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Un delicato equilibrio fra pianificazione e crisi. Riflessioni sul nesso fra partecipazione privata all’economia pubblica e gerarchizzazione nelle città greche ellenistiche

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Published/Copyright: November 11, 2025

Riassunto

Attraverso alcuni casi di studio (Xanthos, Samo, Mylasa) concernenti la politica economica delle città ellenistiche, il presente contributo propone alcune riflessioni sulle strategie e i meccanismi amministrativi e giuridici attraverso i quali il demos, in quanto espressione istituzionale della collettività civica, regolava la collaborazione economica fra istituzioni e capitali privati. Νel corso dell’età ellenistica, tali meccanismi furono sottoposti a crisi e a ripetute fasi di logoramento. Favorendo l’ascesa di gruppi sempre più ristretti di cittadini/benefattori, tali momenti di ‘shock’, determinati da cause antropiche o naturali, finirono per favorire l’affermazione di sistemi caratterizzati da una crescente gerarchizzazione ed elitizzazione dell’accesso al potere politico-economico.

Summary

Combining case studies from Xanthos, Samos, and Mylasa concerning the economic policies of Hellenistic cities, this paper offers some reflections on the strategies, administrative and legal mechanisms through which the demos, as the institutional expression of a community, regulated economic collaboration between institutions and private capital. Throughout the Hellenistic period, these mechanisms were subjected to repeated phases of crisis and erosion. By encouraging the rise of increasingly smaller groups of citizens/benefactors, these moments of ‘shock’, determined by human or natural causes, ultimately favoured the affirmation of systems based on a hierarchical and elitist access to political and economic power.

1. Introduzione

L’affermazione di una classe dirigente di ricche famiglie dominanti la scena politica a livello sia interno sia internazionale è una delle tendenze più note e studiate nella storia delle poleis ellenistiche.[1] Sebbene questo tema sia stato affrontato da molteplici prospettive – istituzionale, sociale, politica, culturale e anche religiosa (a proposito della concessione di onori cultuali anche a benefattori non regali) – non si può fare a meno di notare che nel panorama degli studi sulle ‘élites’ civiche ellenistiche sussiste una certa separazione, o per lo meno una frequentazione non sistematica, rispetto alle fonti di natura prettamente economica (e alle loro implicazioni giuridiche), e questo malgrado gli eccellenti risultati degli studi dedicati a tale ricca e variegata documentazione.[2] Privilegiando appunto questo punto di vista, il presente contributo intende condividere alcune riflessioni sulle strategie e i meccanismi amministrativi che permisero al demos, in quanto espressione istituzionale della collettività civica, di praticare forme efficaci di collaborazione economica con i capitali privati e gli interessi a questi collegati; ma anche sulle dinamiche che, nel corso dell’età ellenistica, esposero tali meccanismi a crisi e ripetute fasi di logoramento. Favorendo l’ascesa di gruppi sempre più ristretti di “super-cittadini/benefattori”, nella bassa età ellenistica chiamati in soccorso della polis ormai orfana dell’evergetismo regale,[3] tali dinamiche finirono per determinare l’affermazione di sistemi caratterizzati da una crescente gerarchizzazione ed elitizzazione, certo apprezzata e promossa a loro volta dai nuovi dominatori romani.

Malgrado la loro evidenza nelle fonti, tali processi sono stati e sono oggetto di discussione nella storiografia sulla polis ellenistica dal momento che il loro sviluppo non implicò in generale una effettiva rimozione del vocabolario e degli apparati istituzionali democratici. Ci troviamo in effetti di fronte a una convivenza complessa, e certo non inattuale per i tempi in cui viviamo, fra un generale apprezzamento della democrazia come forma di governo basata sull’istituzionalizzazione della partecipazione e una pratica del potere fondata sempre più sulla ‘routinizzazione’ della crisi e del bisogno di guide eccezionali che essa impone.[4] Nel tentativo di definire una pista di ricerca che possa contribuire a questo dibattito, partirò da due premesse di fondo. In primo luogo, nelle città greche, al contributo economico richiesto ai cittadini benestanti (o da loro volontariamente offerto) in occasioni straordinarie corrispondono necessariamente un riconoscimento di gratitudine (possibilmente concretizzato nella concessione di onori e privilegi) e una accresciuta condizione di visibilità e prestigio.[5] In secondo luogo, i membri delle famiglie prominenti si distinguono allo stesso tempo per il loro peso economico e per il protagonismo nella vita decisionale e amministrativa della polis. Adattando al nostro contesto una efficace formula coniata da Carmine Ampolo,[6] questi personaggi si presentano come i principali “azionisti della polis” perché la loro distinzione all’interno della città è di natura insieme economica e politica.

Poste queste premesse, possiamo formulare alcune domande che guideranno la nostra discussione dei casi di studio. In che modo gli interessi privati dei principali esponenti dell’‘élite’ economica della città interagiscono con i piani di gestione che il demos sviluppa per l’economia pubblica, dal momento che le decisioni soggiacenti a questi ultimi sono prese da una classe dirigente che vede gli stessi cittadini benestanti fra le sue figure di spicco? Tale convergenza fra interessi pubblici e privati, che ai nostri occhi si presenta come portatrice di pesanti conflitti di interesse, poteva anche risultare utile alla comunità nel suo insieme, al fine di soddisfare le esigenze e gli obiettivi dell’amministrazione economica civica? E se sì, a quali condizioni? Infine, quali cambiamenti dobbiamo immaginare tra momenti in cui le istituzioni pianificano l’amministrazione economica della città in tempo di pace e benessere e quelli in cui fattori umani o ambientali potevano porre la polis in difficoltà, o addirittura metterne a repentaglio la sopravvivenza?

Alla ricerca delle interazioni economiche fra istituzioni e dynatotatoi

Nel 206/5 a.C., gli Etoli inviarono a Xanthos un decreto della Lega accompagnato da una lettera della piccola città di Kytenion, nella regione della Doride in Grecia centrale. Gli ambasciatori, tre cittadini di Kytenion, si erano imbarcati in questo lungo viaggio per richiedere aiuti economici per la propria madrepatria, la cui cinta muraria era danneggiata e inservibile, perché i fondi civici non permettevano di ricostruire le mura. Gli inviati kytenii, e la Lega Etolica con loro, speravano di trovare supporto da quelli che la lettera si premurava di rappresentare come gli abitanti di una città parente, legata da vicende comuni che risalivano fino ai tempi degli dèi. John Ma ha ampiamente discusso le argomentazioni apportate dagli abitanti di Kytenion, costruendo su questo documento la prima tappa della sua riflessione sulla possibilità di applicare al mondo delle relazioni interazionali fra poleis ellenistiche la categoria di ‘peer polity interaction’. Tale espressione definisce un sistema di mutuo riconoscimento e di reciproca influenza attraverso il quale le città dell’epoca costruivano una fruttuosa rete collaborativa, di portata sia politica sia economica, capace di compensare, e in parte di influenzare, la superiore potenza dei regni.[7]

Al centro del presente contributo non è il fatto che gli Xanthii abbiano recepito positivamente le argomentazioni dei loro “parenti” d’oltremare, riconoscendo quindi il legame di reciprocità che vige fra poleis che si considerano attori equipollenti in un comune scenario internazionale, ma il dettaglio non secondario che a tale accettazione del messaggio non seguì una congruente iniziativa degli Xanthii sul piano economico. Nel decreto di risposta, tuttavia, i “parenti” delusi non sono congedati in poche parole, ma con una dettagliata (e forse pateticamente esagerata)[8] esposizione delle ragioni che mettono le istituzioni di Xanthos nell’impossibilità di reperire fondi adeguati allo sforzo richiesto dai Kytenii:

“Se non fosse che le finanze pubbliche della città sono in uno stato di difficoltà, (i cittadini di Xanthos) avrebbero reso evidente la propria buona disposizione, superando tutti in generosità. Ma poiché non solo i fondi pubblici sono stati spesi, ma si sono anche accumulati abbondanti debiti, né è possibile imporre ai cittadini una tassa aggiuntiva in considerazione del decreto approvato sull’amministrazione economica per un periodo di nove anni, e per giunta i più facoltosi fra i cittadini hanno recentemente versato numerosi contributi eccezionali a causa della situazione presente, per ragioni di cui abbiamo parlato anche agli ambasciatori (dei Kytenii); poiché, per questi motivi, la città non ha risorse, ma ritiene terribile permettere che un popolo apparentato versi in tali strettezze, sia approvato che i magistrati prendano in prestito denaro e diano agli ambasciatori 500 dracme per le mura della loro città, e mandino loro un dono di ospitalità come previsto dalla legge.”[9]

