche di parole tradizionali, italiane e dialettali, riservando particolare attenzione agli esotismi.

Detto questo, punto di partenza per la costituzione del nostro corpus è stata la fondamentale e classica – ma filologicamente inadeguata – antologia di Emilio Faccioli ([1987] 1992). Prima però di illustrare brevemente il data-base testuale, occorre fare una precisazione sul significato del termine «gastronomia». Nell’accezione insieme più aggiornata e autorevole, quella della Grande enciclopedia della gastronomia (cf. Guarnaschelli Gotti 2020, 810), il termine si riferisce principalmente alla civiltà della tavola e alle sue manifestazioni, dalla preparazione dei piatti all’organizzazione dei banchetti, fino alle norme di comportamento da seguire durante il convito, distinguendosi così sia dalla dietetica che dalla scienza dell’alimentazione. Questo significa che dal punto di vista della tipologia testuale possono essere considerati sia i normali ricettari e i veri e propri trattati di gastronomia, sia opere sul galateo, come pure manuali per organizzare feste e imbandire mense, o ancora composizioni letterarie dedicate al cibo. Anche così, può comunque capitare che la nozione di «gastronomia» venga intesa in maniera più ampia, coincidendo sostanzialmente con quella di «scienze gastronomiche» e andando a includere effettivamente anche opere che trattano di allevamento finalizzato all’alimentazione (del bestiame o delle api), di coltivazione (di tè o caffè), di agronomia, enologia o di dietetica, da intendersi come branca della medicina cosiddetta «alimentare».[9]

Fatta questa premessa, diremo che dai testi che compaiono nella raccolta del Faccioli ha preso le mosse una ricerca più estesa che per il Sette-Ottocento ha portato a individuare circa 160 titoli fra ricettari, trattati, testi letterari e perfino giuridici, nella maggior parte reperiti in formato digitale (per alcuni, anche in più edizioni).[10] All’interno di questa mole di testi, sempre seguendo Faccioli (1992), l’Unità di Napoli ne ha scelti quattordici giudicandoli imprescindibili per rappresentatività geografica e naturalmente per la loro rilevanza all’interno del panorama culinario-gastronomico dell’epoca. Li elenco di séguito, indicando per alcuni di essi, accanto all’anno di pubblicazione, il numero dell’edizione effettivamente analizzata, seguita dalla data della prima edizione:[11]

(1) Michele Marceca, Libro di secreti per fare cose dolce di varij modi, Malta, 1748, ms. La Valletta, National Library of Malta, Lib. M. 1242, cc. 1‒73 (ed. Musso 2011);*

(2) [Anon.,] Il Cuoco piemontese perfezionato a Parigi, Torino, 1766, 502 pp.;*

(3) [Anon.,] Il Cuoco reale e cittadino, Venezia, 1791, 468 pp.;*

(4) Vincenzo Agnoletti, La Nuovissima cucina economica, Roma, 1814, VIII + 383 pp.;*

(5) Vincenzo Corrado, Il Cuoco galante, Napoli, 1820 (6ª ed.) [1ª ed. 1773], VIII + 244 pp.;**

(6) Antonio Nebbia, Il Cuoco maceratese, Bassano, 1820 (ed. 5ª veneta) [1ª ed. Macerata, 1779], 299 pp.;**

(7) Antonio Odescalchi, Il Cuoco senza pretese, Como, 1826 (2ª ed.) [ignota la data della 1ª ed.], 76 pp. (Parte Prima); 80 pp. (Parte Seconda);*

(8) Giovanni Brizzi, La Cuciniera moderna, Siena, 1845, 192 pp.;*

(9) Giovanni Rajberti, L’Arte di convitare spiegata al popolo, Milano, 1850–1851, XXIII + 102 pp. (Parte Prima); XXXI + 111 pp. (Parte Seconda);**

(10) Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico-pratica, Napoli, 1852 (7ª ed.) [1ª ed. 1837], 471 pp.;*

(11) Giovanni Felice Luraschi, Nuovo cuoco milanese economico, Milano, 1853 (3ª ed.) [1ª ed. 1829], IV + 551 pp.;**

(12) [Anon.,] Il re dei cuochi, Firenze, 1874, 128 pp.;**

(13) Gio. Batta (Giovanni Battista) e Giovanni Ratto, La Cuciniera genovese, Genova, 1893 (8ª ed.) [1ª ed. 1863], 350 pp.;**

