(571.18–21 H.)[1]Sed quoniam nobis, omisso illo rigore philosophiae, in consiliis dandis civiliter disputandum est, proposita deliberatione, quid potissimum in ea tractandum sit, incipere definire (P : inspicere ac definireB) debemus.
Dopo aver trattato e liquidato piuttosto sbrigativamente il problema del numero e della classificazione degli argomenti (loci / στοιχεῖα) deliberativi, che per sua natura appartiene al campo della filosofia,[2] Emporio si sofferma a spiegare in che modo tali argomenti debbano essere utilizzati retoricamente, all’interno dei dibattiti di tipo politico (civiliter). A tale scopo, egli introduce una teorizzazione fondata su cinque ‘metodi’ di deliberazione, definiti rationes deliberandi, che richiede di combinare in vario modo i due loci più importanti (utile e honestum) e che verrà illustrata subito dopo a partire dagli insegnamenti di Cicerone (off. 1.9–10).[3]
La tradizione manoscritta ci offre qui due varianti che, dal punto di vista grammaticale e del senso complessivo, risultano parimenti accettabili e almeno apparentemente equivalenti (incipere definireP : inspicere ac definireB). Seguendo una prassi costante nel corso dell’edizione, Halm ha stampato il testo di P, che egli riteneva il testimone più affidabile.[4] Pur essendo entrambe sensate, le due possibilità comportano tuttavia un cambiamento di prospettiva importante: mentre incipere definire implica che Emporio si esprima qui nella sua qualità di autore, per segnalare l’inizio di una nuova sezione (dopo aver parlato dei loci della deliberazione, occorre ora iniziare a trattare la deliberazione politica), inspicere ac definire presuppone invece che il retore, assumendo il punto di vista di colui che è chiamato a svolgere l’esercizio, spieghi come si deve applicare la teorizzazione appena descritta allo svolgimento di un caso concreto (una volta proposto un tema di deliberazione, dobbiamo considerare con attenzione quale sia il punto nodale attorno al quale si articola il dibattito).
Questa seconda possibilità mi sembra restituire un significato più adatto al contesto generale. In effetti, (a) la trattazione delle rationes deliberandi è affrontata costantemente da Emporio dalla prospettiva di colui che è chiamato a persuadere o dissuadere[5] e (b) si conclude con un’affermazione che riprende quasi alla lettera il testo di B (prospicere ac definire debemus).[6] Tutta la sezione risulta così incorniciata attraverso la ripetizione del medesimo motivo: un’attenta analisi (inspicere;[7]prospicere) del caso specifico, che rappresenta la premessa necessaria per la sua definizione (ac definire) e forma quasi un tutt’uno con essa, costituisce il primo ed essenziale passaggio di ogni deliberazione, su cui occorre soffermarsi prima ancora di iniziare l’esercizio.[8]
***
(572.26–573.12) Sed ut proposito deliberationis exemplo magis eluceat, quemadmodum generalis quaestio deprehendatur, posita sit deliberatio Lucretiae, an propter inlatum sibi stuprum semet occidat. Sepone (P : seponoB) quod est in causa proprium, id est factum, vim scilicet inlatam pudicitiae; item segrega (Halm : segregatamP : segregoB) personam, hoc est Lucretiam et regis filium, sepone (PB : seponoAsc.) causam, id est ipsam rem, quam deliberet adgredi, id est voluntariam mortem, et ex his singulis decerpe (PB : decerpoAsc.) generalem. Est autem generale stupri, contumelia et iniuria; multae sunt enim species infamiae et iniuriae subiacentes, ut inlata manus, abrepti liberi, inrogata debilitas atque his similia. Lucretiae autem et Sexti Tarquini generale est, femina nobilis et adulescens potens: quippe multae nobiles sunt, multi potentes. Sed et mortis voluntariae generale est atrox et difficile consilium et sine ulla exceptione praeceps impetus indignationis; sub hoc enim animi motu et Medea de parricidio cogitat et Aiax de caede Agamemnonis atque Ulixis et porro multi accepta ignominia diversa ineunt, sed generaliter tamen extrema consilia. Haec igitur ex facto et persona delibata (P : deliberataB) generalia coniunge in unam sententiam quaestionis, et fiet huiusmodi generalis quaestio: ‘An ob inlatam sibi contumeliam atque iniuriam femina nobilis et pudica, cum se in auctorem doloris sui ob ipsius potentiam aliter non possit ulcisci, nihil non debeat pro satisfactione sui doloris audere’; vel e diverso: ‘An ulla tanta sit iniuria vel contumelia, ut sapienti feminae sine respectu sui deliberandum sit’. Observare sane in generali quaestione debebimus ut eam quam brevissime comprehendamus, quoniam ista communia, quae in multas deliberationes cadunt, minus valida sunt quam propria causarum, in quibus multo magis nos conveniet immorari; ad quae descendere post generalem gradum hoc modo oportebit, ut reddamus proprium quod seposueramus, id est, ut fiat huiusmodi quaestio: etc.
Emporio spiega qui che la ‘divisione’ (ratio dividendi) dei discorsi deliberativi si articola sulla base di cinque ‘passaggi’ (gradus) logici (chiamati rispettivamente generalis, proprius, personalis, causalis, coniecturalis), che permettono di individuare la questione generale che sta alla base di ogni caso particolare.[9] Si tratta di un procedimento logico che comprende due fasi distinte e concettualmente opposte: (a) in un primo momento, l’oratore deve passare dal particolare (ὑπόθεσις) al generale (quaestio generalis / θέσις), eliminando gradualmente tutti i dettagli attraverso i cinque gradus; (b) in seguito, dopo essersi soffermato brevemente sulla quaestio generalis (θέσις), l’oratore deve aggiungere gradualmente – passando di nuovo attraverso i cinque gradus – tutti i dettagli che erano stati precedentemente accantonati, in modo da fornire una discussione completa del caso in questione (ὑπόθεσις). La prima fase, implicita e induttiva, costituisce la preparazione teorica della deliberazione e rimane di fatto confinata nella mente dell’oratore, mentre la seconda, esplicita e deduttiva, corrisponde all’elaborazione vera e propria della deliberazione.
