Abstract
The article represents an attempt to reconsider the exceptional linguistic status of the manuscript Esp. 44 in the Bibliothèque nationale de France, containing the Old Catalan translation of Jacopo da Varazze’s Legenda aurea. First studied by Joan Coromines, its language appeared remarkably conservative and vernacular to the great philologist, however now, more than a half-century after his judgment, the comparison with other products of what has been defined the earliest Catalan scripta leads to relativize linguistic traits of the Parisian manuscript. In particular, it is shown that the manuscript 713 in the library of the University of Barcelona is also distinguished by its linguistic features, and yet it is studied here for the first time.
1 Introduzione
Gli studi recenti di Lola Badia, Joan Santanach e Albert Soler (2009; 2010; 2016), orientati anche a superare l’annosa dicotomia tra arcaismo e dialettalismo lulliani, hanno avuto il pregio di individuare un gruppo di manoscritti, redatti a cavallo tra i secoli XIII e XIV, che, in luogo di queste ultime categorie abbastanza limitative, lascia intendere alcuni caratteri comuni di quella che gli studiosi hanno identificato come la prima scripta libraria catalana (Badia/Santanach/Soler 2010, 62–66).[1] Tra i testimoni che contribuiscono a queste stesse modalità grafiche e linguistiche troviamo il codice segnato esp. 44 della Bibliothèque nationale de France, reso celebre per la ricognizione dai contorni quasi eroici di Joan Coromines nel 1939, il primo a sostenere l’origine oltrepirenaica della traduzione ivi compresa della Legenda aurea di Iacopo da Varazze; una supposizione rilanciata più tardi da due allievi del grande filologo, Charlotte S. Maneikis Kniazzeh e Edward J. Neugaard, e fissata per sempre nel titolo della sua edizione (parziale) del 1971: Vides de sants rosselloneses.[2] È oggi evidente, grazie pure agli interventi già menzionati di Badia, Santanach e Soler, che una localizzazione di questo tipo risulta difficilmente dimostrabile, soprattutto per la convenzionalità di certi tratti – penso, a esempio, agli arcinoti occitanismi – che al tempo dovevano avere una diffusione ben più larga e meno indicativa, se non altro, della spontaneità che Coromines (1977, XIII) credeva di scorgere nel manoscritto parigino; un’impressione che dipendeva allora, chiaramente, dal ritardo nell’edizione proprio di quei documenti in prosa che oggi rivelano alcune costanti della sopradetta scripta primitiva. Nello specifico, il confronto in questa sede del codice esp. 44 (d’ora in avanti P) con un altro testimone della tradizione varagina, il 713 dell’Universitat de Barcelona (Ba), porterà auspicabilmente a ripensare lo status linguistico eccezionale del testo celebrato dal grande filologo; lo spoglio del secondo, infatti, guadagnerà sul piano teoretico una prova ulteriore della più antica tradizione scrittoria catalana, mentre su quello pratico procurerà un paragone convincente per la forma di una nuova edizione della Legenda volgarizzata, altrimenti detta Flos sanctorum nella Penisola Iberica.