Attraverso un prestito limitato,[10] la città di Xanthos raccoglie una cifra simbolica con la quale contribuire al risollevamento di una città apparentata. Le istituzioni hanno le mani legate, e ci tengono a sottolineare che l’esigua consistenza dell’aiuto è giustificata dal fatto che anche l’economia di Xanthos non se la passa bene, e tutte le altre vie percorribili sono già state battute. Pur in negativo, questo passo rivela l’alto livello di consapevolezza di una città ellenistica in relazione alla varietà di risorse di cui disponeva nel tentativo, non sempre facile, di fare quadrare i conti e di assicurarsi una decorosa sopravvivenza in un mondo pieno di imprevisti e incertezze internazionali. Le parole degli Xanthii mostrano inoltre come la gestione dell’economia civica passi attraverso una osmosi continua tra fondi pubblici e privati.[11] Dove non arriva il budget regolare della città, occorre fare appello non solo a tasse aggiuntive,[12] ma anche al patrimonio dei cittadini più facoltosi, sia tramite la costruzione di debito pubblico verso prestatori privati,[13] sia attraverso l’imposizione di contributi eccezionali ai cittadini più ricchi.[14] Entrambe le vie di accesso al capitale privato non sono tuttavia senza limiti. I rischi di indebitare la città sono evidenti, motivo per cui le fonti antiche rivelano una gestione attenta di questa risorsa, che prevede l’estinzione rapida di prestiti interni al fine di non intaccare le riserve della polis.[15] Quanto ai contributi imposti ai cittadini ricchi, dobbiamo intendere che i limiti siano di natura negoziale: come le istituzioni di Xanthos hanno approvato una legge di bilancio che impedisce di introdurre nuove tasse per un periodo di nove anni, così le iniziative a carico dei dynatotatoi hanno raggiunto il loro limite naturale, ovvero la disponibilità dei cittadini facoltosi a contribuire di tasca propria, e per imposizione, alle necessità eccezionali del bilancio civico.

Un dettaglio implicito, ma fin troppo evidente, è che i dynatotatoi non sono solo tali sul piano economico, ma anche politico: la crescente convergenza, nelle città ellenistiche, fra ‘élite’ economica e classe politica fa sì che le imposizioni di contributi eccezionali siano mal viste, mentre i principali “azionisti della polis” vedono più positivamente la possibilità di accrescere il proprio capitale sociale attraverso l’assolvimento di prestigiose liturgie o tramite l’intervento evergetico garantito, in momenti di necessità, nei confronti della città bisognosa.[16] In altre parole, il limite che la classe politica impone ai contributi forzati a singoli cittadini benestanti non è solo una garanzia per questa classe agiata, ma è anche una premessa necessaria per aprire le porte a un altro tipo di impegno economico, prevedibile (liturgie) e volontario (evergetismo) e di alto valore sul piano dell’acquisizione di visibilità sociale e potenza politica.[17] Una pur cursoria analisi del caso della situazione a Samo nei decenni centrali del III sec. a.C. risulterà utile per comprendere le dinamiche ora evocate.

In un famoso decreto onorario per il benemerito cittadino Bulagora, la città di Samo celebra un benefattore il cui profilo comprende tutti gli aspetti di un politico di spicco del suo tempo[18]. Bulagora è una figura con una solida formazione oratoria e giuridica, che gli permette non solo di negoziare direttamente con Antioco II e i suoi philoi la restituzione delle terre di Anaia (la peraia di Samo) confiscate dal sovrano nemico a cittadini samii (linee 5–20),[19] ma anche di operare nella madrepatria come avvocato della città nei processi pubblici (linee 20–23) e come arbitro nelle contese private (linee 50–51). Il suo prestigio pubblico e l’affidabilità riconosciuta dai cittadini emergono, sul piano interno, dalla sua elezione a epistates del ginnasio in un anno in cui il ginnasiarca si era dimesso dalla carica (linee 23–25), nonché dall’attenzione e consenso che le sue proposte sembrano ricevere in assemblea (linee 49–50). Sul piano economico, il potere di Bulagora deriva dal suo ingente capitale familiare, che si esprime nella sua attività di creditore privato[20] e gli permette di prestare ingenti somme di denaro alla città sia per l’espletamento di fondamentali missioni diplomatiche, per altro da lui stesso svolte in prima persona[21], sia per la soluzione di momenti di particolare crisi. La gestione dei prestiti necessari all’acquisto di cereali durante un momento di penuria (sitodeia) è rivelatrice sia dei meccanismi con cui la città cerca di ridurre il ricorso al debito pubblico al minimo necessario, attraverso il lancio di tre distinte sottoscrizioni distribuite nel tempo,[22] sia della capacità di Bulagora di operare come il vero protagonista della vita civica in un momento in cui la salvezza della popolazione è l’obiettivo più impellente:

“E quando una penuria di cereali colpì il Popolo e a causa dell’urgente stato di necessità i cittadini nominarono tre commissioni per l’acquisto dei cereali, in tutte queste non gli mancò mai lo zelo e il desiderio di farsi onore, ma nella prima commissione anticipò tutto il denaro per il deposito, secondo quanto decretato dal Popolo, mentre per la seconda promise una somma pari a quella offerta dai più grandi contributori e per la terza non solo mise di tasca propria tutto il denaro per il deposito, ma quando i cereali arrivarono in città e il responsabile per l’acquisto prese un prestito aggiuntivo (mettendo la garanzia) su questo (= il prodotto già acquistato), egli si presentò in assemblea e promise che poiché non c’erano risorse disponibili per restituire il denaro, avrebbe saldato lui stesso il debito a nome della città, inclusi gli interessi e tutte le spese, e fece ciò rapidamente e rimborsò il creditore senza imporre alla città alcun contratto scritto per queste somme e senza richiedere la nomina di garanti, ma attribuendo la massima importanza al bene comune e al fatto che il Popolo potesse vivere in abbondanza.”[23]

Il riferimento a tre sottoscrizioni fa pensare a una crisi di una certa durata e rilevanza, forse proprio in concomitanza con la temporanea perdita delle terre di Anaia che, come vedremo, rappresentavano una risorsa fondamentale per l’approvvigionamento di cereali a Samo.[24] Come che sia, quello che per noi conta è che, come ha sottolineato Léopold Migeotte, in questo momento di difficoltà per la città, Bulagora non si è limitato a coprire da solo il capitale previsto per due delle tre sottoscrizioni pubbliche, contribuendo inoltre alla terza con una somma pari a quella del contributore più generoso. Poiché, durante le contrattazioni con i venditori di cereali, il costo della materia prima doveva essere cresciuto, rendendo insufficiente la somma raccolta con l’ultima sottoscrizione, il compratore pubblico (sitōnēs) eletto dalla città si era trovato nella necessità di richiedere un prestito aggiuntivo, dando il prodotto già acquistato in garanzia al creditore. La situazione è sbloccata da Bulagora, che presentandosi in assemblea annuncia la propria intenzione di saldare personalmente il debito, l’interesse e tutte le spese accessorie, liberando così le derrate acquistate e senza richiedere un contratto formale né garanti.[25]

La crisi dei cereali vissuta da Samo a un certo punto negli anni 260–243/2 a.C. rivela la capacità della città di attivare dispositivi finanziari che fanno parte del suo ‘savoir faire’ economico-amministrativo per rispondere non solo alle esigenze che si presentano in tempo di stabilità e pace, ma anche in momenti di emergenza determinati da fattori esterni e aleatori come le guerre o l’instabilità climatica. D’altro lato, la centralità del ricco concittadino Bulagora nella vita della polis in questi anni difficili è evidente, e ciò non dipende solo dall’obiettivo celebrativo del decreto. I servizi resi dall’onorando intersecano tutti i passaggi nevralgici dell’amministrazione della madrepatria, sul piano sia interno sia internazionale: non solo il superamento della crisi alimentare, ma anche la soluzione del problema (forse collegato al primo) dell’occupazione ed espropriazione della peraia samia da parte di forze esterne, e persino il compimento della theoria ad Alessandria, un fondamentale evento nella ‘routine’ dei rapporti intessuti da Samo con le maggiori forze politiche internazionali del tempo. Allargando metaforicamente, e mutatis mutandis, la categoria di ‘shock doctrine’ discussa da Naomi Klein in un celebre saggio del 2007,[26] possiamo sottolineare come i momenti in cui la prevedibilità dei piani di gestione della polis e il conseguente controllo istituzionale sull’amministrazione della città entrano in crisi a causa di forti pressioni esterne e aleatorie – di natura umana e/o naturale – accrescono enormemente il potenziale politico delle risorse economiche, sociali e culturali di singoli cittadini benestanti. In funzione della gravità della crisi e della conseguente ripetizione degli interventi risolutivi garantiti da queste figure, l’evergetismo privato può passare dallo svolgere una funzione prevedibile e circoscritta all’interno del sistema-città a divenire un fattore decisivo nell’evoluzione dei rapporti fra le istituzioni e il potere politico-economico di un individuo o di un gruppo di individui.