La modalità di impiego di questi cinque gradus viene illustrata da Emporio attraverso un lungo esempio, analizzato e discusso in utramque partem: si tratta della celebre vicenda di Lucrezia, che è chiamata a decidere come comportarsi dopo aver subito violenza da parte di Sesto Tarquinio (deliberatio Lucretiae, an propter inlatum sibi stuprum semet occidat). In modo progressivo, il retore elimina i dettagli particolari che si riferiscono al fatto, alla persona e alla situazione, fino ad individuare la questione generale, si potrebbe dire il caso astratto, che si cela dietro l’episodio concreto.
(a) Il passaggio et ex his singulis decerpe generalem, tràdito unanimemente da PB e fin qui recepito senza riserve da tutti gli editori,[10] mi sembra problematico. In effetti il testo della paradosi, per avere senso, richiede di concordare generalem con un sottinteso quaestionem (che, forse in modo non del tutto immediato, può essere ricavato da quanto precede: quemadmodum generalis quaestio deprehendatur): tale senso, tuttavia, mi sembra contrastare con il contesto entro il quale il nostro passo risulta inserito e con il ragionamento complessivo di Emporio. Il retore sta in effetti spiegando che, per ricavare la questione generale (quaestio generalis) che si trova dietro la deliberatio di Lucrezia, è necessario procedere attraverso tre passaggi: innanzitutto, occorre individuare i dettagli specifici che si riferiscono alla vicenda, vale a dire il fatto (la violenza sessuale), la persona (Lucrezia e Sesto Tarquinio) e l’oggetto della decisione (il suicidio); il passaggio successivo consiste quindi nel ricavare (decerpe), per ognuno di questi tre elementi, gli aspetti generali; tali aspetti dovranno essere infine uniti in un’unica formulazione (coniunge in unam sententiam quaestionis), che rappresenta per l’appunto la questione generale (generalis quaestio).
Sulla base di questa ricostruzione, credo che in luogo del tràdito generalem si debba leggere generale.[11] Attraverso il processo induttivo che precede la realizzazione di una deliberazione, l’oratore deve sforzarsi di estrarre gli elementi ‘generali’ (est autem generale stupri; Lucretiae autem et Sexti Tarquini generale est; sed et mortis voluntariae generale est) che, una volta uniti (haec ... delibata generalia coniunge), andranno a formare la generalis quaestio che si cela dietro il caso concreto.
(b) Come si è visto, la transizione dalla quaestio particularis alla quaestio generalis richiede tre ‘passaggi’ (gradus) progressivi: prima si toglie il ‘fatto’ (gradus proprius), poi si elimina la ‘persona’ (gradus personalis), ed infine si rimuove la causa, vale a dire l’oggetto della deliberazione (gradus causalis): Sepone quod est in causa proprium, id est factum ... ; item segrega personam, ... sepone causam ... et ex his singulis decerpe generale[m]. In modo contrario e speculare, il passaggio dalla quaestio generalis alla quaestio particularis dovrà seguire a ritroso le stesse tre fasi (a cui si aggiunge poi anche il gradus coniecturalis): ut reddamus proprium quod seposueramus; ... deinde similiter redde personam; ... post quae redde causam.
Nel caso di Lucrezia, come detto, il factum è costituito dalla violenza sessuale, riconducibile ai concetti generali di contumelia e iniuria (572.32–34); le personae sono Lucrezia e Tarquinio, cioè una donna nobile e un giovane potente (572.34–573.2); la causa infine è il suicidio, una decisione estrema e difficile (atrox et difficile consilium) che è di norma dettata dallo sdegno e dal disonore (573.2–6). A fronte di questa spiegazione, stupisce che la frase conclusiva, attraverso cui Emporio – riassumendo il ragionamento complessivo – introduce la quaestio generalis, risulti mancante dell’ultimo passaggio (haec igitur ex facto et persona delibata generalia). La presenza del terzo gradus sembra in effetti indispensabile, tanto più che le due formulazioni alternative proposte per la quaestio stessa, sottolineando il carattere estremo della decisione di Lucrezia (573.10–11: nihil non debeat ... audere; 12: sine respectu sui), contengono un riferimento esplicito anche alla causa. Il testo dovrà dunque essere integrato: haec igitur ex facto et persona <et causa> delibata generalia coniunge in unam sententiam quaestionis.
(c) Come si è detto, la transizione a ritroso dalla quaestio generalis (θέσις) alla quaestio particularis (ὑπόθεσις) deve essere compiuta attraverso i medesimi gradus utilizzati in precedenza, aggiungendo uno dopo l’altro tutti i dettagli che erano stati provvisoriamente accantonati. Il primo passaggio consiste nel reintegrare ciò che è ‘proprio’ (ut reddamus proprium quod seposueramus, id est, ut fiat huiusmodi quaestio). Id est non offre qui un senso soddisfacente: come mostra il confronto con quanto precede (572.28–29: sepone quod est in causa proprium, id est factum, vim scilicet inlatam pudicitiae), è necessario anche in questo caso integrare il testo tràdito e leggere id est <factum>. Questa proposta di correzione trova peraltro conferma anche nel prosieguo, dove vengono esplicitamente citati i due gradus successivi (deinde similiter redde personam; post quae redde causam).
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