2 La tradizione del testo
Come si è cercato di dimostrare altrove (cf. Gesiot 2018), il manoscritto P riproduce un esemplare β, a sua volta discendente dal subarchetipo α, collaterale al secondo ramo dello stemma codicum, quello che vede Ba come unico testimone: l’esemplare di Parigi condivide infatti una particolare serie di errori con tutti i testimoni della tradizione, a eccezione del barcellonese, e alcuni più specifici con il codice M della Real Academia de la Historia di Madrid. In base a un approccio interpretativo di tipo neolachmanniano, sintetizzato dallo stemma qui di seguito, è quindi possibile riconoscere il primato testimoniale del manoscritto Ba:

Il fatto che il codice parigino occupasse una posizione subalterna nell’ambito della tradizione testuale era già stato ipotizzato in base ad altri criteri, più e meno solidi, dallo stesso Coromines (1971a, 283): «fins aquí només resulta necessari d’admetre un original, del qual el nostre manuscrit fóra còpia directa; però algunes errades s’explicarien millor com a resultat de dues còpies successives, de les quals només coneixeríem la darrera». A spiccare è invece il pregio del suo allestimento, coerente con l’ispirazione dei codici latini (cf. Gimeno Blay 1991, 231–232): grande formato, supporto pergamenaceo, iniziali riccamente decorate (miniatura o filigrana) con antenne estese talvolta lungo tutto il margine; al contrario di Ba, un manoscritto misto di dimensioni più ridotte che presenta tutta una serie di irregolarità nelle proporzioni dell’area di scrittura (cf. Avenoza/Soriano 2007, 192–193).[3] È dunque deducibile all’istante, insieme forse alla diversa destinazione d’uso, la cronologia nettamente divergente dei due testimoni: secondo Coromines (1971a, 282–283) la gotica corsiva di P non potrebbe risalire oltre gli inizi del Trecento, mentre Zinelli (2009, 269) ha optato più di recente per una datazione a cavallo dei due secoli; ancora quest’ultimo (ib., 269 n. 22) ha giustamente focalizzato la tipologia delle iniziali di Ba, che rimanda perlomeno alla fine del Trecento, se non agli inizi del Quattrocento, come pure l’impiego della lettera bastarda.
3 Problemi e metodi
Nonostante la seriorità, già Balaguer i Merino (1881, 57) aveva notato in Ba una discrasia alquanto interessante tra lingua e grafia del manoscritto: «consisteix dit ms. en un códice en paper y vitela interposada, de 296 fóleos, escrit ab lletra del segle XV, si be lo llenguatge apar esser mes antich». In effetti, come si avrà modo di dimostrare più avanti, le soluzioni linguistiche di quest’ultimo appaiono difficilmente compatibili con la norma cancelleresca, da tempo produttiva in tutto il territorio catalano;[4] una koinè che, d’altra parte, troviamo ben rappresentata in altri documenti agiografici presi qui a paragone, tutti risalenti alla seconda metà del Trecento (cf. Batlle 1962; Alturo i Perucho 1985, 1989). Il copista del codice barcellonese, invece, deve aver riprodotto in maniera abbastanza passiva il suo modello, come suggeriscono, oltre al conservatorismo, diverse banalizzazioni sue proprie o ripetute distrattamente: «fo perseguit [...] en Tolosonica» 157v°b (per Tessalònica); «mars de Galilea» 179r°a (per Galícia); «libre missal» 223v°a (per Mitral); «part [...] còmica» 265r°a (per econòmica, con riferimento a Boezio), etc. Al contrario P mostra dall’inizio «l’activitat d’un o diversos copistes rejovenint o reduint al tipus comú la llengua arcaica i dialectal del traductor (Coromines 1971 a, 284), un proposito che, a ogni modo, sembra venir meno progressivamente entro il primo terzo del manoscritto. È questo un dato di notevole rilievo, che, a mio avviso, gli editori moderni non hanno rimarcato a sufficienza in sede ecdotica; la lingua del codice parigino, infatti, è il risultato di almeno due diasistemi diversi, se non addirittura contrapposti, quindi un fattore trascurato dagli interessi più spiccatamente lessicografici dei due editori. Anche per rispondere a questa esigenza di precisazione, si offrono di seguito i risultati dello spoglio dei due testimoni, condotto su un totale di 25 capitoli del leggendario.[5] In maniera coerente con l’impostazione ragionata di questo studio ci si limiterà a esemplificare in senso contrastivo i fenomeni caratteristici di Ba (P è già stato descritto), omettendo così tutta una serie di tratti piuttosto comuni e riconducibili al catalano generale;[6] inoltre, non si rimanderà che in maniera generica a quegli elementi, magari distintivi e arcaizzanti rispetto ai restanti testimoni (Es, M, V), che vedono un accordo tra P e Ba.
