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La Mano: una lascivia di Michelangelo e i suoi effetti

  • Francesco Saracino

    Francesco Saracino è uno storico dell’immaginazione religiosa; ha al suo attivo vari saggi e alcune monografie, tra cui Il Messia a Parigi (2016) e Eros e Cristo (2019).

Published/Copyright: June 10, 2023
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Abstract

This essay presents the hitherto unknown copy of a drawing by Michelangelo representing a hand performing a lascivious act, and assesses the consequences of this invention in the artist's circle. It is an image that fits well into the burlesque tendencies of the Renaissance, and perhaps pertains to the ideology of the procreative artist; its scheme was even adapted to devotional and narrative contexts by some painters who observed the drawing among the papers of the “divine” – such as the Master of the Manchester Madonna, Battista Franco, and Girolamo Muziano. Michelangelo's Hand involved layered motivations and gives insight into some aspects of the master's imagination during his early maturity.

La mano di Michelangelo fu il titolo che rese celebre fra gli intenditori del XVIII secolo un disegno della collezione di Pierre Crozat che sembrava adattarsi bene a un episodio narrato da Ascanio Condivi nella Vita del ‘divino’. Secondo il biografo, il cardinale Raffaele Riario inviò un emissario dal giovane scultore allo scopo di osservare le opere in lavorazione, ma Michelangelo “non havendo che mostrare, prese una penna, percioché in quel tempo il lapis non era in uso, e con tal leggiadria gli dipinse una mano, che ne restò stupefatto”.[1] Il disegno di Crozat non era degno di tanto nome; passato al Louvre col nucleo più consistente dei fogli di Pierre Mariette, fu riferito ad Annibale Carracci, poi a Bartolomeo Passarotti e oggi non è più considerato in rapporto all’opera autentica del maestro.[2] Svanita l’occasione che ci avrebbe restituito la forma dell’arto stupefacente, vorremmo introdurre al suo posto un foglio che mostra palesi affinità con alcune immagini della cerchia del Buonarroti, e raffigura appunto una mano.

L’altra Mano di Michelangelo

A interessarci sarà un disegno della Biblioteca Ambrosiana di Milano che finora non ha suscitato alcun interesse fra gli specialisti di Michelangelo; il foglio contiene lo studio di una mano grande il doppio del naturale e di un braccio, e reca nella cartella l’attribuzione a Sebastiano del Piombo avanzata privatamente da Michael Jaffé nel 1962 (fig. 1).[3] Il disegno dell’Ambrosiana potrebbe effettivamente riguardare alcuni dipinti di Sebastiano condizionati da Michelangelo, come il braccio (sinistro, però) di Gesù nella Resurrezione di Lazzaro della National Gallery di Londra o la mano dell’Evangelista Matteo nella Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio, oltre a vari episodi della ritrattistica del veneziano (ad es., il Clemente VII del Museo di Capodimonte). Tuttavia, l’attribuzione al Luciani, pur suggestiva, è poco attendibile poiché non riconosciamo nel disegno milanese le ombreggiature vellutate e il ductus che contraddistinguono il corpus grafico del veneziano.[4]

1 Michelangelo (copia da), Studi per braccio e mano, ca. 1550, carboncino su carta, 35,3 × 19,8 cm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, n. inv. F 272 inf. 11
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Michelangelo (copia da), Studi per braccio e mano, ca. 1550, carboncino su carta, 35,3 × 19,8 cm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, n. inv. F 272 inf. 11

I rapporti del foglio con Michelangelo sono invece palesi; il braccio disteso richiama immediatamente quello di Dio nella Creazione di Adamo e gli studi superstiti relativi all’affresco della Volta Sistina,[5] mentre la mano con l’anulare flesso si accosta alla destra del Profeta Geremia e soprattutto del Mosè per la sepoltura di Giulio II (fig. 2), ma non vi trova un riscontro preciso, et pour cause.[6]

2 Michelangelo, Mosé (particolare), ca. 1513–1516, marmo. Roma, Basilica di San Pietro in Vincoli
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Michelangelo, Mosé (particolare), ca. 1513–1516, marmo. Roma, Basilica di San Pietro in Vincoli

L’importanza della Mano dell’Ambrosiana va aldilà del suo effettivo valore artistico. Gli argomenti che stiamo per avanzare inducono a ritenere il disegno come una copia da un foglio di Michelangelo eseguito verso il 1510–1511, ai tempi cioè della seconda campagna degli affreschi per la Volta Sistina. A nostro avviso, non si tratta del pastiche di un copista che raduna due spezzoni dell’immaginazione michelangiolesca, ma della replica di un’idea del maestro eseguita alcuni decenni dopo l’originale, la quale sortì effetti inattesi nella sua cerchia.