(14) Giovanni Vialardi, Il piccolo Vialardi. Cucina semplice ed economica, Torino, 1899, 336 pp.**

Costituiranno invece uno specifico oggetto di ricerca le due edizioni dell’Apicio moderno di Francesco Leonardi (Roma, 1ª ed. 1790, in sei tomi, per un totale di ca. 1.950 pp.; 2ª ed. 1807–1808, qui con l’aggiunta di altri due tomi sull’arte del credenziere, rispettivamente di 372 e 382 pp.), un’opera monumentale e in generale il più importante trattato gastronomico prima della Scienza in cucina dell’Artusi.

Tornando alla raccolta del Faccioli, va detto che lì restava escluso Antonio Nebbia, definito addirittura «il più maldestro e approssimativo» tra i «divulgatori d’arte cucinaria»; e ancora, continua Faccioli: «Degli autori citati [i.e. Corrado, Nebbia e Leonardi] si è perciò preferito accogliere, escludendone il Nebbia, le ricette dell’uso regionale che più delle altre sono registrate con qualche attenzione e con un certo spirito di fedeltà alla pratica tradizionale» (Faccioli 1992, XXVI). Oltre a questi e al Cuoco piemontese perfezionato a Parigi, lo studioso aveva inoltre deciso di includere

«in sede antologica le ricette regionali dei trattati ottocenteschi, dando la preferenza a quelli del romano Vincenzo Agnoletti, del milanese Felice Luraschi e del piemontese Giovanni Vialardi, i quali, pur tecnicamente ineccepibili, denunciano il progressivo impoverimento della letteratura gastronomica italiana e tuttavia sembrano serbare ancora vivo il gusto dei prodotti locali e dei procedimenti consacrati dall’esercizio della cucina familiare».

E poi a seguire osservava:

«I segni araldici di un’autentica nobiltà di educazione e di gusti sopravvivono però altrove, soprattutto nel frizzante dialetto della Cucina casarinola co la lengua napolitana di Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino e negli amabili avvertimenti di costume de L’arte di convitare del medico milanese Giovanni Rajberti» (Faccioli 1992, XXVIII).

Come si è visto, per tre testi il limite cronologico del 1861 è stato sorpassato o inteso in maniera elastica, essenzialmente per ragioni d’importanza e/o di disponibilità degli stessi, per cui nel corpus sono stati inclusi anche Il re dei cuochi (1874), La Cuciniera genovese (8ª ed. 1893 [1ª ed. 1863]) e Il piccolo Vialardi (1899), versione minore, questa, del Trattato di Cucina Pasticceria moderna Credenza e relativa Confettureria (Torino, 1854) dello stesso autore, pure antologizzato da Faccioli (1992, 817–832). Dei tre trattati, l’importanza della Cuciniera genovese è sottolineata da Coveri (2012, 125), secondo cui anche «la Liguria aveva, per così dire, il ‹suo Artusi› (caso, peraltro, anche di altre regioni) fin dal 1863, due anni dopo l’Unità».

A parte questo, la ricerca prevede inoltre di analizzare la componente lessicale dei ricettari ricorrendo, oltre che alle tradizionali fonti lessicografiche, anche a raccolte di leggi emanate dalle istituzioni locali, che spesso offrono un repertorio lessicale molto ricco in prospettiva diatopica e per tipologie di referenti, dunque non solo in relazione al settore propriamente gastronomico (pensiamo p. es. al lessico della cultura materiale).[12] Per fare questo, come si è detto, si è proceduto all’individuazione anche di diverse fonti giuridiche e legislative riguardanti specialmente il Regno di Napoli e il Regno delle Due Sicilie.[13] Vediamone un esempio tratto dalla descrizione Degli ortaggi e loro coltivazione presso la citta’ di Napoli del botanico Achille Bruni, originario di Barletta (Puglia), inserita in un volume degli Annali Civili del Regno delle Due Sicilie (1847):

«Diverse qualità di lattughe si coltivano nei nostri orti, e i coltivatori le riconoscono tutte sotto il nome di ’nsalata, distinguendole coi seguenti nomi:

lattuca ’ncappucciata.

lattuca romana.

lattuca bianculella.

lattuchella.

lattuca murtariella, bianca e nera.

lattuca pizzarossa, bianca e nera.