4 Spoglio linguistico
4.1 Grafia
Il digramma ch con valore di occlusiva velare è specifico di Ba in posizione finale, o prima del morfema del plurale -s: loch 11v°a, arch 49v°b, sech 50r°a, sanch 54r°a, entichs 80r°b, correch 110r°b, pusch 110r°b, amichs 162r°b, richs 167r°a, foch 180v°b, dich 207r°a; bosch 236v°b (ma boscatge), etc.;[7] in corpo di parola, d’altra parte, oscilla nei cultismi tanto in Ba come in P: patriarcha 8v°a, 161v°b, Pascha 180v°a (ma Pasca 153r°a), archabisbe 245r°a (ma arcabisbat 182r°b), etc. Esclusivo di P il digramma gu per la velare sonora, che Ba rende con g davanti ad a: carregades 9r°b, vegada 180v°a, pagat 182v°a, albergava 204v°a, biga 237v°a, pagà 246r°b (da paganus), etc.; ma anche davanti a e: verges 10v°b, 264r°a (da virga), brages 28v°a, veger 54v°b, clerges 80v°b, clerge 169r°a, 206v°b, sinagoges 224v°a, etc.
Quanto alla nasale palatale, e in linea con il processo normativo di fine Trecento (cf. Par 1928, 11), è nettamente esteso in Ba l’impiego del digramma ny, che P alterna con yn e, in posizione intervocalica, soprattutto con y: gasany 8v°b, any 29r°a, Senyor 50v°b, vergonya 110r°b (ma vergoya 204v°a), senyer 167r°a, senyal 167r°b (ma seyal 54r°a), estany 204v°a, lenya 238r°a, anyel 244v°a (ma ayela 53v°a), cunyat 245r°a, strany 271r°a, etc.
Sempre in ambito palatale, mentre in P il digramma ll è pressoché irreperibile (rarissime eccezioni, sempre per ll latino), Ba esprime la consonante laterale sia con la grafia l che con ll, quando il parigino ammette solo la prima, che alterna con yl: cavallers 9v°b (ma cavaleria 245r°a), apperellat 29r°a, trebalat 49r°a, batala 49r°b (ma batalles 50r°a), ulls 49v°b, capelà 55r°a, aurelles 80v°a, belesa 160v°a, consellers 162r°a, muller 167r°a, maravellat 206v°b, despulà 223v°a, etc. in corpo di parola; treball 10r°b, peril 28v°a, caval 50v°b, anell 55r°a, mantell 110r°b, vela 149r°a (da vecla), flagel 180v°b, consel 237v°b, etc. in fine di parola.
È invece generalmente regolare, in maniera indipendente dalla posizione, l’impiego da parte di Ba di tg davanti a e, i in luogo dell’affricata palatale sonora, quando P oscilla tra tg e ty: putanatge 8v°b, coratges 28v°r, hermitatge 110r°b, linyatge 148v°a, jutge 148v°b, missatgera 166v°b, yretges 180v°b, boscatge 236v°b, metgamens 246r°a, etc.[8]
Com’è noto, il catalano del basso Medioevo è interessato da un lento processo di deaffricazione dell’alveolare sorda proveniente da ce, ci e tj latini, consonante normalmente rappresentata con c, ç e z, ancora impiegate da P, seppure con le prime irregolarità (cf. Coromines 1976, vol. 1, 14–17). In maniera più netta, e a riprova di una crescente incertezza e di una forma grafica più avanzata, Ba ricorre più spesso di P alla grafia s, risultato di una confusione inevitabile con la fricativa: sercla 80v°a, sinta 179r°b, senra 180v°a (ma cenra nello stesso folio), silici 205r°b (ma cilicis 270v°b), sercar 246v°b (attenzione all’ipercorretto ceda 167r°a da seta), etc.;[9] in posizione intervocalica, dove non si impiega più z, si incontrano cansellaria 28v°a, jovensel 54r°a, jusesi 54r°b, licènsia 55r°a, ensesa 144v°b, consebech 167r°b, reconsiliar 206v°a, venser 246v°b, forsassen 247v°a, etc.[10] Il segno ç resiste soltanto nelle cristallizzazioni del tipo di aço 9r°a (da ecce hoc), merçè 28v°b, ço 54v°a, càrçer 110r°b (ma encarcerat 10r°b), çel 151r°b.