Un esame del foglio stabilisce con relativa sicurezza la sua condizione di copia. Oltre alla disposizione degli elementi, infatti, l’autore del disegno vuol restituire dettagli come le unghie quadrate e finanche il tratteggio di Michelangelo, ma la mimesi non è convincente al punto da far dubitare che si tratta di una copia; un secondo operatore è intervenuto successivamente, ripassando i contorni in alcuni punti e caricando le ombreggiature.

Come è noto, i disegni del ‘divino’ furono avidamente ricercati dai collezionisti durante la sua vita, e soprattutto dopo il 1564; attorno ad essi prosperava un traffico di copie e falsificazioni che implicò artisti famosi, quali Giulio Clovio e Federico Zuccari, o mestieranti, come Bernardino Cesari, e il fenomeno ancora oggi provoca imbarazzo fra gli specialisti.[7]

Il disegno dell’Ambrosiana versa in condizioni mediocri; il foglio è tagliato irregolarmente, reca delle integrazioni laterali e in vari punti la superficie è abrasa. Una cronologia attendibile è difficile da precisare, anche perché l’esame della carta non ha evidenziato la presenza di filigrana; il turgore della mano potrebbe denotare la formazione ‘manierista’ dell’artefice. Le mani di Michelangelo furono un buon esercizio per gli artisti del Cinquecento; un esempio eccellente di questa prassi è il disegno di Bronzino tratto dalla destra di Giuliano de’ Medici nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo (fig. 3), e non è da escludere che l’autore del foglio milanese appartenga a quest’ambito.[8]

3 Agnolo Bronzino, Studio di mano, ca. 1545–1552, carboncino su carta, 7,5 × 15,3 cm. Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, n. inv. 92.GB.40
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Agnolo Bronzino, Studio di mano, ca. 1545–1552, carboncino su carta, 7,5 × 15,3 cm. Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, n. inv. 92.GB.40

L’autore del disegno originale (secondo noi, Michelangelo) ha elaborato nei dettagli la mano e in un secondo tempo deve aver tracciato lo studio dell’arto superiore, come rivela anche nella copia la linea del polso che attraversa l’avambraccio di Dio. Questo fattore implica che la mano era stata inizialmente concepita come a sé stante e che solo in seguito la superficie libera fu utilizzata per un secondo intervento. Il rilievo di una mano così ingente in un foglio originariamente notarile (ca. 28 × 38 cm), e soprattutto il riconoscimento dell’atto che essa compie, fanno credere che essa non riguardi una composizione ulteriore, ma fu intesa all’origine come autonoma.

Rileviamo anzitutto la posizione inarcata dell’anulare, più lezioso rispetto allo stesso dito nel Mosè (fig. 2) e in rapporto alla soavità dell’operazione in corso. Tra l’indice e il medio, infatti, non si ravvisa la barba del profeta ma un rigonfiamento contornato da una corona che lascia indovinare un glande nascosto dalla veste e rilevato dal tratteggio. L’osservatore respinge inizialmente l’eventualità di una simile lascivia, ma essa si impone man mano che egli focalizza il nucleo effettuale del disegno e prende atto della sua plausibilità all’interno dell’immaginazione michelangiolesca.

Per giustificare un foglio così sorprendente occorrerà stabilire un contesto che lo renda ammissibile, e a questo scopo dobbiamo introdurre un’immagine di altro genere concepita nell’ambito diretto di Michelangelo.

Un’icona devota?

La Vergine col Bambino e S. Giovannino della Kress Foundation di New York (fig. 4) appartiene a un gruppo di dipinti che gli studiosi riferiscono ad un assistente di Michelangelo non ancora identificato con certezza, il Maestro della Madonna di Manchester.[9] Questo anonimo desume da Michelangelo gli ingredienti che innalzano le sue pitture al di sopra di una perizia esigua, e gli specialisti non hanno difficoltà a individuarvi derivazioni dai disegni, dai dipinti e dalle sculture del fiorentino. In effetti, la totalità dei prestiti riconoscibili nell’opera dell’anonimo non oltrepassa la fase di Michelangelo che si estende dalla metà degli anni novanta del Quattrocento fino al compimento degli affreschi per la Volta Sistina (autunno 1512).[10] Il riconoscimento del collaboratore, pertanto, riguarda gli assistenti entrati in rapporto col Buonarroti durante tale periodo, e specificamente nei primi soggiorni romani dell’artista (1496– 1501; 1506; 1508ss). Inoltre, se si eccettuano le derivazioni dal maestro, gli stilemi che qualificano la cultura visiva del nostro sono soprattutto riconducibili alla pittura ferrarese dell’ultimo Quattrocento. Tali fattori, considerati insieme, favoriscono l’identificazione del Maestro della Madonna di Manchester con Piero di Argenta avanzata da Michael Hirst e in seguito ripresa da altri;[11] rispetto a ulteriori candidature, questa proposta ha anche il vantaggio di corrispondere alla formazione che è presumibile per un artista noto con il toponimo di Argenta, la cittadina nei pressi di Ferrara.[12]