Come abbiamo intuito nel caso di Xanthos, tuttavia, almeno prima degli ulteriori ‘shocks’ provocati dal declino dei regni e delle leghe e dalla conquista romana nella seconda metà dell’età ellenistica,[27] in linea di massima la polis non è in balia di un singolo benefattore, ma difende i propri interessi generali attraverso due strategie fondamentali: arginando per quanto possibile l’occorrenza di episodi eccezionali e promuovendo la collegialità come strumento per attuare una interazione mutualmente proficua fra la comunità e i suoi dynatotatoi. Tali strategie emergono bene dall’analisi di due serie di documenti ai quali saranno consacrati i prossimi paragrafi. Nel primo caso, resteremo a Samo per vedere come la città si sia data da fare per costruire meccanismi capaci di rispondere adeguatamente alle contingenze legate al clima e alla guerra, che potevano determinare la riduzione o la perdita dei raccolti, senza dover sempre ricorrere al debito pubblico e al soccorso provvidenziale di un singolo evergete. Nel secondo caso, andremo in Caria, per discutere le strategie finanziarie attraverso le quali la classe dirigente di Olymos, una unità demografico-territoriale di Mylasa, seppe sviluppare un meccanismo di collaborazione fra capitale privato e pubblico volta a soddisfare due obiettivi: l’arricchimento della classe dirigente stessa e l’accrescimento delle casse pubbliche e quindi della resilienza della comunità locale.

La città contro i rischi della sorte: la legge per l’acquisto dei cereali a Samo

A una data non molto lontana all’intervento di Bulagora per risolvere la crisi dei cereali,[28] la città di Samo approvò una legge per l’approvvigionamento di questo bene essenziale per fare fronte a momenti di crisi.[29]

L’inizio del decreto di approvazione è purtroppo perduto, ma quanto conservato ci permette comunque di conoscere un dispositivo amministrativo-finanziario molto articolato, nel quale il ricorso a una sottoscrizione civica iniziale dà vita a un meccanismo stratificato di condivisione delle responsabilità legate all’acquisto di cereali (sitos) a prezzo calmierato e alla distribuzione gratuita di una quantità modesta di questo bene essenziale a ogni cittadino, almeno per alcuni mesi all’anno.[30] La prima sezione conservata del decreto rivela che la città di Samo ha aperto una sottoscrizione fra cittadini benestanti (da identificare probabilmente con gli euporotatoi del rigo 1) chiamati a contribuire con quote variabili alla costituzione di un capitale di fondazione.[31] La sottoscrizione si svolge al livello delle chiliastýes, le unità di mille cittadini in cui sono articolate le due tribù di Samo,[32] e ha luogo nello spazio pubblico del teatro, in concomitanza con l’elezione, da parte di ciascuna unità demografica, di un proprio guardiano responsabile della gestione dei fondi e del prodotto da acquistare. La procedura è di primaria importanza per il sistema di distribuzione delle responsabilità su cui si basa l’efficienza di tutto il sistema di approvvigionamento, come dimostra l’alto livello di dettaglio che le è dedicato nel decreto:

“La selezione sia fatta nel mese di Kronion, in occasione della seconda riunione dell’assemblea. I pritani convochino l’assemblea nel teatro e invitino i partecipanti a sedersi per gruppi di mille (katà chiliastýn), collocando segnali per separare lo spazio per ciascun gruppo; puniscano con una multa di uno statere civico chi resterà da solo o non si siederà nel proprio gruppo; e se questi afferma di essere punito ingiustamente, si prenda nota del suo nome e il giudizio abbia luogo nel tribunale politico entro 20 giorni. I membri dei gruppi di mille procedano quindi autonomamente alla proposta e all’elezione (dei guardiani). In questa riunione dell’assemblea i membri dei gruppi effettuino l’esame delle somme depositate e delle garanzie. I pritani registrino negli archivi pubblici (dēmosia grammata) le somme depositate e le garanzie esaminate. Ugualmente iscrivano negli archivi pubblici i nomi dei guardiani che sono stati nominati. Quando l’elezione sta per cominciare, l’araldo civico preghi per il benessere di coloro che eleggono quanti ritengono capaci di gestire il patrimonio nel modo migliore possibile.”[33]

Quanto segue ci informa che la città ha istituito un complesso sistema di prestiti miranti a fornire un interesse utilizzato di anno in anno per l’acquisto dei cereali. Questo sistema è gestito a tre livelli: la città, le due tribù, le molteplici sotto-unità della tribù (chiliastýes). La città elegge un compratore (sitōnēs); ogni tribù elegge un responsabile dei cereali, per un totale di due oi epi sitou; ogni chiliastýs elegge un guardiano (meledōnos). Ogni anno, i guardiani danno in prestito la somma assegnata a ogni chiliastýs a un privato, che la renderà a fine anno al guardiano con l’interesse pattuito. L’interesse è consegnato da ogni guardiano al responsabile per i cereali della propria tribù. I due responsabili mettono il denaro a disposizione del compratore, che procederà all’acquisto presso le terre continentali di Anaia. In questa regione si trovavano infatti le terre coltivate appartenenti alle proprietà sacre di Hera. Una parte delle terre sacre del santuario è data in affitto annualmente; gli agricoltori affittuari pagano al santuario un canone in natura, corrispondente alla ventesima parte (5 %) del loro raccolto. Di questa percentuale, una parte deve restare proprietà del santuario e sarà venduta sul mercato libero; il ricavato sarà depositato nel tesoro di Hera. Il resto può essere comprato a prezzo politico dal sitōnēs.

Il sofisticato meccanismo della legge samia comprende una interessante clausola concernente la gestione degli eventuali ‘surplus’ economici generati da questo sistema di finanziamento. Se la somma annuale derivata dagli interessi di prestito supera il costo del prodotto proveniente da Anaia, il demos può deliberare di comprare altri cereali con il denaro rimanente (il Popolo può inoltre decidere dove comprare il prodotto), oppure può accantonarlo sotto la custodia degli addetti ai cereali, per usarlo in futuro. È anche possibile esternalizzare il processo di acquisto a privati in grado di offrire un prezzo più basso, a patto che questi lascino garanzie sulla somma messa a disposizione dal demos. La legge prevede quindi la possibilità che dei mercanti privati interagiscano con il sistema di approvvigionamento pubblico, a patto che questa sinergia miri al raggiungimento di un vantaggio economico condiviso. Inoltre, l’intero meccanismo appare sottoposto a valutazione e revisione annuale, nel mese di Artemision (febbraio-marzo), quando i pritani mettevano la discussione all’ordine del giorno dell’assemblea con il dovuto anticipo sul periodo del raccolto.[34]

I cereali così comprati sono gestiti dai due addetti, che assegnano mensilmente le misure prestabilite a ogni chiliastýs, di modo che due misure gratuite[35] siano consegnate a ogni cittadino residente. La distribuzione si fa nei primi dieci giorni del mese, a meno che un cittadino sia temporaneamente all’estero; il cittadino perde la sua quota se non rientra entro fine mese. Gli addetti al sitos presentano il resoconto della distribuzione, con i nomi dei beneficiari, ai revisori dei conti. La distribuzione si fa mese dopo mese, fino a esaurimento scorte.

Affinché il sistema funzioni e non si generino irregolarità, la città ha infine creato un complesso sistema di distribuzione di responsabilità e punizioni per proteggere ogni passaggio del sistema stesso: se un guardiano trattiene i soldi del deposito o dell’interesse, è tutta la chiliastýs a subire un danno perché i suoi membri non riceveranno i cereali finché il guardiano stesso, o i membri della chiliastýs, non avranno rimesso insieme il denaro necessario. È previsto in questo caso che i membri della chiliastýs rifondino la somma dividendola in parti uguali fra i membri o tramite quote diverse sostenute da cittadini ricchi. Analogamente, al livello di chi prende il prestito, è il denaro lasciato a garanzia che assicura che in caso di mancata restituzione, la somma della chiliastýs sia prontamente reintegrata.