Per quanto riguarda il digramma tz, questo poteva significare in P, alla maniera dell’occitano, un’affricata alveolare in fine di parola (virtutz, sotz) e composti (sotzarrar da subarrare), oppure la stessa consonante nei termini suffissati in -itzar.[11] Ba, invece, nel primo caso risponde sempre con la soluzione catalana ts: solts 10r°b, morts 53v°b, beniffets 54r°a, nuyts 80r°b, sapiats 110v°a, etc.; mentre nel secondo, oltre che in alcuni semitismi, riferisce più spesso la stessa affricata che il copista del parigino percepiva forse come spirante: Helietzar 148v°a, profetitze 149v°a, profetitza 150v°a, natzareu 237r°b, Etzexiel 244r°a, etc.
Se per un verso è evidente la tendenza di Ba a normalizzare la corrispondenza suono-segno, mentre il codice parigino risulta soggetto a oscillazioni, il primo dei due si riferisce a una regola più lontana dal modello latino ecclesiastico. Tra i nessi consonantici ancora testimoniati da P e in seguito ridotti da Ba troviamo infatti particolarmente ct: benedicció 110v°a, resurrecció 166v°b, perfecció 205v°a, eleccions 205v°b, etc.; e ph: profetitzaren 149v°a, blasfèmia 205v°b, Soffia 224r°b, proffetes 237r°a, Cleoffas 246r°a, etc.; d’altro canto, il copista del manoscritto di Barcellona è più portato a restituire le geminate del latino pp, ff e rr, altrimenti scempie in P e, talvolta, pure in catalano generale: appellat 50v°b, apperellà 54r°b (ma aparelament 148v°a), correch 110r°b, terriblament 167r°a, soffrí 167v°b, apparech 170r°a, carrer 180v°b, soffrir 206r°b, carretes 223v°a, offici 245v°a, etc. Sono altrettanti i casi di ff ipercorrette: beniffets 54r°a, Luciffer 150v°b, nafframent 205r°b, artiffici 223v°a, filòsoffes 263v°b, etc.
4.2 Fonetica
4.2.1 Vocalismo
Nell’ambito del vocalismo tonico il testimone Ba si distingue anzitutto per alcune prove significative di resistenza alla monottongazione del gruppo secondario ai nelle forme evolute da habeo, attraverso il latino volgare *aio, tanto nelle sue numerose attestazioni isolate («eu ey garda ab mi» 54r°b, «eu ey pregat Déus per tu» 153v°a, etc.), quanto in quelle comprese nei futuri analitici del tipo farey < farai < *faraio 78r°a, porey 78v°a, tornarey, aurey 149r°a, starey 161r°b, farey 167v°a, exausirey 179v°a. La tabella che segue può dare un’idea della frequenza di questo fenomeno rispetto a P, dove pure è attestato:[12]
P | Ba |
ay/ey 11r°a, 129r°a, 135r°b, 177v°a, 179r°a | ey/hey 54r°b, 78r°b, 110v°b, 111r°b, 153r°b, 153v°a (2 casi), 160v°a, 160v°b, 161r°b, 168r°b, 169r°b, 179v°a, 182v°a |
Quindi il suffisso verbale -é del futuro rimpiazza -ei in maniera analoga a quanto succede alla prima persona del presente indicativo sé < sei < *saio (cf. Moll 2006, 138), che pure riemerge in Ba, dove si legge sey 206r°a. Si tratta di un cambiamento che, nei documenti del Rossiglione, più conservativi rispetto a una norma condivisa pure con l’occitano (cf. Fernández 1985, 355–356), non si realizza del tutto prima della fine del XII secolo (cf. Rasico 2006, 97–98), quando, negli stessi documenti, il dittongo ai < -ari- era già ridotto in e da due secoli, tanto da risultare una marca segnatamente occitana di P: fogayros 127v°b, cavalayria (atono) 151v°a, 227v°b.[13]