4 Maestro della Madonna di Manchester (Piero d’Argenta?), Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1511, tempera e olio su tavola, 69,8 × 48,6 cm. New York, The Samuel H. Kress Foundation, n. inv. K-1569
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Maestro della Madonna di Manchester (Piero d’Argenta?), Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1511, tempera e olio su tavola, 69,8 × 48,6 cm. New York, The Samuel H. Kress Foundation, n. inv. K-1569

La tavola Kress sembra a prima vista un’immagine come tante: in una loggia, la Vergine scruta nel libro delle profezie il destino del Figlio che siede su un seggio dalle zampe leonine installato sopra una pedana (un rimando al trono di Salomone e al titolo Figlio di David riferito a Gesù), e gioca con Giovanni.[13] In realtà, i piccoli sono presentati in una situazione che ha poco a che fare con i trastulli dell’infanzia; come nella Madonna Sistina, la tenda aperta indica che presenziamo alla rivelazione di un mistero.

Giovanni pone la destra sulla spalla di Gesù e lo indica con l’altra mano (ecce agnus Dei), sfiorandogli il mento. Tra le icone che il domenicano Giovanni Dominici raccomandava ai genitori per l’istruzione dei figli, infatti, “non nocerebbe se vedessi dipinti Iesu e il Battista, Iesu e il Vangelista piccinini insieme coniuncti”. Questo auspicio della Regola (ca. 1403) fu messo in opera dagli artisti fiorentini in rapporto ai primi due personaggi, e Leonardo immaginò anche un bacio fra i bambini.[14] Nessuno, però, aveva concepito quel che vediamo nella Vergine Kress: Gesù appoggia la mano sinistra coperta dal drappo sul braccio di Giovanni e la accosta al suo cuore, mentre con la destra vezzeggia il minuscolo glande.

Toccarsi o accarezzare il pisello è un gesto ammesso nell’iconografia dell’infanzia di Gesù; in rapporto al tema, Leo Steinberg ha raccolto degli esempi eloquenti, soffermandosi in particolare sulla Santa Famiglia con S. Barbara di Paolo Veronese agli Uffizi.[15] Da parte nostra, aggiungiamo due testimonianze antecedenti, una tavola del Giampietrino recentemente passata sul mercato, in cui Gesù si tocca mentre posa l’altra mano sulla spalla di Giovanni (fig. 5), e un tondo dello stesso Maestro della Madonna di Manchester, la Vergine, il Bambino e S. Giovanni della Akademie der Bildenden Künste di Vienna, dove Gesù accosta la sinistra all’inguine con un’evidenza dimostrativa (fig. 6).[16]

5 Giovanni Pietro Rizzoli, detto Giampietrino, Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1515, olio su tavola, 78 × 56,9 cm. Collezione privata (Londra [Sotheby's], 6 dicembre 2018, lotto 138)
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Giovanni Pietro Rizzoli, detto Giampietrino, Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1515, olio su tavola, 78 × 56,9 cm. Collezione privata (Londra [Sotheby's], 6 dicembre 2018, lotto 138)

6 Maestro della Madonna di Manchester (Piero d’Argenta?), Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1510, olio su tavola, diametro 66 cm. Vienna, Akademie der Bildenden Künste, n. inv. GG 1131
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Maestro della Madonna di Manchester (Piero d’Argenta?), Vergine col Bambino e S. Giovannino, ca. 1510, olio su tavola, diametro 66 cm. Vienna, Akademie der Bildenden Künste, n. inv. GG 1131

Il gesto del Bambino nella tavola Kress possiede una definizione che occorre meglio precisare. La mano destra di Gesù vezzeggia fra l’indice e il medio il glande coperto dal perizoma; egli prova piacere nei confronti del compagno che lo alletta con il gesto di ecce, allusivo al titolo di Agnello di Dio. In altri termini, assistiamo a un comportamento ben noto ai genitori, a una stimolazione infantile che, ricondotta al simbolismo dell’incarnazione trasmesso da queste immagini, è ancora ortodossa.