La lattuga ’ncappucciata è la più pregiata di tutte: le sue foglie sono crespe e leggermente dentellate a’ loro lembi, hanno un verde chiaro che tende al bianco, si dispongono a palla o a cappuccio che dir si voglia, e sono estremamente tenere, e molto ampie» (Bruni 1847, 160).

Con riferimento al Meridione, alla Campania e a Napoli, ecco che perfino l’analisi di questo tipo di testi può restituire, talvolta inaspettatamente, informazioni interessanti tanto su aspetti della tradizione culinaria regionale e locale, quanto più in generale su usi e costumi della società partenopea e regnicola dell’epoca.[14]

3 Un approfondimento su Vincenzo Corrado, cuoco e gastronomo galante

Nel solco del cambiamento dei codici alimentari che caratterizzò il Settecento, e poi a seguire l’Ottocento fino all’Artusi, figurano anche ricettari d’impronta municipale, come ben evidenziano fin dal titolo alcuni tra quelli già citati, quali Il Cuoco maceratese (1ª ed. 1779), il Nuovo cuoco milanese economico (1ª ed. 1829) o La Cuciniera genovese (1ª ed. 1863). Per Napoli spiccano senz’altro Il Cuoco galante (1ª ed. 1773) di Vincenzo Corrado (1736–1836) e la Cucina teorico-pratica (1ª ed. 1837) di Ippolito Cavalcanti (1787–1859), che fin dalla prima edizione reca in appendice una sezione interamente in napoletano, intitolata Cucina casarinola all’uso nuosto napolitano (ma Cucina casereccia in dialetto napoletano sul frontespizio in italiano).[15] In questo tipo di trattati il fondo lessicale (gastronomico) tradizionale, già diversificato su scala regionale, viene esposto alle novità e agli influssi provenienti dall’esterno, in nuovi peculiari equilibri fra tradizione e innovazione.[16]

Concentriamoci in particolare sul Corrado, che fu all’epoca un grande cuoco e gastronomo ma anche filosofo e letterato, nonché autore prolifico di varie opere dedicate alla gastronomia e non solo.[17] Originario di Oria, in Puglia, giunse a Napoli appena adolescente condotto come paggio da don Michele Imperiale, marchese di Oria e principe di Francavilla, suo futuro mecenate e benefattore e per questo in séguito dedicatario del Cuoco galante. Presso Palazzo Cellamare a Napoli, dove il principe era solito organizzare magnifici ed eleganti ricevimenti per ospiti e personalità d’alto rango, Corrado divenne capo dei «Servizi di Bocca», una sorta di sovrintendente alla cucina e alla tavola.[18]

Proprio col Cuoco galante, trattato organico di gastronomia che conobbe ben sette edizioni, Corrado seppe valorizzare per primo la cucina regionale italiana, introducendo peraltro sulle mense aristocratiche della capitale borbonica prodotti nuovi, locali o perfino esotici come il cacao e la cioccolata (cf. Campanile 2015). Ebbe la fortuna di imbandire le tavole tra le più raffinate, sontuose e «galanti» del Regno, servite all’epoca dai monsù (adattamento dal fr. monsieur), i cuochi francesi voluti dalla regina Maria Carolina per influenza di sua sorella Maria Antonietta di Francia (cf. Delli Quadri 2018, 104), plasmando così il suo gusto inizialmente sulla cucina francese, salvo poi riuscire a rielaborare quel modello, ripensandolo, arricchendolo e al contempo coniugandolo e assimilandolo alla tradizione culinaria italiana. Del resto nel Settecento, come noto, si assistette alla massiccia francesizzazione (il cosiddetto «infranciosamento») di abitudini e pratiche culinarie, una vera e propria rivoluzione nel gusto, nelle combinazioni e nei codici della tavola che dalla Francia si irradiò in tutta Europa. E anzi, proprio Napoli conoscerà tra il 1806 e il 1815 una breve ma incisiva parentesi francese che farà registrare alla «moda della cucina parigina [...] l’apice della sua fortuna» (Delli Quadri 2018, 114).[19]

Come è stato anticipato, il trattato viene antologizzato da Faccioli (1992, 733–750), ma nella 1ª ed. (Napoli, Stamperia Raimondiana, 1773), mentre qui è stata presa in esame, lo si è detto, la 6ª (Napoli, Saverio Giordano, 1820), l’ultima autorizzata dal Corrado, e per di più

«Migliorata, ed accresciuta di Notizie, di nuove vivande, secondo il pensare, e far moderno; ed anche del CiboPittagorico, e particolarmente delle Patate; e pur di un Vocabolario spiegando li termini della manovra. Tutto prodotto dallo stesso Autore» (cit. dal frontespizio).