Se possiamo citare questa variante come un primo riscontro per la genuinità della patina provenzaleggiante di P, o meglio del suo carattere strutturale, la persistenza del dittongo primario au è indicativa di un influsso del modello oltrepirenaico più esteso e filtrante, per cui è necessario un discorso articolato: in quanto tratto saliente della produzione in lingua d’oc e insieme di quella latina, au rimane decisamente competitivo fino al termine del Duecento in ambito colto, resistendo così alla riduzione in o anche nelle aree distanti del dominio catalano (cf. Diéguez Seguí 2001, 46; Martí i Castell 2002, 9). Il settore delle scritture religiose in prosa lascia intendere quindi un recesso significativo della forma dittongata già nella prima metà del Trecento, per scomparire del tutto entro la fine del secolo;[14] tuttavia, Ba presenta ancora un ampio campionario di forme quali causa, aur, gaug, tresaur, pauch, più diffuse rispetto ai corrispettivi monottongati e oltretutto in opposizione all’esigenza correttoria mostrata dal redattore della prima parte di P, di qui in avanti indicata con P1. Si proverà a descrivere questa condizione nella tabella successiva, dove sotto P1 sono raccolti i loci desunti dai capitoli dedicati a Nicolau (9r°b–12r°b), Tomàs de Conturbera (25v°b–27r°a), Antoni (40r°a–41v°b), Agnès (44r°a-v°b), Juliana (67r°a-v°a) e a La cadira de sent Pere (67v°a–69r°a):[15]
P 1 | Ba |
paucs 9v°b | causas 9v°a, causa, aur 9v°b, gaug 11v°a, paubres 28v°a, causa, causes 28v°b, causes 48v°b, paubres 49r°a, aur 49r°b, causa 49v°b, gaug 50r°b, causes 53v°b, aur, tresaur 54r°a, causa, gaug 54v°a, pauch 78v°b, etc. |
A partire dal capitolo dedicato a Maria egipcíaca (P 92v°a–93r°b) – tra quelli considerati – si annulla la discrepanza tra i due manoscritti, in quanto, tolte poche oscillazioni, hanno la meglio in entrambi le forme dittongate; questo per quanto riguarda i latinismi, perché di fronte al derivato germanico honta (da haunitha) Ba presenta regolarmente il monottongo, a differenza di P, che reca sempre aunta.[16] In merito a questo fenomeno, sia nella variante tonica che atona, è utile un rimando a Badia i Margarit (1962, 119), che fotografa una perfetta progressione verso il monottongo in tre manoscritti lulliani di diverse generazioni del Libre de contemplació: un paragone istruttivo che rende poco plausibile l’ipotesi di una correzione di Ba a questa altezza cronologica, suggerita invece da Maneikis Kniazzeh/Neugaard (1977, 6).
D’altra parte, fra le innovazioni introdotte qua e là dal copista di Ba troviamo pochi testimoni di o dissimilata nel dittongo secondario di crou e vou: creu, 28v°b, 110v°b, 264r°a; veu 9v°a, 50v°a, 78r°b, 161v°a, 225r°b, anche se relativamente poco significativi.[17] È questo un fenomeno generale del Trecento inoltrato, ma che, cominciato forse nel Gironese, gode di attestazioni piuttosto precoci nell’area orientale.[18]
Anche se del dittongo latino au qualcosa si è già detto, vale ripetere il censimento per le attestazioni pretoniche, dato il valore particolarmente informativo della sua conservazione in questa sede, secondo Coromines più soggetta a monottongamento (1971a, 294):
P 1 | Ba |
pausat 11v°a | paubresa 9v°b, pausà, pausàs 11r°b, pausat 11v°b, pausà 28v°a, pausaven 49v°a, ausir 50r°a, pausà 54v°a, pausada 54v°b, enclausí 78r°b, laudablament 79v°b, etc. |
Ancora una volta P1 si distingue per la presenza di forme adeguate al catalano di koinè, tra cui i corrispettivi monottongati di saubés 8v°b, 11v°a, deceubut 28v°b, saubets (da sapuistis) 49v°a, altrimenti dovuti a metatesi nei perfetti in -pui; è questo un tratto tipico dell’occitano e, in una fase remota, forse anche del catalano (cf. Batlle/Martí i Castell/Moran/Rabella 2016, 392), dove è attestato, nella variante rossiglionese, ancora alla fine del Duecento (1297–1300).[19] Fra i tratti tipici di questa regione, ma non esclusivi, troviamo poi in Ba l’innalzamento quasi sistematico delle vocali a, e pretoniche, assimilate in i per influenza di una palatale vicina (cf. Fouché 1924 a, 64; Recasens i Vives 2017, 129–130): livats 11r°a, livàs 11r°b, ginolos 28v°a, pityades 49r°b, livaren 49v°a, livat 78v°b, livar 110v°a, ligenda 161v°b, vixel 162r°b, livada 168r°a, livà 204v°a, assitiats 245r°b, livaven 271r°a, etc.