Se i calcoli proposti da Migeotte a proposito dell’entità del capitale di fondazione, dell’interesse fruttifero e delle unità di distribuzione dei cereali previsti dalla legge di Samo sono corretti, è evidente che lo scopo di questa legge non era la presa in carico del nutrimento dei cittadini da parte della polis, come si è pensato in precedenza, ma la costituzione di un fondo di sicurezza che avrebbe dovuto mettere la città al riparo dalle speculazioni sui costi del grano in periodi di crisi futura. Nel decreto di Canopo in onore di Tolemeo III, di qualche decennio posteriore alla legge di Samo, si legge che per fare fronte a una grave carestia, il sovrano ricorse all’acquisto di ingenti quantità di cereali dall’estero (Siria, Fenicia e Cipro) a prezzi maggiorati (τιμῶν μειζόνων) pur di salvare i propri sudditi.[36] Questa abbondanza di risorse per uscire da situazioni critiche costituisce un elemento cruciale nella rappresentazione dei buoni sovrani, ma non era certo alla portata delle poleis dell’epoca. Con la loro legge, dunque, le istituzioni di Samo si volevano assicurare di non dover pagare in futuro prezzi astronomici per il grano nel caso in cui, per ragioni naturali o umane, il normale sistema di approvvigionamento di questa materia prima fondamentale si fosse bloccato. Pur offrendo ai cittadini uno scarso ‘surplus’ in tempi buoni, queste poche unità di cereali pro capite avrebbero potuto fare la differenza per la popolazione e per la città nel suo insieme in tempi di crisi.

L’impossibilità di ricollocare la legge in un preciso contesto cronologico ci impedisce di comprendere se (e quali) eventuali esperienze negative pregresse avessero spinto la città ad adottare questa risoluzione. Sarei tentato di invertire la cronologia condivisa che antepone la legge in questione alla sitodeia risolta da Bulagora, concludendo quindi che Samo abbia imparato dai problemi insorti in quell’occasione e abbia perciò provveduto a sostituire le sottoscrizioni d’urgenza lanciate in tempo di crisi – le quali misero in primo piano un solo cittadino facoltoso, capace di rispondere con rapidità all’appello della città – con un piano lungimirante e ben calibrato, nel quale una larga fetta dell’‘élite’ economica samia veniva chiamata a competere in una esibizione di impegno patriottico dai vantaggi duraturi. L’ipotesi di ritardare di qualche anno l’ideazione di questo sistema non violerebbe le corrispondenze prosopografiche proposte dagli studiosi,[37] mentre permetterebbe di vedere come la polis abbia saputo arginare le contingenze che potevano metterla in crisi e ridurre così il rischio che un solo dei cittadini (o pochi fra essi) sbaragliasse la concorrenza dei pari e acquisisse meriti troppo grandi, sbilanciando gli equilibri interni fra gli “azionisti della polis”.

Se invece ci atteniamo alla cronologia condivisa, dobbiamo concludere che nonostante gli sforzi istituzionali di fare preventivamente barriera alla cattiva sorte, una crisi più grande del previsto (di natura umana o naturale che fosse) mise la città in scacco e la costrinse ad affidarsi completamente alle risorse salvifiche di uno dei suoi cittadini. Come osservato in precedenza, non è da escludere che a inceppare il sistema elaborato dalle istituzioni di Samo sia stata proprio la perdita temporanea delle terre di Anaia, dove la città contava di comprare grano a basso costo. Se così fosse, il ruolo decisivo di Bulagora sarebbe duplice, dal momento che il benemerito cittadino avrebbe risposto finanziariamente alla crisi e insieme posto le basi per il superamento dei problemi di politica internazionale che avevano contribuito alla crisi dei cereali. Poco importa che, come si evince dal decreto, almeno una delle sottoscrizioni d’urgenza avesse portato alla raccolta di denaro prestato anche da altri benefattori: il decreto ricorda, e a ragion veduta, solo Bulagora, elencando con dovizia di particolari l’episodio che più di tutti dovette significare un definitivo salto di qualità nella carriera dell’onorando e l’acquisizione di una ben più significativa porzione di prestigio e influenza politica nelle vicende della madrepatria.

Convergenza fra interessi pubblici e privati: compra-vendita e affitto delle terre sacre nella regione di Mylasa

Nell’ultima sezione di questa discussione sulla complementarità e i rapporti di forza fra iniziative istituzionali e capitali privati nelle città ellenistiche intendo discutere un caso nel quale la programmazione economico-amministrativa gestita dalle istituzioni pubbliche ha saputo costituire un meccanismo di accrescimento dei beni comuni (in forma di terre coltivabili possedute dagli dèi) finalizzato al contempo ad aumentare la resilienza della comunità e a soddisfare gli interessi della sua classe dirigente. Le riflessioni che seguono ci portano in Caria, nella chora di Mylasa, dove per un periodo di più di un secolo (c. 260–130 a.C.)[38], diverse sotto-unità territoriali della polis appaiono impegnate nell’attività di affittare terre pubbliche a privati ai quali è concesso il diritto di trasmissione ereditaria del contratto d’affitto.[39] Data l’estensione cronologica della documentazione e l’autonomia operativa delle singole unità territoriali, non stupisce che le procedure presentino alcune differenze nel tempo e nello spazio;[40] non si può tuttavia negare una generale coerenza, soprattutto per quel che riguarda la documentazione afferente all’area di Olymos, cronologicamente più compatta (c. 160–130 a.C.)[41]. Alcuni dettagli rendono particolare il caso di Mylasa nel suo complesso e meritano di essere qui ricordati:

  • alcune phylai e syngeneiai di Mylasa (mai la città stessa)[42] procedevano ad acquisire, con denaro afferente al tesoro degli dèi locali, proprietà fondiarie appartenenti a privati;[43] in certi casi, le stesse terre erano poi direttamente affittate ai venditori privati, secondo una procedura che prevedeva la concomitante vendita dal privato ai commissari pubblici preposti all’acquisto e la presentazione, da parte del venditore/locatario, di garanti per l’affitto del medesimo fondo agricolo. Si tratta di una caratteristica esclusiva della documentazione di Mylasa, sebbene l’opinione corrente – che vedeva in tale procedura un tratto comune a tutte le pratiche di acquisto e affitto di terre sacre in questa città – sia stata recentemente rimessa in discussione;[44]

  • nella regione di Mylasa, gli affitti di terre sacre sono concessi eis patrikà, ovvero non hanno scadenza se non nel caso del mancato pagamento del canone annuale, generalmente dopo uno o due anni di morosità;[45] qualora le regole contrattuali non siano disattese, il contratto d’affitto durerà per tutta la vita del locatario e potrà essere passato per via ereditaria ai suoi figli.[46] È stato osservato che sia l’ereditarietà degli affitti, sia l’utilizzo del termine phoros per indicare il canone, sono desunti dalle pratiche di gestione delle doreai legate alle terre regali, di cui il modello sviluppato a Mylasa costituisce una filiazione più vicina rispetto ai sistemi di affitto di terre sacre in altre regioni del mondo ellenistico.[47]

Pur non potendo qui scendere nei dettagli del sistema di vendita e affitto e delle sue varianti locali e diacroniche, mi preme sottolineare che il meccanismo di acquisizione e gestione delle terre integrate al patrimonio degli dèi nel territorio di Mylasa rivela una significativa capacità di diversificare gli investimenti effettuati sui fondi sacri, secondo una tendenza alla decentralizzazione e alle responsabilità delle singole unità demografico-territoriali che caratterizza molti settori dell’amministrazione della Mylasa ellenistica. Nell’analisi della documentazione, quindi, dobbiamo tenere conto del fatto che le iniziative volte a una efficace interazione fra capitali pubblici e interessi privati si possono qui studiare al livello demograficamente più ristretto di una comunità locale piuttosto che a quello della polis. In questi contesti, la convergenza/sovrapposizione fra le iniziative istituzionali e quelle afferenti a specifici gruppi di interesse appare dunque più naturale in considerazione delle misure più ridotte della comunità di riferimento. Tuttavia, tali condizioni non inficiano la validità delle osservazioni fin qui proposte. Al contrario, come vedremo, esse permettono di comprendere che le dinamiche attestate a più ampio raggio – a livello di polis – riproducevano forme di interazione testate a una scala demografica inferiore, corrispondente a un demo, una tribù, o un’altra comunità locale.