Inoltre, anche alla luce di una nuova concezione della gastronomia e dell’arte della cucina maturata dall’autore, concezione maggiormente ispirata a ideali di semplicità e sobrietà, quest’ultimo Cuoco galante

«si configura quasi in maniera autonoma rispetto alle precedenti edizioni e appare il frutto di un lungo e articolato processo di maturazione e di adeguamento della scienza della cucina, esaminata nelle sue interconnessioni con la dietetica, l’igiene, i prodotti del Regno» (D’Astore 2002, 350).

Volendo ora fare qualche osservazione di carattere lessicale sull’opera, e in vista di uno spoglio sistematico e comparato, un punto di partenza sono due sondaggi effettuati da Bianchi (2008) e Serianni (2009). La prima rileva nel trattato ittionimi regionali e dialettali, quali capitone, cecinelli ‘bianchetti’, fragaglia ‘minutaglia di pesce’, luvaro, mazzacogne ‘varietà di crostacei’,[20]rigiola ‘muggine’, scorfano, spigola ‘branzino’ (cf. Bianchi 2008, 126), a cui possiamo accostare nomi di frutta e ortaggi come percoche ‘pesche’, portogallo ‘arancia’, pastinache ‘carote’, sellaro ‘sedano’, quest’ultimo proprio dei dialetti settentrionali ma come si vede presente anche in un autore meridionale qual è Corrado (qui cf. Serianni 2009, 115).[21] Il secondo si sofferma, tra le altre cose, sulla componente regionale della lingua, analizzando i «tradizionali punti deboli dei non toscani» (Serianni 2009, 108),[22] vale a dire i casi di ar atono (capparini, cassarola, si lavaranno, schiacciaranno, zenzaro, accanto però ad asciucherà, caverà, taglierà, zucchero etc.), di oscillazione tra scempie e doppie (adobbo, aromatizati, frigere etc.) – a dire il vero questi primi due tratti si ritrovano un po’ ovunque –, o tra affricata e sibilante in posizione postnasale (un senzo d’aglio, accanto a un senso d’aglio), tratto, questo, maggiormente concentrato nel Meridione; ancora, la mancanza di anafonesi nel frequente fonghi, oppure, rispetto alla sonorizzazione, un esempio di «regressione, o occasionale refuso» (Serianni 2009, 109), nel già visto asciucherà. Tutte queste forme sono effettivamente etichettabili come gastronimi, categoria che include non solo parole riferite a ingredienti, pietanze e ricette, ma anche nomi di unità di misura, utensili e oggetti di cucina, e ancora verbi indicanti operazioni e tipi di cottura.

In aggiunta, non andrà dimenticato il ben noto sintagma preposizionale alla + N (‘alla maniera di’, ‘a uso di’), in unione con un aggettivo o un sostantivo, in genere un etnico o un nome proprio.[23] Vediamone qualche esempio, citando di nuovo dalla 6ª ed. (1820) ed indicando soltanto il luogo della prima attestazione, seguito tra parentesi dal numero totale («t.») delle occorrenze all’interno del testo:

all’acetosa 51 (t. 16), all’Apiciana 48 (t. 7), all’Arlecchina 31 (t. 7), all’Inglese 126 (t. 5), all’Oritana 78 (t. 3), alla Bolognese 133 (t. 3), alla Corradina 14 (t. 59), alla Cuciniera 47 (t. 3), alla Danese 154 (t. 1), alla Firentina 81 (t. 5), alla Francese 124 (t. 3), alla Galante 153 (t. 1), alla glassa, e sapor di Targone 38 (t. 1), alla Lombarda 55 (t. 5), alla Maltese 137 (t. 1), alla Milanese 16 (t. 12), alla Napoletana 54 (t. 6), alla Pampadeur 166 (t. 1), alla Pitagorica 87 (t. 6), alla Portoghese 68 (t. 4), alla Purè per Entreès 53 (t. 1), alla Savojarda 143 (t. 2), alla Senese 136 (t. 2), alla Tedesca 44 (t. 12), alla Turca 134 (t. 3), alla Vincenzina 153 (t. 2) etc.