7 Michelangelo, Studi per una Vergine col Bambino, ca. 1500, inchiostro su carta, 28,2 × 21 cm. Berlino, Kupferstichkabinett, n. KdZ 1363
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Michelangelo, Studi per una Vergine col Bambino, ca. 1500, inchiostro su carta, 28,2 × 21 cm. Berlino, Kupferstichkabinett, n. KdZ 1363

Il dipinto della Kress Foundation rimonta, come sappiamo, alle idee di Michelangelo e Hirst ha aggiunto ai riferimenti già assodati il profilo della Vergine in un disegno del Kupferstichkabinett di Berlino (n. KdZ 1363; fig. 7).[17] Pertanto, è verosimile che la posizione dei bambini e il gesto di Gesù risalgano anch’essi a un’invenzione del maestro.

La tavola di New York è decisiva per la lettura del disegno dell’Ambrosiana. Se confrontiamo il

gesto del Bambino nella Vergine Kress e la mano nel foglio milanese, constateremo che questa è impegnata nello stesso esercizio di titillatio osservato nel dipinto, ma ora appartiene a un adulto. La disposizione dell’organo è uguale in entrambi i casi, e così il fallo velato[18] che nelle ‘lascivie’ del Rinascimento si associa a un tale diletto, come nel Giove e Semele di Marco Dente (fig. 8) o negli Amanti del Parmigianino (Bartsch, XVI, 14).[19]

8 Marco Dente, Giove e Semele, ca. 1515–1520, incisione, 28,2 × 20,2 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art, n. acc. 49.97.119
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Marco Dente, Giove e Semele, ca. 1515–1520, incisione, 28,2 × 20,2 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art, n. acc. 49.97.119

Il foglio dell’Ambrosiana testimonia a nostro avviso una soluzione di Michelangelo recepita da un collaboratore (il presunto Piero di Argenta) a cui erano accessibili le sue invenzioni, e che di fatto la utilizzò in contesti devozionali; egli infatti riprese la disposizione della Mano di Michelangelo in quella di Maria nella Vergine col Bambino della Pinacoteca Ambrosiana (fig. 9).[20] Senza voler asserire la dipendenza della Vergine Kress dall’originale del disegno, intendiamo sottolineare la fonte michelangiolesca dell’idea, comprovabile anche dai riscontri che effettueremo in seguito. L’equivalenza del gesto in due casi eccezionali ed entrambi connessi al Buonarroti indica che l’invenzione della Mano spetta al medesimo artista che alcuni anni prima tracciò il suo organo sbalorditivo per l’inviato del cardinale Riario.

9 Maestro della Madonna di Manchester (Piero di Argenta?), Vergine col Bambino (particolare), ca. 1511, tempera su tavola, 37,5 × 29,5 cm. Milano, Pinacoteca Ambrosiana, n. inv. 739
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Maestro della Madonna di Manchester (Piero di Argenta?), Vergine col Bambino (particolare), ca. 1511, tempera su tavola, 37,5 × 29,5 cm. Milano, Pinacoteca Ambrosiana, n. inv. 739

Burlesque

I temi dell’incarnazione del Verbo veicolati dal Maestro della Madonna di Manchester non sono ovviamente proponibili per il foglio dell’Ambrosiana e occorre spiegare altrimenti il significato di un’invenzione così atipica nell’opera di Michelangelo. A meno che la Mano non riguardi le fantasie di delectatio di una personalità introversa, e in tal caso l’episodio interesserebbe i biografi (e gli psicanalisti)[21] del fiorentino, è ragionevole interpretare il disegno in rapporto a una tradizione condivisa. Per un tentativo del genere, esistono alcune strade praticabili.