Nei contratti di affitto dalla regione di Mylasa, il dispositivo economico e finanziario è attivato a livello pubblico tramite la ricerca di terre da acquistare,[48] ma i suoi meccanismi ottengono successo perché incontrano gli interessi privati.[49] In particolare, tutti gli studiosi hanno rilevato l’entità limitata dei canoni delle terre sacre, che doveva rendere l’affitto particolarmente interessante per i privati, i quali potevano così ingrandire a basso costo la terra coltivabile a propria disposizione. Dal punto di vista degli amministratori dei santuari, inoltre, i canoni bassi garantivano l’appetibilità dell’offerta e quindi la sicurezza del rientro degli investimenti, sebbene tale processo dovesse richiedere un numero cospicuo di anni. Oltre ai valori assoluti dei canoni annuali conservati, che si aggirano fra 100 e 760 dr.,[50] sono particolarmente significativi i pochi casi nei quali disponiamo del rapporto fra il canone annuale e la somma inizialmente investita dagli amministratori pubblici per l’acquisto della terra. Il contratto Pachturkunden, n° 137 (SEG XLV 1538; Pernin n° 211; Olymos, 160–130 a.C.) indica un costo d’acquisto di 6.500 dr., a cui corrisponde un canone di 234 dr. annue. Questo significa che il fondo di Apollo e Artemide avrebbe impiegato quasi 28 anni per ammortizzare l’investimento. Da un contratto concernente le terre di Zeus degli Otorkondeis (Pachturkunden, n° 35; I.Mylasa I 212; Pernin n° 151; 160–130 a.C.) veniamo a sapere che a un prezzo d’acquisto di 7.000 dr. corrispose un canone d’affitto di 300 dr. In questo caso, il fondo sacro avrebbe recuperato il denaro avanzato in 23 anni. Esprimendo questi valori in termini finanziari, abbiamo un rapporto medio intorno al 4 % fra il valore d’acquisto della terra e il canone annuale d’affitto.[51]

Un interessante segno di flessibilità gestionale consiste nel fatto che in alcuni casi, le clausole di contratto prevedono la possibilità, dopo il compimento del decimo anno di affitto, di combinare il pagamento dell’annualità in denaro (procedura che resta predominante) con una porzione di canone in natura.[52] Pachturkunden, n° 25 (I.Mylasa I 216; Pernin n° 153; phylè degli Otorkondeis, 190–160 a.C.), fissa il canone per i primi dieci anni a una somma di x dr. (il valore è perduto), derivata probabilmente dalla vendita di prodotti dei campi,[53] mentre per gli anni successivi la somma in denaro, probabilmente ridotta (la quantità è però di nuovo in lacuna), era compensata dal versamento di una mina di incenso e di un’hydria d’olio. Dei prodotti che componevano il canone in natura, l’olio doveva provenire dalla produzione locale, dal momento che l’appezzamento affittato ospitava un mulino a olio (ἐλαϊστηρίω[ι, linea 1) e dunque certamente anche un oliveto.[54] Diversamente, l’incenso è un noto prodotto di importazione e doveva quindi essere comprato dal locatario.[55] Il frammentario contratto Pachturkunden, n° 109 (I.Mylasa II 830; Pernin n° 199; da Olymos) offre un interessante termine di paragone per la trasformazione del canone dopo dieci anni di affitto. In due passi (ll. 2 e 4), il contratto esplicita che il phoros diventerà a questo punto karpophoros, ovvero in natura (e senza garanti), anche se l’effettiva tipologia e quantità dei prodotti che il locatario dovrà consegnare alle autorità di Olymos restano per noi oscure.

La fornitura di incenso (e forse anche dell’olio, utilizzabile per torce e lampade) rimanda all’interesse, da parte dei gestori del santuario, di assicurarsi le forniture necessarie per l’espletamento dei rituali.[56] Tale procedura non deve stupire, dal momento che in tutto il mondo greco, le attività finanziarie relative ai santuari – che si tratti di prestito a interesse, praticato soprattutto in Grecia continentale, o dell’affitto di terre di proprietà degli dèi, come succede più regolarmente in Asia Minore[57] – sono volte innanzitutto ad assicurare un canale stabile e autonomo di finanziamento delle attività rituali, evitando così che la comunità debba destinare a tali scopi ulteriori porzioni del budget civico.[58] Allo stesso tempo, la critica ha correttamente sottolineato che l’atteggiamento proattivo delle istituzioni della regione di Mylasa in relazione all’ampliamento delle proprietà degli dèi rende evidente come il sostentamento delle attività dei templi costituisse solo uno degli obiettivi di tali iniziative.[59] La conversione del canone in natura dopo un certo periodo può quindi indicare un ulteriore aspetto di pianificazione e di differenziazione delle entrate. Oltre ad assicurare un investimento lento ma sicuro e duraturo, tale soluzione avrebbe potuto liberare i santuari dai rischi inerenti alla gestione di quantità eccessive di metallo prezioso, di per se stesse una allettante esca per furti o razzie.[60] A oggi, tuttavia, non possiamo andare oltre una valutazione generica di tale programmazione in quanto l’effettivo impatto del canone misto sull’economia delle comunità nella chora di Mylasa ci sfugge pressoché completamente. Possiamo solo osservare che il passaggio a un canone misto dopo i dieci anni appare in documenti relativi alla tribù degli Otorkondeis, al demos di Olymos e al santuario di Sinuri: questo suggerisce una pratica trasversale sul piano geografico, confermata anche a livello cronologico[61]. Particolarmente frustrante è l’impossibilità di determinare il contenuto di un canone karpophoros: tale definizione, attestata in un solo documento conservato, corrisponde alle forniture in olio e/o incenso documentate presso gli Otorkondeis e a Sinuri (in ogni caso in piccole quantità), oppure allude ad altri beni primari, e magari anche a cereali, come nel caso sopra discusso degli affitti delle terre di Hera nella peraia di Samo? Pur tenendo conto delle lacune della documentazione, sembra non sia lecito immaginare un tale impiego dei canoni in natura a Mylasa: la percentuale decisamente limitata di contratti in cui possiamo ritrovare un riferimento a un cambio dopo i primi dieci anni e le quantità ridotte di beni di consumo evocate nei documenti a nostra disposizione suggeriscono che a differenza delle somme in denaro, il pagamento in natura servisse solo a coprire semplici forniture funzionali alla vita rituale dei santuari stessi.

La documentazione relativa alla gestione delle terre pubbliche nella chora di Mylasa rivela in ogni caso una grande fluidità nei passaggi del valore economico dalla proprietà fondiaria al capitale monetario, e da questo all’ampliamento, a vario titolo giuridico, della terra coltivabile. Tale dinamismo può essere visto come un fattore di resilienza per la regione di Mylasa, specie se messo a confronto con l’eremia demografica ed economica che, in età ellenistica, flagellava tante campagne della Grecia continentale.[62] In questo quadro è utile introdurre nella discussione due decreti afferenti ai fondi sacri di Olymos (Pachturkunden, n° 113–114; I.Mylasa II 801–802; Pernin 2014, n° 166–167; c. 160–130 a.C.) nei quale si fa riferimento a dei prodaneistai (degli “anticipatori” di denaro)[63] che tenevano a deposito parti distinte del tesoro di Apollo e Artemide.[64] I decreti sono iscritti in sequenza sulla stessa pietra e riguardano lo stesso acquisto di terre. Con il primo decreto, il demos di Olymos stipula di assegnare all’acquisto una somma di denaro che deve essere ritirata presso tre persone, specificando la quota che i commissari preposti all’acquisto dovranno ricevere da ciascuno di loro: 4.000 dr. da Sibilos, x dr. (lacuna) da Euthydemos, e il resto da Hekatomnos.[65] I nomi completi e i loro titoli si desumono dal resto del testo e da un confronto con la documentazione contemporanea: si tratta di Sibilos, figlio di Diodoros, sacerdote di Dikaiosyne; Euthydemos, figlio di Theoxenos, sacerdote di Zeus Eleutherios; Hekatomnos, figlio di Ouliades, appartenente alla nota famiglia titolare del sacerdozio di Zeus Labraundos. I tre personaggi sono originari di Olymos ma occupano posizioni di prestigio anche al livello della polis Mylasa.[66] Il secondo decreto chiarisce la loro funzione di prodaneistai, in nome della quale essi sono chiamati a consegnare la somma richiesta ai commissari addetti all’acquisto della terra.[67] Sempre nel secondo testo, particolare attenzione merita l’indicazione per cui il canone d’affitto delle terre comprate dovrà essere “non inferiore alla metà degli interessi sul valore [d’acquisto)]” (scil. della terra).[68]

Pernin ha correttamente sottolineato come nei due decreti in questione, il demos di Olymos non stia facendo ricorso a un prestito privato ma riscuota denaro pubblico precedentemente affidato ai prodaneistai:[69]

  • Pachturkunden 113, ll. 4–5: ἀπὸ τοῦ ἀργυρίου τοῦ ὄντος ἱεροῦ τῶν προγεγραμμένων θεῶν, πα̣[ρατεθειμένου παρὰ Σιβιλωι καὶ Εὐθυδήμωι καὶ Ἑκατο]|μνωι. Anche prescindendo dal verbo παρατίθημι (“depositare”), che è in gran parte in lacuna, il decreto indica che l’acquisto si farà “con il denaro sacro degli dèi sopracitati”;

