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Capaneus philosophus? Una nota su Zenone, Filodemo, Stazio (e Lucrezio)

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Veröffentlicht/Copyright: 9. September 2024
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Abstract

This short article, which starts with a reconsideration of the philosophical characterization of Statius’ Capaneus, aims at investigating the reception of the mythical figure of Capaneus in Hellenistic philosophy. Both among the Stoics (Zeno and, maybe, Chrysippus, according to Diogenes Laertius and Athenaeus) and the Epicureans (Philodemus in P.Herc. 452 olim 463, fr. 13), Capaneus occurs in the philosophical discourse on the definition of the sage, albeit with different nuances and reference texts. Statius, Neapolitan poeta doctus with Stoic and Epicurean patroni, may have drawn insights from this intellectual environment to provide his Capaneus with philosophical overtones. In the last paragraph it is cautiously suggested, on the basis of P.Herc. 452 olim 463, fr. 13, that Lucretius’ Epicurus in the well-known prologue of the De rerum natura – a model for Statius’ Capaneus – may have been influenced by the Epicurean reception of Capaneus.

È ormai un dato acquisito dalla critica recente, specialmente dopo l’imponente trattazione da parte di Pramit Chaudhuri, che per il personaggio di Capaneo nella Tebaide Stazio abbia utilizzato spunti provenienti dalla filosofia epicurea e si sia posto in dialogo con il poema lucreziano: a seconda di come si interpretano tali riferimenti, che abbondano soprattutto nel libro III (scontro con l’indovino Anfiarao: vv. 598–677) e nel libro X (assalto al cielo e morte: vv. 827–939), Capaneo può assumere i tratti di un epicureo fasullo, il cui fallimento evidenzia il successo di Giove che agisce en travesti, come in una messa in scena lucreziana, oppure può assumere i tratti di un nuovo Epicuro, il quale con la sua sfida fa vedere la debolezza degli dei – e della poesia epico-eroica – tradizionali.[1] D’altra parte, non mancano elementi che, per paradosso, legano Capaneo allo stoicismo: dall’enfasi su gloria e virtus, pur egressa modum e intesa in senso esclusivamente marziale (cf. e. g. Stat. Theb. 10.834–835), al rifiuto dell’inerzia (cf. 3.607–608); dalla sopportazione del dolore (cf. 9.546–547) alla magnanimitas e ai memoranda facta, che suscitano persino l’ammirazione di Giove (cf. 11.1–11).[2]

Questa breve nota non si prefigge l’ambizioso scopo di fornire una nuova interpretazione del complesso e contraddittorio personaggio staziano (maior poscenda amentia!), bensì, assai più modestamente, intende evidenziare che il suo substrato filosofico, evidente in Stazio, può avere una radice antica. In età ellenistica, infatti, Capaneo entra nel discorso filosofico sia in ambito stoico sia in ambito epicureo, sebbene in termini non sempre a noi chiari a causa dell’esiguità e del cattivo stato delle testimonianze: Stazio può, pertanto, aver approfittato di questi spunti per dare una certa impronta filosofeggiante al proprio personaggio.

Secondo quanto riporta Diogene Laerzio, è proprio Zenone di Cizio, il capostipite dello stoicismo, ad additare Capaneo come modello per i giovani (Diog. Laert. 7.1.22–23 = SVF 1,58, fr. 245 = p. 488, 284–290 Dorandi):[3]

δεῖν τε ἔλεγε τοὺς νέους πάσῃ κοσμιότητι χρῆσθαι καὶ πορείᾳ καὶ σχήματι καὶ περιβολῇ. συνεχές τε προεφέρετο τοὺς ἐπὶ τοῦ Καπανέως Εὐριπίδου στίχους, ὅτι αὐτῷ

βίος μὲν ἦν <πολύς>,

ἥκιστα δ’ ὄλβῳ γαῦρος ἦν, φρόνημα δὲ

οὐ<δέν> τι μεῖζον εἶχεν ἢ πένης ἀνήρ.