I conoscitori del Buonarroti scrittore non ignorano la nota burlesca che ogni tanto emerge nelle lettere e fra i suoi versi. Da quest’ultimo versante, i due componimenti più rivelatori appartengono al periodo della Volta Sistina. I sonetti che nell’edizione di Enzo N. Girardi recano i numeri 5 (I’ ho già fatto un gozzo in questo stento) e 10 (Qua si fa elmi di calici e spade) sviluppano i temi autobiografici e di denuncia che dal Burchiello in poi erano annessi a questo genere letterario;[22] in tali composizioni, gli accenti amari prevalgono di gran lunga su quelli faceti, e sono rari fra le Rime gli ammiccamenti osceni che impregnavano la tradizione burlesca, e che erano ben familiari al loro autore.[23]

La dimestichezza di Michelangelo con Francesco Berni riguarda un periodo posteriore rispetto alle immagini che consideriamo, ma è comunque indicativa delle frequentazioni letterarie del fiorentino. Berni ebbe a scrivere parole memorabili su Michelangelo nel capitolo che dedicò nel 1534 a Sebastiano del Piombo divenuto frate (Padre, a me più che gli altri reverendo), parole che il Buonarroti apprezzò al punto da rispondere con un componimento nello stesso metro indirizzato al poeta.[24] Ed è nel corpus di Berni, uno scapolo come Michelangelo, che incontriamo l’accenno più folgorante a quel remedio d’amore che emancipa i celibi dall’uso delle cortigiane:

Un dirmi ch’io gli presti e ch’io gli dia or la veste, or l’anello, or la catena, e, per averla conosciuta a pena, volermi tutta tôr la robba mia; un voler ch’io gli facci compagnia, che nell’inferno non è maggior pena, un dargli desinar, albergo e cena, come se l’uom facesse l’osteria; un sospetto crudel del mal franzese, un tôr danari o drappi ad interesso, per darli, verbigrazia, un tanto al mese; un dirmi ch’io vi torno troppo spesso; un’eccellenza del signor marchese, eterno onor del puttanesco sesso; un morbo, un puzzo, un cesso, un toglier a pigion ogni palazzo, son le cagioni ch’io mi meno il cazzo[25]

Gli scrittori antichi e gli umanisti che apprezzarono i vantaggi del piacere solitario riferivano le sue origini a Hermes e a Pan e uno degli esiti più felici della stagione laurenziana, la sfortunata Scuola di Pan di Luca Signorelli, fu inteso alla luce di questa tradizione da Robert Eisler in un saggio famoso.[26] Michelangelo avrebbe avuto illustri precedenti per avallare la sua lepidezza.

Le soddisfazioni del piacere nemico di Eros, indipendentemente dall’utile che ne trae uno scapolo, trovarono anch’esse spazio nell’immaginazione burlesca; da uno spoglio veloce del materiale, le allusioni a queste gioie sembrano infittirsi e diventare più esplicite nel corso del Cinquecento. I versi di un sonetto del senese Angelo Cenni, il Risoluto (prima metà del XVI secolo), serviranno a esemplificare la topica:

Vera sembianza al viril membro humano, morbido, grosso, e lungo di misura, quantunque proprio non mi fa natura, ma ben dotto maestro, e dotta mano. Son menato, e pentato, hor forte, hor piano: […][27]

Non è questo il luogo per approfondire le funzioni assunte nel Rinascimento dalla lirica antipetrarchesca, specialmente in rapporto alle sue virtualità liberatorie rispetto alle costrizioni (letterarie, rituali, sociali…) che appartennero a quella civiltà. Per i nostri scopi, si potrebbe adattare con cautela una tesi di Michail Bachtin, e sostenere che l’effetto compensatorio dei generi scurrili in quest’epoca corrisponde a un processo che trasferisce nella sfera individuale gli eccessi e gli sfoghi collettivi legati alle pratiche carnevalesche del Medioevo.[28] E, in definitiva, non sarebbe difficile stabilire un legame tra le pressioni di varia natura che Michelangelo subì durante gli anni della Volta Sistina e il sollievo ricercato nei versi burleschi o nella delectatio della Mano.

Il foglio dell’Ambrosiana, d’altra parte, potrebbe traslare in termini faceti l’identità di un uomo che dichiarò di aver per moglie la sua arte, e riferirsi pertanto alla topica dell’artista procreatore illustrata da Ulrich Pfisterer.[29] L’associazione implicita nel Risoluto fra il membro ben usato e lo strumento di ogni pittore, il pennello (v. 4: ma ben dotto maestro, e dotta mano), fu familiare agli umanisti che leggevano Cicerone,[30] ed era ben stabilita fra i rimatori burleschi;[31] inoltre, un artista devoto a Michelangelo come il Bronzino dedicherà a questo eufemismo un capitolo detto appunto del pennello.[32] Pistoia, Berni, Caccia e Aretino connotano l’esercizio amatorio con il ricorso alle pratiche del pennello nell’esecuzione dei quadri, e dello scalpello per le statue; in aggiunta, Bronzino vi associa l’analogia fra arte e natura che fu tipica degli umanisti (vv. 31ss: E’ non è fra cristiani arte più viva/di quella in che si mescola il pennello, /ovunque l’arte alla natura arriva), e accosta il pennellomembro al potere creativo di Dio (vv. 91s: O cosa benedetta e singolare /tu ci fai, come Dio, tornare al mondo).[33]