  • Pachturkunden 114, ll. 2–3: [… ἐπειδὴ ὑ]|πάρχει τῶι δήμωι τῶι Ὀλυμέων ἱερὸν ἀργύριον Ἀπόλλωνος καὶ Ἀρτέμιδος [τῶν θεῶν τοῦ αὐτοῦ δήμου (…)]. Anche in questo caso, la delibera prende le mosse dalla constatazione che il demos ha a disposizione denaro appartenente alle casse degli dèi.[70]

Il denaro appartiene dunque già agli dèi, cioè alle istituzioni, che lo hanno dato in custodia a tre cittadini a cui è ora richiesto di riconsegnarlo (non sappiamo se del tutto o in parte) ai commissari affinché questi possano acquistare nuove terre per gli dèi di Olymos. Ci troviamo quindi in una situazione diversa da quella del più antico I.Mylasa II 864 (c. 190–160 a.C.). In quel caso le autorità di Olymos avevano assegnato a un collegio pubblicamente selezionato il compito di stipulare con un privato, Ouliades figlio di Aetion, un contratto di prestito di 7.000 dr. a breve termine (un anno), impegnandosi a pagare un interesse del 12 % annuo. Il venditore del terreno era Ouliades figlio di Hekatomnos, padre del prodaneistēs Hekatomnos citato nei documenti da cui siamo partiti, il che ci permette di confermare la centralità di questa famiglia nella vita politico-economica di Olymos nel II sec.[71] Particolarmente interessante è la notizia per cui il demos di Olymos non aveva contratto il prestito direttamente, ma per il tramite di un gruppo di intermediari. Essi avrebbero saldato il debito con Ouliades figlio di Aetion entro 12 mesi, recuperando poi dalla comunità il denaro nel corso degli anni: spettava infatti ai tesorieri restituire il debito dividendo fra i creditori le rendite delle terre affittate, tenendo da parte una somma annuale di 300 dr. destinata a finanziare i sacrifici.[72] Perché questo passaggio intermedio? La risposta più plausibile è che, nel ricorrere a intermediari nella creazione di debito pubblico volto ad accrescere l’operatività dei fondi sacri, la comunità di Olymos perseguisse un doppio vantaggio rispetto al ricorso a un singolo prestatore: la divisione del debito in piccole porzioni assicurava di non dover dipendere da una singola persona, creando così un bilanciamento e una responsabilità condivisa; essa consentiva altresì di restituire la somma prestata in un tempo più lungo.

In entrambi i casi, la comunità di Olymos ha cautamente evitato di esporsi direttamente sul piano finanziario, assegnando tale compito a suoi membri di spicco e costituendo – siamo ormai abituati a vederlo – una catena condivisa di responsabilità e mutui vantaggi fra pubblico e privato. Fin qui arrivano le analogie fra i due ‘dossiers’. Tuttavia, a differenza del collegio eletto negli anni 190–160 a.C., i tre prodaneistai attivi nei due decreti del periodo 160–130 a.C. non operano come prestatori, ma come cittadini benestanti e rispettabili ai quali è affidata una parte del tesoro degli dèi in una forma di amministrazione fiduciaria. Come ha proposto Raymond Bogaert, è probabile che tale funzione non fosse senza vantaggi per i prodaneistai, che plausibilmente potevano farne uso per soddisfare la propria agenda economica, forse anche prestando a interesse porzioni dei fondi civici che avevano in custodia, a patto di poterli restituire quando ciò fosse richiesto.[73] È altrettanto plausibile che tale profitto andasse in parte condiviso con le istituzioni. Quest’ultima ipotesi ci spinge a porci la domanda se gli amministratori del santuario di Apollo e Artemide ricorressero a custodi privati solo per evitare i rischi di tenere troppo metallo coniato nel santuario, o se i loro depositi fossero finalizzati a fare fruttare tale denaro. In tal caso, vedremmo la comunità fare ricorso a un sistema finanziario aperto alla gestione di capitali da parte di privati (prodaneistai) per la creazione sia di debito (I.Mylasa II 864) sia di credito pubblico (Pachturkunden, n° 113–114), sempre sul breve periodo e sempre con lo scopo di accrescere il potere d’acquisto delle casse degli dèi. Prima ancora di addentrarci nell’analisi del testo di Olymos, è utile ricordare quanto già osservato nella legge di Samo sulle forniture di grano. A Samo, ogni anno il guardiano della somma attribuita a ogni chiliastýs metteva tale denaro in custodia presso un privato, il quale l’avrebbe reso a fine anno con l’interesse pattuito. Che la situazione a Olymos sia simile emerge a mio avviso dalla già citata clausola per cui il canone di un appezzamento di terra sacra dato in affitto avrebbe dovuto essere “non inferiore alla metà degli interessi sul valore [d’acquisto)]” per lo stesso terreno.

Ritengo che tale precisazione vada intesa nel senso che le istituzioni di Olymos percepivano un interesse dai prodaneistai, ai quali dovevano permettere, come clausola dell’amministrazione fiduciaria, l’uso dei capitali depositati per attività di interesse privato. L’ipotesi alternativa, che gli interessi citati nel decreto si riferiscano alla somma che la città doveva restituire a un prestatore privato, va qui esclusa perché, come si è visto, il denaro utilizzato nelle transazioni testimoniate da Pachturkunden n° 113–114 era già della città. Un’altra osservazione spinge nella medesima direzione. Come si è visto, il rapporto fra l’investimento fatto dalle istituzioni dell’area di Mylasa per comprare un terreno e la somma che recepivano annualmente tramite l’affitto si attesta attorno a un valore medio del 4 %. Pur non sapendo se il caso testimoniato da I.Mylasa II 864 sia eccezionale o rappresentativo di una pratica diffusa, il tasso di interesse del 12 % annuo con cui le istituzioni si impegnavano a restituire il denaro al finanziatore privato pare troppo alto per soddisfare quanto stipulato dal demos di Olymos, e cioè che il canone d’affitto delle terre comprate dovesse essere “non inferiore alla metà degli interessi sul valore [d’aquisto]”. Per soddisfare tale obiettivo, il canone avrebbe dovuto essere almeno pari al 6 % del valore del terreno acquistato, tenendo fisso un tasso di interesse al 12 % sul denaro dovuto dalle istituzioni al prestatore; oppure, partendo da un canone al 4 % per l’affitto della terra, le istituzioni avrebbero dovuto tenere il tasso di interesse sul denaro preso in prestito sotto l’8 % annuo. Al contrario, l’equazione determinata dalle istituzioni di Olymos prende senso se la applichiamo al rapporto fra le entrate annue percepite tramite il canone d’affitto (x) o tramite una gestione fiduciaria fruttifera presso un privato (y). Partendo dal rapporto x ≥ ½ y, e basandoci sulla stima per cui l’affitto assicurava un ritorno medio del 4 % annuo sull’investimento per l’acquisto sulle terre, possiamo supporre che da un amministratore fiduciario le istituzioni potessero sperare di ottenere una rendita superiore, fino all’8 % annuo (secondo il rapporto 1:2 indicato come soglia minima dal decreto).

Secondo il meccanismo di responsabilità condivisa già evidenziato a Samo, possiamo concludere che i prodaneistai assicurassero alla comunità sia la disponibilità del capitale sia un certo interesse annuo. Il guadagno che ne derivava alla città era superiore al tasso con cui si determinava il rapporto fra le spese d’acquisto delle terre e l’ammontare del canone annuo per il loro affitto. Ciononostante, almeno nei casi a noi noti tramite i contratti di affitto, per chi gestiva i fondi sacri di Apollo e Artemide, un investimento sicuro e duraturo in terre da affittare era risultato più appetibile che il guadagno, più rapido ma più incerto, che derivava dal lasciare i capitali degli dèi in gestione presso amministratori privati. Il demos di Olymos, tuttavia, si è premurato che tale perdita avesse dei limiti, che non dovevano superare il 50 % dell’interesse che il denaro lasciato a deposito presso i prodaneistai avrebbe dato nello stesso anno.