Sosteneva che i giovani devono complessivamente mantenere un certo stile sia nel portamento, sia nell’aspetto e nel vestire. Non smetteva mai di citare i versi di Euripide su Capaneo: le sue ‘risorse erano molte, ma non andava minimamente superbo della ricchezza; neppure un sentimento nutriva che fosse più vanitoso di quello di un poveroʼ. (trad. R. Radice, con lievi modifiche)

I versi citati da Zenone, nella testimonianza di Diogene, provengono dalle Supplici euripidee (vv. 861–863) e, più in particolare, dall’elogio funebre di Adrasto nei confronti degli eroi morti a Tebe. Il ritratto di Capaneo che emerge dai vv. 861–871 della tragedia è piuttosto diverso da quello hybristico tradizionale[4] che compare nel celebre dialogo tra il messaggero ed Eteocle in Aesch. Sept. 422–451, in Eur. Phoen. 1172–1186 (versi su cui si tornerà infra) e, sempre nelle Supplici, nelle parole dell’araldo tebano (Eur. Suppl. 496–499); per questo motivo, ha destato nella critica notevoli perplessità, tanto che alcuni si sono spinti a considerare l’intero elogio di Adrasto una parodia. In realtà, non ci sono motivi cogenti per dare una lettura ironica del brano euripideo: al di là del principio per cui de mortuis nihil nisi bonum, Capaneo ha espiato le proprie colpe con la morte (vv. 528–530) ed è ora tempo di riconoscere il suo valore, il quale dal punto di vista narrativo permette di spiegare il suicidio della moglie Evadne; inoltre, quello di Adrasto è un discorso rivolto ai giovani – dentro e fuori la skene – (vv. 841–843) e si sottolineano, dunque, di ciascuno degli eroi le virtù civiche.[5] E ai giovani si rivolge anche Zenone, il quale di fatto conferma la valenza paideutica delle parole di Adrasto a proposito di Capaneo,[6] soffermandosi sulla sua mancanza di orgoglio e vanità in relazione alle ricchezze che possiede.

Va segnalato anche che i vv. 861–866 delle Supplici euripidee sono riportati, con qualche adattamento, da Ateneo (4.158f–159a) a proposito della metriotes e del disprezzo per le ricchezze: subito dopo, il passo su Capaneo è messo in rapporto a un brano tratto da Crisippo, in cui il filosofo polemizza proprio contro la brama di denaro di certe persone (οὐκ ἦν γὰρ τοιοῦτος ὁ Καπανεὺς οἷον ὁ καλὸς Χρύσιππος διαγράφει ἐν τῷ περὶ τῶν μὴ δι’ αὑτὰ αἱρετῶν λέγων ὧδε, κτλ.; cf. SVF 3,195, app. II, X, fr. 2) e non si può, pertanto, escludere che fosse sempre in ambito stoico, forse specificamente crisippeo, che la citazione euripidea trovasse impiego.[7] La fortuna in chiave morale del ritratto di Capaneo è testimoniata, sempre in età ellenistica, dal filosofo Telete (nell’ambito della cosiddetta e molto discussa diatriba cinico-stoica) e, dopo il I sec. d.C., da Plutarco e Clemente Alessandrino.[8] Insomma, lo hybristes ed empio Capaneo, l’avversario di Zeus per antonomasia, nella sua versione delle Supplici euripidee diviene paradossalmente modello morale per il saggio, e specialmente per il saggio stoico.

Sempre Euripide è alla base della ricezione di Capaneo in ambito epicureo. In questo caso, la nostra fonte principale è un frammento, assai lacunoso e difficilmente contestualizzabile, del De rhetorica di Filodemo di Gadara. Si riportano per il momento testo e traduzione (P.Herc. 452 olim 463, fr. 13, preservato solo tramite i disegni napoletani) secondo la ricostruzione che fino a qualche anno fa è stata quella canonica (Longo Auricchio 1982, con le lievi modifiche apportate in Longo Auricchio 2001):[9]

......]ε καὶ πρὸς τῆς | [αὐτῆς] ἐμπνευσθέντες | [ἀνα]φωνῆς, οἱ μὲν ὥσ|τε θαυμαστῶς προβῆ|5[ναι] τὴν Ἀπολλοφάνους | [ἐπὶ] τοῦ βήματος τύρ|[β]η̣ν ἐζήλωσαν, οἱ δὲ | καὶ καταπλεύσαντες | εἰς τὸν λιμένα καὶ παρα|10{φα}σχόντες ἐλπίδας ὡς | αὐτοὺς “οὐδ’ ἂν τὸ σεμν[ὸν] | πῦρ εἰργάθοι Διὸς τὸ | μὴ οὐ κατ’ ἄκρων περ|γάμων ἑ[λ]εῖν” τὸν εὐ|15δαίμονα βίον, εἶθ’ ὕστ[ε]|ρον ἀντ[εμπ]νευ‵σ′θέντες| [– – –