Come si vede, su tutti prevale il tipo alla Corradina, che insieme agli altri due all’Oritana (da Oria, luogo d’origine dell’autore) e alla Vincenzina rivela chiaramente la volontà, da parte del Corrado, di rivendicare il proprio personale contributo alla civiltà della tavola.

4 Conclusioni

Quanto abbiamo delineato ha avuto a che fare sostanzialmente con l’allestimento del data-base testuale, cosa che in effetti rappresenta solo un primo passo della ricerca, per quanto fondamentale: il successivo riguarderà lo studio lessicografico vero e proprio, che avrà il merito di consentire un’operazione di georeferenziazione del lessico gastronomico preunitario, anche attraverso la creazione di mappe dinamiche della stessa terminologia gastronomica. Parimenti, potranno scaturirne indagini trasversali e mirati approfondimenti su singoli autori, centri di produzione e tipologie testuali – per l’Unità di Napoli, la cosa potrà riguardare naturalmente l’intero bacino testuale a disposizione, cioè sia i testi propriamente «imprescindibili», sia tutti gli altri comunque individuati e catalogati, incluse le fonti collaterali come quelle giuridiche.

L’obiettivo finale resta però la realizzazione di un vocabolario della lingua del cibo dal Medioevo all’Unità, battezzato come Vocabolario Storico della Lingua Italiana della Gastronomia (VoSLIG), che auspicabilmente andrà a legarsi, costituendone l’ideale predecessore, a un’altra impresa lessicografica attualmente in corso di redazione, quella del Vocabolario Storico della Cucina Italiana Postunitaria (VoSCIP).[24]


Nota

Il contributo è parte di un lavoro investigativo più ampio, dedicato alle fonti del lessico gastronomico tra la fine del XVIII secolo e l’Unità d’Italia. Oltre a Giovanna Frosini e a Nicola De Blasi, ringrazio Francesco Montuori e Salvatore Iacolare dell’Unità di Napoli, insieme agli altri colleghi e amici delle Unità di Salerno, Cagliari e Siena Stranieri, per le proficue conversazioni e gli stimolanti confronti. Alcuni dei risultati presentati qui muovono da una ricerca precedente ma tematicamente connessa, eseguita grazie a una borsa di studio sul progetto finanziato dalla Regione Campania LITERACY-PAN-NA12 Parole e numeri per le competenze di lettura e matematica (responsabile scientifico: Nicola De Blasi; responsabile del progetto: Edoardo Massimilla), e che aveva per oggetto proprio l’identificazione delle fonti del lessico gastronomico stampate a Napoli tra la fine del XVIII sec. e l’Unità d’Italia, la creazione di un repertorio e l’acquisizione dei testi in formato digitale in vista di una lemmatizzazione con GATTO© 3.3 (Gestione degli Archivi Testuali del Tesoro delle Origini), software lessicografico per l’interrogazione di archivi testuali – il programma, scaricabile gratuitamente all’indirizzo di Rete <http://www.ovi.cnr.it/Il-Software.html> [ultimo accesso: 26.06.2022], è stato ideato e sviluppato da Domenico Iorio-Fili per conto dell’Istituto del CNR Opera del Vocabolario Italiano (OVI).


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Published Online: 2022-12-09
Published in Print: 2022-12-08