Se tale interpretazione è corretta, l’accorgimento discusso conferma la capacità delle istituzioni di Olymos di sfruttare in modo variegato e consapevole tutti gli strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria di un capitale. Tale abilità è del tutto coerente con quanto abbiamo sopra evidenziato a proposito delle strategie di investimento delle aziende familiari attive negli stessi territori. Tale coerenza si spiega a livello prosopografico: a Olymos, le persone che svolgono le varie funzioni – magistrati, commissari per l’acquisto delle terre, acquirenti, garanti, vicini e testimoni – sono in gran parte le stesse.[74] La documentazione su Demetrios figlio di Hermias (c. 160–130 a.C.) è rivelatrice in questo senso.[75] Demetrios opera come primo commissario per l’acquisto delle terre in quasi tutte le transazioni note a Olymos, ma in alcuni casi è anche il propositore del decreto che stipula tale acquisto. Vari suoi parenti figurano a diversi livelli nella documentazione sugli affitti, permettendoci di identificare una delle principali famiglie dell’‘élite’ di Olymos a livello economico e politico. Degno di nota è poi un dato costante nel modo in cui le persone sono citate nei decreti e nei contratti: di esse si esplicita sempre l’eventuale servizio pubblico reso come sacerdote di una certa divinità, dettaglio che rivela come tale incarico dovesse offrire un segno parlante del prestigio e dell’affidabilità di questi personaggi, membri per bene delle classi dirigenti delle comunità locali.

A questo punto possiamo ritornare ai tre distinti abitanti di Olymos di Pachturkunden, n° 113: Sibilos, Euthydemos ed Hekatomnos. Nella loro funzione di prodaneistai, costoro sono citati solo per nome, secondo un uso che non ha paralleli nella documentazione di Mylasa. Ne consegue che l’identità dei tre deve essere indicata per intero altrove. È ciò che avviene alle ll. 19–23, dove i nostri figurano insieme a Demetrios figlio di Hermias e ad altri colleghi nella lista dei commissari preposti all’acquisto e all’affitto delle terre.[76] In questa sede sono offerte informazioni più dettagliate, comprendenti, come è norma, il nome del padre e la carica sacerdotale che ricoprono. Sibilos, Euthydemos ed Hekatomnos sono quindi attivi in funzione sia di prodaneistai sia di commissari, il che rivela una gestione del sistema di acquisto/affitto di terre sacre da parte di una classe dirigente che è tutt’uno con l’imprenditoria familiare direttamente interessata agli aspetti finanziari di tali transazioni. Il potere di questa classe politico-economica si esprime attraverso strategie diversificate, nelle quali trovano posto sia la coltivazione della terra, sia la speculazione finanziaria. In questo caso, in particolare, abbiamo tre figure di rinomata fama che, in nome della loro riconosciuta affidabilità sociale e religiosa, custodiscono come amministratori fiduciari parti del fondo sacro ad Apollo e Artemide, assicurando un profitto a se stessi e alle istituzioni pubbliche. Una volta nominati membri del comitato pubblico per la compera delle terre, questi stessi amministratori fiduciari mettono a disposizione (propria e dei colleghi) il denaro che avevano in gestione. Per ridurre i rischi generati da un evidente conflitto di interesse, essi devono assicurare alla comunità di Olymos che le rendite da affitto che seguiranno all’acquisto di nuove terre sacre non siano inferiori alla metà del profitto che essi stessi concederebbero alla città annualmente come custodi dei fondi sacri.

Postulando una estensione cronologica ridotta per il sistema di acquisto/affitto delle terre pubbliche a Mylasa, la critica ha a lungo cercato di interpretarne le origini e gli obiettivi in relazione a un preciso quadro geopolitico. Esclusa la cronologia tarda e quindi una relazione con il periodo turbolento fra l’istituzione della Provincia d’Aria e le guerre mitridatiche, resta l’ipotesi per cui, dopo Apamea e nei decenni centrali del II secolo, il successo crescente delle procedure di acquisto e affitto nella regione di Mylasa risponderebbe a un tentativo di Mylasa di mettere a frutto le proprie competenze amministrative per lanciare un grande progetto di acquisizione di terre su fondi pubblici, rafforzare l’economia della città a livello sia pubblico sia privato e incrementare il controllo esercitato dalle istituzioni sulla chora. Tuttavia, questa interpretazione generale si scontra innanzitutto con un quadro cronologico notevolmente ampliato dagli studi recenti di Isabelle Pernin, Riet van Bremen e Wolfgang Blümel, per cui le pratiche di II sec. ci appaiono ora come la coerente evoluzione dei precedenti di III sec.; in secondo luogo, tale lettura generale è in contrasto con l’osservazione, che dobbiamo in particolare a van Bremen, relativa all’estraneità delle istitutioni della polis a una politica di acquisizione di terre i cui protagonisti sono sempre le comunità locali. Se tale quadro non sarà modificato dalla pubblicazione di nuovi documenti, ci troviamo di fronte a un sistema che conosce una sostanziale omogenerità, pur nelle differenze diacroniche, e che abbraccia ampie aree della chora di Mylasa, ma per il quale dobbiamo postulare una circolazione di conoscenze e pratiche finanziare promossa non dalle istituzioni centrali di Mylasa, bensì da figure di punta all’interno delle singole comunità, le quali operano parallelamente per ragioni e obiettivi in parte differenti, e forse non senza una qualche forma di competizione fra loro.

Lo sfondo comune alla fase di maggiore concentrazione delle fonti sembra essere quello di un’epoca, successiva alla pace di Apamea e precedente la guerra di Aristonico, che per l’Asia Minore vide condizioni di pace relativamente stabili combinarsi con l’occasione, per le comunità locali, di arricchirsi e di testare tecniche di collaborazione fra capitali pubblici e privati volte a ridurre i rischi legati a contingenze future. Per la chora di Mylasa, comunque, i dettagli e le implicazioni di tali procedure andranno ricercati non a livello di polis, ma nella documentazione locale. In questo senso, l’analisi dei documenti concernenti i prodaneistai a Olymos suggerisce una pista interessante perché nel giro di qualche decennio, vediamo le autorità locali raggiungere lo stesso scopo – acquistare terre con il denaro pubblico dei fondi sacri – attraverso due metodi opposti ma ugualmente fruttuosi di interazione con il capitale privato, ovvero passando dalla creazione occasionale di debito pubblico a un sistema programmato di investimento a interesse presso amministratori fiduciari. I privati coinvolti appartengono sempre alle stesse famiglie dell’‘élite’ locale, né cambia l’evidente sovrapposizione fra gruppi di interesse e istituzioni; sono però le modalità di tale collaborazione a cambiare, a favore – a quanto sembra – della capacità della comunità di programmare in anticipo il reperimento del denaro necessario ai propri investimenti. Più in generale, è stato sottolineato che il periodo di massimo successo delle pratiche di affitto di terre sacre a Olymos (c. 160–130 a.C.) corrisponde anche al momento in cui la classe dirigente di questa parte della chora di Myasa cercò di contrastare l’intromissione di attori esterni nella gestione dei fondi e delle attività di Apollo e Artemide: a patrocinare tale decreto restrittivo è lo stesso Demetrios figlio di Hermias, che abbiamo visto guidare la quasi totalità degli acquisti di terre sacre del demos di Olymos.[77] L’impegno della comunità di Olymos per accrescere la propria ricchezza terriera appare quindi come il pilastro economico di un progetto più ampio, e guidato dalle stesse persone, di rafforzamento dell’identità locale attorno al santuario degli dèi di Olymos e ai rituali che gli sono collegati. La gestione economica dei fondi sacri di Olymos diviene così anche uno strumento per assicurare alla comunità una posizione forte all’interno della grande Mylasa del II secolo: posizione che si raggiunge sia internamente, tramite l’accresciuta ricchezza e la chiusura alle influenze esterne, sia all’esterno, attraverso la scalata dei membri di spicco della comunità a cariche e onori al livello della polis.

Tali osservazioni hanno natura preliminare e colgono ovviamente solo alcuni aspetti di una realtà complessa. Una fine analisi comparativa dei ‘dossiers’ pertinenti alle varie unità demografiche di Mylasa è dunque particolarmente desiderabile, al fine di delineare una più dettagliata comprensione dei punti comuni e delle dinamiche particolari di ciascun contesto, nonché delle strategie di affermazione che i membri di spicco delle comunità locali misero in campo per distinguersi al livello superiore delle istituzioni della polis.

Il contributo dei cittadini, fra ‘routine’ e crisi: ‘shock doctrine’ e la gerarchizzazione delle società tardo-ellenistiche

I meccanismi messi in atto dalla classe dirigente di Olymos parlano di una comunità capace di dispiegare con inventiva e spirito di iniziativa tutte le armi della tecnica amministrativa e finanziaria del tempo, attivando una ponderata interazione fra capitale monetario e proprietà fondiaria e predisponendo le condizioni per una fruttuosa collaborazione fra interessi pubblici e privati, che in questo caso si manifesta a noi non al livello della polis, ma nelle maglie delle sue sotto-unità territoriali e demografiche. In questo senso, la documentazione di Olymos è eccezionale in due sensi: per le soluzioni pratiche adottate ma anche per l’altissimo livello di dettaglio con il quale le fonti illustrano le strategie di una comunità in un momento favorevole che permette di predisporre sistemi di gestione a lungo termine.