... e ispirati di fronte allo stesso forte grido, gli uni emularono lo sforzo di Apollofane sulla tribuna sì da progredire meravigliosamente, gli altri approdati al porto (della filosofia) e offerte speranze che ʽneppure la venerabile fiamma di Zeus potrebbe impedire loro di prendere dal punto più alto della roccaʼ la vita felice, successivamente, pur avendo venti contrari ... (trad. F. Longo Auricchio)

Questo frammento, fino a qualche anno fa comunemente attribuito al libro IV della Retorica di Filodemo,[10] è stato studiato da Longo Auricchio sia in relazione alla figura di Apollofane, il filosofo tradizionalmente identificato come stoico che qui appare sostenitore dell’impegno politico, sia per quanto riguarda l’immagine del porto della filosofia, la quale riaffiora in termini simili in Verg. catal. 5.[11]

Poca attenzione è stata data, invece, alla figura di Capaneo: questi, pur non nominato, affiora attraverso la citazione, con qualche minimo adattamento, di Eur. Phoen. 1175–1176 (cf. vv. 1172–1176: Καπανεὺς δὲ πῶς εἴποιμ’ ἂν ὡς ἐμαίνετο; / μακραύχενος γὰρ κλίμακος προσαμβάσεις / ἔχων ἐχώρει, καὶ τοσόνδ’ ἐκόμπασεν, / μηδ’ ἂν τὸ σεμνὸν πῦρ νιν εἰργαθεῖν Διὸς / τὸ μὴ οὐ κατ’ ἄκρων περγάμων ἑλεῖν πόλιν). L’eroe, rabbioso e furente, lanciando la propria sfida a Zeus, sta scalando le mura di Tebe, ma, quando è ormai sul punto di valicare i merli, è colpito dal fulmine e precipita (vv. 1177–1186). Laddove in ambito stoico è utilizzato il Capaneo ‘depurato’ delle Supplici, non si può certo affermare che il Capaneo delle Fenicie si presti a essere un modello per il saggio epicureo, nonostante la metafora, esplicitata da Filodemo, tra la rocca di Tebe e la vita felice: preda delle passioni e della hybris, Capaneo appare assai lontano dall’atarassia e dal distacco predicati da Epicuro e dai suoi seguaci e, per giunta, fallisce nel proprio intento.

Per questo motivo, si è pensato che, nell’associare gli epicurei all’empio e fallimentare Capaneo, Filodemo stia riportando solo la citazione di qualcun altro “nel corso di una diatriba sulla retorica”; si è ipotizzato che il riferimento a Capaneo sia scherzoso, né si può scartare l’idea che la citazione euripidea sia del tutto decontestualizzata, usata solo per conferire auctoritas.[12] Considerata la duttilità del personaggio di Capaneo e il suo (per certi versi paradossale) utilizzo in ambito stoico, non si può escludere a priori che esso sia stato mutuato dall’epicureismo: non la virtù civica e il disprezzo per le ricchezze, bensì la determinazione nel raggiungere il proprio scopo e la noncuranza per gli ostacoli frapposti da presunti interventi divini avrebbero potuto permettere ai filosofi epicurei di appropriarsi dell’immagine di Capaneo. Più probabilmente, però, il modello di Capaneo potrebbe funzionare per opposizione: gli epicurei, infatti, attraverso la filosofia raggiungono i propri obiettivi di felicità, a differenza dell’arrogante e furente eroe del mito;[13] ma nell’usare ex negativo questa audace immagine, Filodemo sembra implicare che gli epicurei stiano adottando, e contemporaneamente screditando, una figura mitica che i rivali stoici consideravano modello del saggio.[14]

In questa direzione, si può forse fare qualche passo avanti grazie alle nuove acquisizioni critiche relative al frammento: David Blank e Federica Nicolardi hanno, infatti, recentemente concluso che P.Herc. 452 olim 463 appartiene molto più probabilmente al I che al IV libro della Retorica di Filodemo. Dato il nuovo contesto, si è pensato che l’Apollofane nominato nel frammento non sia il filosofo stoico bensì un omonimo epicureo, impegnato politicamente a Pergamo. È, dunque, possibile che nel fr. 13 Filodemo non stia criticando gli stoici ed esaltando gli epicurei, bensì attaccando due categorie di epicurei: coloro che si gettano nell’agone politico e coloro che, tenendosene superbamente alla larga, si vantano di aver raggiunto il porto della filosofia e la felicità, ma non rimangono saldi al soffiare di venti contrari.[15] È opportuno, a questo punto, citare il frammento nell’edizione di Nicolardi (2018) 207–208:

±5].ε καὶ πρὸς τῆς | [±4] ἐμπνευσθέντες | [±3]φωνης, οἱ μὲν ὥσ|τε θαυμαστῶς προβῆ|5[ναι] τὴν Ἀπολλοφάνους | [ἐπὶ] τοῦ βήματος τύρ|[β]η̣ν ἐζήλωσαν, οἱ δὲ | καὶ καταπλεύσαντες | εἰς τὸν λιμένα καὶ παρα|10φάσκ͙οντες ἐλπίδας ὡς | αὐτοὺς οὐδ’ «ἂν τὸ σεμν⸤ὸν⸥ | πῦρ ⟦ν̣ι̣ν̣⟧ εἰργάθοι Διὸς τὸ | μὴ οὐ κατ’ ἄκρων περ|⸤γ⸥άμων ἑ⸤λ⸥εῖν» τὸν εὐ|15[δ]αίμονα β͙ίον, εἶθ’ ὕστ[ε|ρον] ἀντ[ιπ]νευ‵σ′θέντες | [±7]τ̣ο τῆς α⟦πο⟧–

Al di là della meritoria riconsiderazione globale del frammento e soprattutto delle sue parti iniziali e finali, l’innovazione testuale più significativa è il participio παραφάσκοντες ai rr. 10–11: mentre Longo Auricchio, sulla scorta di Usener (1887) 401, emenda la lezione παραφασχόντες del disegno ercolanese espungendo φα e ottenendo così una forma del participio aoristo del verbo παρέχω (“offrire”), Nicolardi mantiene φα e, correggendo χ con κ, introduce un hapax (il verbo παραφάσκω), con il significato di “dire falsamente” e, dunque, con il complemento oggetto ἐλπίδας, “dare false speranze”.[16] Per quanto riguarda Capaneo, nella nuova ipotesi che Filodemo stia criticando anche coloro che avrebbero raggiunto il porto della filosofia, è evidente che la citazione euripidea abbia una forte carica polemica: Capaneo sarebbe prototipo dell’eroe superbo e arrogante che dice di aver ottenuto un risultato prima di raggiungerlo. D’altra parte, non possiamo neanche escludere che siano stati gli stessi epicurei avversari di Filodemo a essersi appropriati dell’immagine mitica (in senso positivo), la quale verrebbe provocatoriamente impiegata da Filodemo a loro biasimo.

Nella coscienza che, com’è ovvio, nessuna ipotesi può essere considerata certamente corretta o certamente impossibile dal momento che il frammento è mutilo e privo di contesto, mi sembra plausibile che siamo qui di fronte a un gioco, insieme, di appropriazione e screditamento della figura di Capaneo nel discorso filosofico epicureo: questo vale sia qualora gli strali di Filodemo siano rivolti agli stoici – e, quindi, gli epicurei assimilati a Capaneo rappresentino il polo positivo della sua argomentazione – sia qualora, come sembra a partire dagli studi più recenti, Filodemo stia polemizzando contro ‘epicurei dissidenti’.

La complessa discussione intorno a questo frammento filodemeo non impedisce che in altri contesti, in maniera meno problematica, Capaneo per gli epicurei sia immagine di hybris punita: si consideri P.Herc. 1609, col. I, contenente il De pietate di Filodemo, in cui proprio Eur. Phoen. 1175 è citato come esempio di ὑπερβολή castigata da Zeus.[17] Va sottolineato, tuttavia, che in questa sezione del De pietate, purtroppo frammentaria e dubbia, l’argomento sembra essere il comportamento colmo d’ira e odio degli dei per gli uomini:[18] ciò porta a una critica alla concezione tradizionale degli dei e, pertanto, Capaneo potrebbe non apparire tanto empio quanto è nella vulgata mitico-letteraria da Eschilo in poi.

Dunque, laddove per l’utilizzo del modello di Capaneo in ambito stoico disponiamo di fonti che, pur non numerose, sono piuttosto coerenti, il terreno è assai più malfermo quando si considerano le testimonianze epicuree: il primo frammento di Filodemo, infatti, assimila metaforicamente la scalata delle mura tebane al raggiungimento della felicità, ma non chiarisce il tono del suo discorso e omette nome e destino finale di Capaneo, non permettendo ai critici di stabilire a che livello funzioni l’associazione tra l’eroe e gli epicurei; il secondo, inseribile in un contesto leggermente più definito ma testualmente tormentato, più convenzionalmente lega Capaneo alla tracotanza, ma enfatizzando il tema della vendetta divina nei confronti degli uomini.[19] I due frammenti, insomma, dimostrano che effettivamente tra la figura di Capaneo e certe idee dell’epicureismo vi sono punti di contatto, verosimilmente in senso polemico, ma il quadro complessivo rimane assai sfocato.