In senso inverso, il membrum virile potrebbe traslare nel foglio dell’Ambrosiana l’esercizio creativo del pennello (entrambi al servizio della ‘dotta’ mano) ed essere assimilabile perciò all’azione di Dio. La correlazione che osserviamo nel disegno fra la mano che muove il membro (metafora del pennello) e il braccio del Creatore di Adamo non sarebbe in tal caso fortuita, ma scaturirebbe dalla fantasia associativa di un pittore addestrato a concepire la sua arte come un’imitazione di Dio, l’Artista supremo.[34]

Per quanto riguarda il valore creativo attribuito alla mano è infine da registrare l’abitudine umanistica di evidenziarla come causa efficiens nei ritratti o negli autoritratti degli artisti, e ricordare in tal senso la sua emergenza nell’effigie che Jacopino del Conte dedicò a Michelangelo (fig. 10).[35]

10 Jacopino del Conte (o Daniele da Volterra?), Ritratto di Michelangelo, ca. 1545 (?), olio su tavola, 88,3 × 64 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art, n. acc. 1977. 384.1
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Jacopino del Conte (o Daniele da Volterra?), Ritratto di Michelangelo, ca. 1545 (?), olio su tavola, 88,3 × 64 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art, n. acc. 1977. 384.1

A causa della deriva ermeneutica sempre possibile in casi del genere è bene arrestarsi in tempo, e non senza manifestare qualche sorpresa davanti a un’immagine che smentisce uno degli aspetti più riconosciuti della visione di Michelangelo. La tensione erotica che spingeva l’artista verso la bellezza intellegibile è qui sminuita al puro tactus, vale a dire al livello più basso per un neoplatonico come lui.[36] Non c’è bisogno di ricorrere alla psicanalisi per spiegare l’eccezione, perché la Mano rientra fra i temi faceti più diffusi del Rinascimento e questa ‘lascivia’ potrebbe inoltre riguardare il motivo dell’artista ‘procreatore’ che fu caro agli umanisti. In definitiva, il disegno dell’Ambrosiana conferma il fattore ludico che emerge a tratti nella personalità di un fiorentino a cui piaceva ‘uccellare’ (e che gli costò da ragazzo la rottura del setto nasale)[37] e non toglie nulla alle intenzioni di un artista che fece del superamento degli istinti e dell’ascesa a Dio uno fra gli obiettivi della sua ‘poetica’.

Una formula

L’originale della Mano sarebbe un hapax nella produzione di Michelangelo se non esistesse un’altra immagine che esplicita l’azione del foglio dell’Ambrosiana entro un contesto questa volta moralistico. Il cosiddetto Sogno della vita umana (Londra, Courtauld Gallery, n. inv. D 1978.PG.424) è fra i “disegni di presentazione” del maestro di cui ignoriamo il destinatario, ma che fu eseguito contestualmente ai celebri fogli per Tommaso Cavalieri. Un araldo celeste squilla la tromba e risveglia alla vita soprannaturale un giovane che, avvinto alla sfera instabile del mondo fondata sulla menzogna (le maschere in basso), è ancora accerchiato dalle fantasie nebulose dei sette peccati. La sequenza dei vizi capitali dedicata alla lussuria (la seconda da sinistra) si compone di quattro accoppiamenti diversi che per la loro evidenza suscitarono in passato la censura di uno dei proprietari del foglio. Scrutando da vicino la zona del disegno offuscata da un tratteggio spurio fra le figure distinguibili, a malapena si ravvisano due falli eretti e appartenenti a una coppia di uomini, di cui uno masturba il partner; per i nostri scopi sarà utile osservare una delle incisioni cinquecentesche tratte dal foglio, in cui il dettaglio è invece leggibile (fig. 11).[38]

11 Nicolas Beatrizet (già attribuito) da Michelangelo, Il sogno della vita umana, ca. 1540, incisione, 43,5 × 29,3 cm. Berlino, Kupferstichkabinett, n. inv. 142-19
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Nicolas Beatrizet (già attribuito) da Michelangelo, Il sogno della vita umana, ca. 1540, incisione, 43,5 × 29,3 cm. Berlino, Kupferstichkabinett, n. inv. 142-19

Il Sogno testimonia che all’occorrenza il suo autore non si astenne dalle oscenità, specialmente per riprovarle;[39] nel disegno Courtauld, tuttavia, Michelangelo non illustra il vizio solitario ma piuttosto l’eros omosessuale, come fece in maniera più castigata nella coppia degli ignudi allacciati nel fondo del Tondo Doni.[40] Alla Mano dell’Ambrosiana si avvicina di più, anche formalmente, un altro episodio connesso alla cerchia michelangiolesca.