Il dato più significativo evidenziato a Olymos è la profonda compenetrazione fra gli interessi privati della classe dirigente e la gestione dell’economia pubblica in una piccola comunità. Tale convergenza è accertata a livello prosopografico e spiega le simili strategie di interazione tra beni fondiari e attività finanziaria che emergono dalle iniziative delle famiglie benestanti e delle istituzioni. Pur con un livello di dettaglio minore, tale convergenza tra amministrazione pubblica e iniziativa privata è emersa anche nella gestione degli approvvigionamenti di cereali di una polis come Samo, sebbene tale documentazione ponga più direttamente l’accento sulle condizioni eccezionali create dai momenti di crisi. In ogni caso, la differenza fra piccole comunità e poleis appare più una questione di proporzioni che di metodi.

Se consideriamo l’interazione fra economia pubblica e interessi privati dal punto di vista di questi ultimi, si potrebbe supporre che ciascun membro della classe politica vivesse l’accesso alle posizioni chiave del potere decisionale e amministrativo in modo fortemente competitivo. In altre parole, ogni attore avrebbe potuto cercare di escludere potenziali concorrenti da questa corsa per l’affermazione sociale e politica, a vantaggio proprio e del proprio gruppo di appartenenza. D’altra parte, in una prospettiva istituzionale, garantire le condizioni per una competizione aperta doveva costituire un obiettivo strategico primario per ogni comunità: più il bacino di attori e famiglie benestanti era ampio, più possiamo immaginare che fosse facile, per le istituzioni, ottenere una gestione oculata e onesta dei capitali pubblici in tempi sereni o fare appello a interventi economici importanti in momenti di crisi.

Da questo punto di vista, l’evidente sovrapposizione fra operatori pubblici e privati solleva una domanda cruciale sui rischi di un conflitto di interesse destinato a favorire certe famiglie, meglio organizzate come gruppi di potere, a scapito di altre. A tale rischio, è tuttavia la classe politica stessa e porre un freno istituzionale di natura giuridica, controbilanciando l’eventuale rapacità privata con un sistema di distribuzione delle responsabilità e delle pene comminate a chi metta a repentaglio il conseguimento degli interessi pubblici. Una lezione fondamentale viene in questo senso dalla capillare ripartizione delle responsabilità nella legge di Samo sulle forniture di cereali, ma un dispositivo legale ugualmente efficace emerge a Olymos, se si segue l’interpretazione qui proposta, in relazione alla clausola che fissa i limiti del divario fra gli interessi offerti al demos rispettivamente dagli affitti delle terre sacre e dal prestito di denaro pubblico ad amministratori privati. Grazie a questi accorgimenti, la gestione combinata degli interessi pubblici e privati non sembra precludere, almeno in linea di principio, l’accesso alla fruizione di vantaggi economici a un gruppo ragionevolmente ampio di “azionisti della polis” (o di una sezione demografico-territoriale di essa). A Olymos, abbiamo visto che le istituzioni operano finanziariamente ricorrendo a collegi di intermediari selezionati. Ciò permette (in caso di debito) di aumentare la somma percepita prolungando il tempo a disposizione per l’estinzione del debito; in ogni caso, tale pratica riduce il rapporto di dipendenza della comunità da un suo solo membro benestante, moltiplicando al contempo il numero di privati soddisfatti dalla possibilità di utilizzare capitali pubblici per i propri interessi economici. Nel sistema di acquisto e affitto, inoltre, emerge chiaramente come le regole della reciprocità (e. g., il commissario o testimone di una transazione potrebbe essere il propositore, il venditore e/o il locatario di un altro contratto) e il peso del prestigio sociale (cfr. l’esibizione della funzione sacerdotale) facciano da regolatori della partecipazione al mercato delle terre sacre e garantiscano che le parti coinvolte riconoscano non solo la legittimità degli scambi, ma anche dei loro operatori. Ugualmente, a Samo è ancora l’interesse ad accrescere il proprio capitale sociale a spingere un ampio numero di privati a sottoscrivere una richiesta di finanziamento pubblico con il quale la città intende mettersi al sicuro contro i rischi del caso e contro un conseguente sbilanciamento interno a favore di pochi dynatotatoi.

Alla luce di queste considerazioni, nei contesti esaminati sarebbe riduttivo qualificare le relazioni fra istituzioni e interessi privati come un equilibrio tra il tentativo dei gruppi di interesse di appropriarsi quanto più possibile delle leve del potere e la necessità, per la comunità, di mantenere aperto un numero adeguato di canali attraverso i quali, al momento del bisogno, scambiare supporto economico con visibilità e privilegi. Un quadro così delineato appare troppo astratto e statico, perché non tiene conto del fatto che le istituzioni non sono una realtà separata dai singoli gruppi di potere. Piuttosto, tramite le istituzioni pubbliche, le ‘élites’ economiche costruiscono una piattaforma negoziale che permette ai propri principali rappresentanti di consolidare la propria posizione e insieme di cooperare in nome degli interessi comuni, bilanciando così la competizione con un legame di reciprocità e di condivisa appartenenza alla classe dominante. Ne consegue che in situazioni normali – ovvero laddove non sopraggiunga una stasis, una frattura insanabile all’interno della classe politica – per i rappresentanti delle famiglie benestanti lo scontro aperto per il potere si presenterebbe come più dispendioso e meno efficace della scelta di riconoscere un legame di collegialità, per il quale più attori possono contribuire con le proprie risorse alla vita della comunità, ricavandone in cambio una parte proporzionale di status e potere.

In ultima istanza, quindi, la domanda fondamentale che dobbiamo porci è in che modo l’‘élite’ della città (o di una sua partizione) definisca le regole dell’economia pubblica al fine di assicurare ai propri membri la possibilità di partecipare e trarre profitto in modo stabile e duraturo. La legge di Samo sui cereali e, in modo ancora più dettagliato, le transazioni sulle terre sacre a Mylasa mostrano che in condizioni di ordinaria amministrazione, l’obiettivo di armonizzare gli interessi della classe dirigente di una comunità si raggiunge attraverso dispositivi economici che distribuiscono capillarmente (ancorché non equamente) la partecipazione dei privati al budget pubblico, limitando così il ricorso a somme ingenti messe a disposizione da singoli eccezionali benefattori. Al contrario, in situazioni di emergenza e crisi – determinate da fattori umani (guerre) o naturali (instabilità climatica e conseguente riduzione dei raccolti) – le istituzioni si trovano costrette ad accantonare temporaneamente questo sistema di ripartizione e a fare ricorso all’intervento salvifico di pochi protagonisti, o di uno solo. In questo senso, limitare e arginare preventivamente le contingenze con piani oculati costituisce un meccanismo cruciale per la stabilità della classe dirigente, percepita come fattore decisivo nella tutela della comunità nel suo insieme. Al contrario, sfuggendo a tali reti di protezione, i momenti di crisi acuta possono essere visti come fattori macro-economici cruciali nell’alterazione degli equilibri interni alle ‘élites’ e dunque nell’evoluzione socio-politica delle città ellenistiche. Riprendendo la metafora finanziaria proposta da Ampolo, possiamo dire che i grandi ‘shocks’, soprattutto politico-militari, della bassa età ellenistica offrirono agli “azionisti” più forti l’occasione di lanciare una scalata al potere all’interno della città. Gli effetti di questa interruzione nei meccanismi di bilanciamento interno alla classe dirigente avrebbero potuto essere limitati e temporanei, ma il crollo dei Regni (e dei loro meccanismi evergetici, tradizionali fattori di stabilizzazione esterni alla polis) fece sì che tali momenti di crisi divenissero sempre più ripetuti e prolungati. A sua volta, l’intervento di Roma trasformò tali crisi in risorse strategiche coerenti con i propri modelli di conquista e governo, improntati alla senatorizzazione delle classi dirigenti delle aree sottomesse.

Così generalizzata e strumentalizzata, la crisi si fa struttura, imprimendo cambiamenti definitivi e irreversibili a favore dell’affermazione di gruppi di protagonisti economico-politici sempre più numericamente limitati e internamente gerarchizzati.

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Online erschienen: 2025-11-11
Erschienen im Druck: 2025-11-07

© 2025 bei den Autorinnen und Autoren, publiziert von Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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Downloaded on 30.12.2025 from https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/klio-2025-0002/html
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