© 2022 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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  1. Frontmatter
  2. Frontmatter
  3. Thematischer Teil
  4. Prefazione
  5. Aspetti testuali e problemi linguistici (di datazione e localizzazione) dell’antica lingua del cibo
  6. I ricettari federiciani: appunti di lavoro
  7. Aggiornamenti sulla lingua dei Banchetti di Cristoforo Messi Sbugo
  8. Il ricettario della Santissima Annunziata di Firenze
  9. Il cuoco reale e cittadino (1724): un ricettario tradotto e integrato
  10. Ricettari regionali e lessico gastronomico napoletano d’età borbonica
  11. La cucina delle parole
  12. Aufsatz
  13. Zur Subversion des höfischen Liebesdiskurses: Christine de Pizans Cent Ballades d’amant et de dame (1409–1410) zwischen Erotik, Misogynie und marienhafter Selbstinszenierung
  14. Variantes d’éditeurs et évolution syntaxique au XVIe siècle
  15. De la V1 à la V2 de la Cité des dames de Christine de Pizan : étude de quelques révisions linguistiques
  16. The Latin adverb ĭnde and the syntactic functions of the pronoun en from Archaic Catalan to Modern Valencian: Grammaticalisation and linguistic change
  17. Miszellen
  18. Fr. pochard adj./s.m. ‘ivrogne’ : étymologie et histoire
  19. « Mon cors stracoruza » : une note lexicale franco-italienne
  20. It. mosciame ‘filetto di tonno essiccato e salatoʼ
  21. Besprechungen
  22. Eugenio Coseriu, Geschichte der romanischen Sprachwissenschaft, vol. 3: Das 17. und 18. Jahrhundert, Teil 1: Italien – Spanien – Portugal – Katalonien – Frankreich, bearbeitet und herausgegeben von Wolf Dietrich, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2021, 660 S.
  23. Sabine Lange-Mauriège, Die Pilgerfahrt des träumenden Mönchs. Entstehungsgeschichte und kulturhistorische Verortung der Kölner Übersetzung des «Pèlerinage de vie humaine», Köln, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibliothek mit Bibliothek St. Albertus Magnus, 2021, XIV + 421 p.
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  25. Thibaut Radomme, Le Privilège des Livres. Bilinguisme et concurrence culturelle dans le « Roman de Fauvel » remanié et dans les gloses au premier livre de l’« Ovide moralisé » (Publications Romanes et Françaises), Genève, Droz, 2021, 903 p.
  26. Vincent Balnat, L’appellativisation du prénom. Étude contrastive allemand-français, Tübingen, Narr/Francke/Attempto, 2018, XI + 286 p.
  27. Antje Lobin / Eva-Tabea Meinke (edd.), Handbuch Italienisch. Sprache – Literatur – Kultur. Für Studium und Praxis, Berlin, Erich Schmidt Verlag, 2021, XIV + 691 p.
  28. Nuove prospettive sul lombardo antico. Atti del convegno internazionale, Roma, 14–15 novembre 2019, a cura di Elisa De Roberto e Raymund Wilhelm. Con la collaborazione di Lisa Struckl, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 2022, 200 p.
  29. Kurzbesprechungen
  30. Eugenio Coseriu, Geschichte der romanischen Sprachwissenschaft, vol. 4: Das 17. und 18. Jahrhundert, Teil 2: «Provenzalisch» – Rumänisch – Rätoromanisch – England – Deutschland – historisch-vergleichende Romanistik – Raynouard – Schlegel, bearbeitet und herausgegeben von Wolf Dietrich, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2022, 310 S.
  31. Kurzbesprechungen
  32. Peter Haidu, The “Philomena” of Chrétien the Jew. The semiotics of evil, edited by Matilda Tomaryn Bruckner, Oxford, Legenda, 2020, 170 p.
  33. Francisco Pedro Pla Colomer / Santiago Vicente Llavata, La materia de Troya en la Edad Media hispánica. Historia textual y codificación fraseológica, Madrid/Frankfurt am Main, Iberoamericana-Vervuert, 2020, 278 p.
  34. L’«Inferno» di Claudio Sacchi, Firenze, Olschki, 2021, 87 p.
  35. «Nel lago del cor». Letture dantesche all’Università della Svizzera italiana (2012–2016), a cura di Stefano Prandi, Firenze, Olschki, 2021, 273 p.
  36. Karlheinz Stierle, Dante-Studien, Heidelberg, Winter, 2021, 295 p.
  37. Matteo Maria Boiardo, Asino d’oro (da Apuleio), a cura di Matteo Favaretto, Novara, Centro Studi Matteo Maria Boiardo-Interlinea, 2021
  38. Tiziana Plebani (ed.), Il testamento di Marco Polo. Il documento, la storia, il contesto, Milano, Edizioni Unicopli, 2019, 201 p.
  39. Nachruf
  40. Christian Schmitt (27. März 1944–4. September 2022)
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