Alludiamo a un foglio del British Museum che durante l’Ottocento fu assegnato al Buonarroti ed è oggi unanimemente restituito a Battista Franco.[41] Il disegno raffigura un giovane che si stuzzica a proprio agio, e la situazione impudica è appena attenuata dal rimando mitologico per cui fu predisposta (fig. 12). Infatti, si tratta di uno studio preliminare per una ‘favola’ di Franco di ignota destinazione, Giove, Venere e Mercurio conservato al Museo de Arte di Ponce (Puertorico):[42] all’arrivo di Venere e Amore annunciati da Mercurio, il sovrano dell’Olimpo è colpito da una ventata di lussuria (fig. 13). Nonostante la metamorfosi, non si fatica a ricondurre il gesto di Giove alla Mano che trent’anni prima il Maestro della Madonna di Manchester aveva utilizzato in tutt’altro contesto (fig. 4).

12 Battista Franco, Studio di giovane, ca. 1550, carboncino su carta, 36,5 × 26,3 cm. Londra, The British Museum, n. inv. Pp, 2.123
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Battista Franco, Studio di giovane, ca. 1550, carboncino su carta, 36,5 × 26,3 cm. Londra, The British Museum, n. inv. Pp, 2.123

13 Battista Franco, Giove, Venere e Mercurio, ca. 1550, olio su tela, Ponce (Puertorico), Museo de Arte, n. inv. 62.0343
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Battista Franco, Giove, Venere e Mercurio, ca. 1550, olio su tela, Ponce (Puertorico), Museo de Arte, n. inv. 62.0343

Battista Franco fu raggiunto a Venezia dall’ondata di michelangiolismo che negli anni trenta travolse la Penisola, e decise di orientare il suo cammino sull’astro del Buonarroti.[43] Anche lui, al pari del Maestro della Madonna di Manchester e di altri (Sebastiano del Piombo, Antonio Mini, Marcello Venusti, Daniele da Volterra, Michele Alberti, Jacopo Rocchetti, ecc.) ebbe accesso alle invenzioni del ‘divino’, talché, “datosi a cercare, non rimase schizzo, bozza o cosa, non che altro, stata ritratta da Michelagnolo, che egli non disegnasse”.[44] Alle indicazioni di Vasari relative alla Battaglia di Montemurlo (ca. 1537; Firenze, Galleria Palatina, n. inv. 1912, n. 114; qui appare la prima ripresa in pittura del Sogno), possiamo aggiungere che Franco frequentò Tommaso Cavalieri e che dai disegni offerti da Michelangelo a quest’ultimo egli trasse molteplici spunti. Inoltre, abbiamo motivi per ritenere che il veneziano avesse accesso alle carte del maestro nella casa di Macel de’ Corvi o altrove;[45] pertanto, egli avrebbe potuto conoscere l’originale della Mano.

Resurrezione-erezione

Una copia e alcune derivazioni restano perciò a testimoniare la notorietà che ebbe la Mano nella cerchia di Michelangelo. Le riprese accostabili al disegno dell’Ambrosiana lasciano credere che il foglio autentico sia rimasto a lungo disponibile, e non sappiamo se fu tra quelli ‘donati’ al fuoco dal maestro prima di morire.[46] In ogni caso, l’idea si era tradotta in una soluzione replicabile in vari contesti.

Fino a pochi anni fa gli storici dell’arte ignoravano (o fingevano di ignorare) gli aspetti di natura erotica che fanno capolino nei dipinti del Rinascimento, e in alcuni casi questo retaggio puritano si manifesta ancora. Per restare nell’ambito a cui ci ha assuefatti la Mano, potremmo indicare a riprova uno dei capolavori del Correggio, la cosiddetta Antiope del Louvre, dove un satiro scopre la nuda Venere con la mano destra, mentre si dà il piacere con la sinistra; nella letteratura che ci è nota sul quadro non appaiono accenni a questo particolare, che è invece decisivo per intendere sia l’immagine di Correggio sia le emozioni dei suoi primi osservatori. Eppure, Johannes Wilde indicò giustamente la fonte michelangiolesca del satiro, disposto come Adamo nel Peccato originale della Volta Sistina che, noi aggiungiamo, è anch’egli in statu erectionis.[47] Se questo vale per una delle lascivie più note del Cinquecento, sarà facile spiegarsi perché tali aspetti sono automaticamente rimossi quando compaiono nelle opere di autori meno illustri, specialmente se di soggetto sacro. Dopo aver verificato in tal senso le coincidenze fra la Mano dell’Ambrosiana e la Vergine Kress, vogliamo concludere accennando a un altro dipinto in cui affiora l’influenza del disegno.