Dove porta questa breve disamina? Di certo, sarebbe arduo e, in fin dei conti, infruttuoso cercare nel Capaneo della Tebaide elementi che lo connettano in modo stringente al Capaneo stoicheggiante derivante dal ritratto delle Supplici o all’interpretazione metaforica che (forse) si legge in Filodemo: Stazio non si focalizza affatto sulla moderazione nelle ricchezze o nella gola del proprio Capaneo,[20] né tanto meno la scalata alle mura di Tebe può essere vista come un’allegoria di sapore epicureo per la ricerca della felicità;[21] al massimo, a livello generale, si può affermare che, come nelle Supplici euripidee, in Stazio si assiste a una sorta di redenzione del titanico contemptor divum, esempio sommo dell’ipertrofia della virtus, ed Evadne gioca un ruolo fondamentale in tale ridefinizione eroica del personaggio.[22] Va però evidenziato che, come mostra la critica, sono presenti tratti sia stoici sia epicurei nell’eroe, che di per sé assai poco si presterebbe alla problematizzazione in senso filosofico: si può forse spiegare la loro presenza alla luce di un contesto sviluppatosi a partire dall’età ellenistica in cui la figura di Capaneo, pur declinata in modo diverso, è utilizzata da stoici ed epicurei nel loro discorso filosofico.[23] E con tale contesto, che si è cercato di delineare in questo contributo, Stazio, poeta doctus per eccellenza, vissuto tra Napoli e Roma e in contatto sia con influenti patroni epicurei sia con circoli legati alla famiglia stoica degli Annaei, può ben aver avuto familiarità.[24]

Concludo con una provocazione. È noto che fin dalle prime battute del De rerum natura Lucrezio rappresenta Epicuro, in lotta contro la religio (Lucr. 1.62–71),[25] come un eroe della tradizione epica[26] e quasi come un Gigante all’assalto del cielo (cf. 5.117–119);[27] inoltre, come già ripetutamente constatato dai critici (cf. supra, n. 1), l’Epicuro lucreziano influenza il Capaneo staziano, specialmente in Stat. Theb. 10.837–847. E se, alla luce di P.Herc. 452 olim 463, fr. 13, fosse lo stesso Epicuro lucreziano, a sua volta, a serbare traccia del Capaneo delle Fenicie riletto in chiave epicurea?[28] Quell’Epicuro, cioè, che, come il Capaneo cui allude Filodemo, non si fa spaventare dai fulmini di Zeus/Giove (Lucr. 1.68–69: quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti / murmure compressit caelum), supera le mura fiammeggianti, non di Tebe bensì del mondo intero (1.72–73: la sua forza d’animo extra / processit longe flammantia moenia mundi), ed è determinato a raggiungere il proprio scopo, ossia, nel caso dell’eroe del poema lucreziano (1.70–71), effringere ... arta / naturae primus portarum claustra e, dunque, con la sua filosofia permettere agli uomini di vivere una vita serena e felice (cf. 5.10–11: quique per artem / fluctibus e tantis vitam tantisque tenebris / in tam tranquillo et tam clara luce locavit)?

Ringraziamenti

Questo articolo ha una duplice origine. Da un lato, si inserisce nell’ambito dei miei studi sulle biblioteche e sui fondi librari antichi condotti nell’ambito del progetto DaLiB (“Dal Libro alla Biblioteca. Produzione, fruizione e circolazione libraria nel Mediterraneo antico: Grecia, Egitto, Roma”; CUP: B55F21007580003), sotto la guida della prof. Valeria Piano e della prof. Barbara Del Giovane, che ringrazio. Dall’altro, ho avuto tempo, agio e disponibilità libraria indispensabili per la scrittura grazie a un mio soggiorno di ricerca presso la Fondation Hardt nel settembre del 2023; a tutto il personale e a tutti coloro con cui ho piacevolmente condiviso le due settimane presso la Fondazione rivolgo un sentito ringraziamento. Preziose sono state altresì le indicazioni del referee, grazie alle quali questo contributo è sensibilmente migliorato; di eventuali sviste e imprecisioni rimango l’unico responsabile.

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Published Online: 2024-09-09
Published in Print: 2024-11-06

© 2024 the author(s), published by Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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