Al di fuori dell’ambito diretto del Buonarroti finora riscontrato, la formula della Mano fu infatti impiegata da Girolamo Muziano nella Resurrezione di Lazzaro della Pinacoteca Vaticana (ca. 1555) in rapporto all’accostamento simbolico fra resurrezione ed erezione ben stabilita nell’iconografia del soggetto.[48] In quest’opera, lo schema della Mano funziona al di là degli aspetti erotici che gli erano associati nella cerchia del Buonarroti, mail campo è il medesimo; al fine di appurare il ritorno in vita dell’amico di Gesù, uno degli assistenti palpeggia i genitali di Lazzaro per verificare e accrescere la forza recuperata al risveglio (fig. 14). Questo dettaglio fu il risultato di una consapevole elaborazione da parte di Muziano; infatti, un foglio del Louvre (n. inv. 5094 recto) presenta la scena come doveva apparire quando fu sottoposta al committente per ottenerne il placet.[49] La composizione è identica, ma nel disegno la mano dell’assistente è dislocata al fianco di Lazzaro; tale circostanza implica che il gesto definitivo fu un ‘pentimento’ di Muziano effettuato dopo la presentazione del progetto, e forse derivò dalla conoscenza della Mano avvenuta nel frattempo.

14 Girolamo Muziano, Resurrezione di Lazzaro (dettaglio), ca. 1555, olio su tela, 295 × 440 cm. Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, n. inv. 368
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Girolamo Muziano, Resurrezione di Lazzaro (dettaglio), ca. 1555, olio su tela, 295 × 440 cm. Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, n. inv. 368

Una liaison di Michelangelo con la Resurrezione di Lazzaro è certa; secondo la Vita scritta dal confessore di Muziano e la biografia dell’artista redatta da Giovanni Baglione, il ‘divino’ apprezzò vivamente la grande tela esposta nel Palazzo di San Marco e spianò così la strada del successo al pittore; forse riconobbe la Mano di tanti anni prima.[50]

* * *

Una serie di convergenze fa ritenere che il foglio dell’Ambrosiana presentato in queste pagine non è il pastiche di un imitatore di Michelangelo. A nostro avviso, si tratta di una testimonianza indiretta ma non trascurabile dei pensieri del fiorentino intorno al 1510–1511. L’immagine si inserisce bene fra le tendenze burlesche del Rinascimento e forse attiene all’ideologia dell’artista procreatore; il suo schema fu adattato a contesti devozionali e narrativi da alcuni artisti che videro il disegno fra le carte del ‘divino’. La Mano implica motivazioni stratificate e potrebbe offrire anche degli spunti per accedere alle Männerphantasien di Michelangelo durante la prima maturità.

About the author

Francesco Saracino

Francesco Saracino è uno storico dell’immaginazione religiosa; ha al suo attivo vari saggi e alcune monografie, tra cui Il Messia a Parigi (2016) e Eros e Cristo (2019).

  1. Fonti delle immagini: 1 © Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Milano. — 2, 6, 9, 14 Foto dell’autore. — 3 © The J. Paul Getty Museum, Los Angeles. — 4 © The Samuel H. Kress Foundation, New York. — 5 © Sotheby's 2018. — 7 © Staatliche Museen zu Berlin, Kupferstichkabinett /foto: Jörg P. Anders (CC BY-NC-SA 4.0). — 8, 10 © The Metropolitan Museum of Art, New York. — 11 © Staatliche Museen zu Berlin, Kupferstichkabinett /foto: Dietmar Katz (CC BY-NC-SA 4.0). — 12 © The Trustees of the British Museum, Londra. — 13 URL: https://hadrian6.tumblr.com/ (data dell’ultimo accesso 27 novembre 2022).

Published Online: 2023-06-10
Published in Print: 2023-06-27

© 2023 Francesco Saracino, published by De Gruyter

This work is licensed under the Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

Downloaded on 9.9.2025 from https://www.degruyterbrill.com/document/doi/10.1515/zkg-2023-2003/html
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