4.2.2 Consonantismo
Passando al consonantismo, vale anzitutto citare la conservazione della semivocale palatale risultante dalla vocalizzazione della velare nel nesso latino ‑ct-; i casi di assimilazione di quest’ultima alla vocale precedente arrivano a competere nel primo Trecento con quelli di dittongo, tra cui freytura 8v°b, leyt 54v°b, treyt 153r°b, perfeyt 238r°b, feyt 245v°a, etc., scomparsi definitivamente nella seconda parte del secolo. Ancora una volta P1 si mostra all’avanguardia nella generalizzazione del monottongo, come risulta dalla tabella qui sotto:[20]
P1 | Ba |
feytz 26r°a | feyt 8v°b, 10r°a, 10v°b, 11r°b, 11v°a, feyt 28v°a, feyts 29v°a, feyts, feytes 49v°b, feyt 54v°b, 55r°a, benifeyts 80r°a, feyts 80v°b |
Di nuovo Ba attesta più spesso (13 volte) la forma più arcaica altrimenti aggiornata, un dato tanto più significativo per una redazione così tarda come quella del codice barcellonese, che, vale ripeterlo, meno probabilmente avrà introdotto queste varianti fra Tre e Quattrocento. Al contrario, basta sfogliare il manoscritto più antico della Crònica di Bernat Desclot, quello segnato 486 della Biblioteca de Catalunya, per notare come il monottongo, prima vacillante, diventa esclusivo a partire dal capitolo L (cf. Rasico 1983, 24); risultato analogo all’evoluzione tra Due e Trecento delle abitudini scrittorie del copista lulliano Guillem Pagès (cf. Badia/Santanach/Soler 2010, 75–76). In maniera simile, ma meno diffusa, lo stesso esito semivocalico è conservato nella prosecuzione di x [ks] del latino, sia nel dittongo di Ba seysè 278r°a (da sexenus), che resiste alla riduzione (P sisè), sia nei derivati di adproximare: pruysmàs 153r°b, aproismà 179v°a, apruismà 207r°a (al posto di P aprusmàs/aprusmà).
Tracce di vocalizzazione del nesso dentale + vibrante tr, talora presenti nei documenti del Rossiglione e della Cerdagna (cf. Fouché 1924 a, 140),[21] trovano spazio, seppure con qualche oscillazione, in entrambi i nostri manoscritti: layres 10v°b, 11r°a, noyrida 54v°b, noyrir 55r°a, veyre 93r°a (da vitrum), poyrits 110v°b (da putritis). Mentre è innegabile lo spunto occitano per questo fenomeno – si pensi agli antichi omeliari – anche alcuni testi pratici di aree distanti del Principato, come Tortosa (1272, cf. Duarte i Montserrat 1991, 15–16) e Cocentaina (1275, cf. Ponsoda Sanmartín 1992, vol. 2, 358–359), tradiscono lo stesso variantismo. Il manoscritto di Barcellona sembra però meno disposto di P ad accogliere lo stesso cambiamento nel caso del gruppo t’r (poria 79r°b, poré 206r°a, etc. da potere): in effetti, al di là del condizionamento provenzale, e per distinguere questo dato da quello predetto, bisogna tenere presente che in catalano l’occlusiva che si accompagna a vibrante è più soggetta a elisione quando in latino le due consonanti sono intercalate da una vocale (cf. Coromines 1971 c, 185–186). A questo proposito è sufficiente scorrere i più antichi documenti pubblicati sempre da Alart per incontrare un paio di casi di noyrir e nessuno di poyria, poyré, etc. (cf. de Montoliu 1916).
Il nesso della medesima consonante dentale + i semivocalica (-tj-) è soggetto a fricativizzazione, al pari di -ce-, -ci- e -d-, di cui condivide l’esito dentale sonoro [ð], in seguito dileguato in posizione pretonica in catalano generale; nell’area nord-orientale, invece, diventa alveolare e viene trascritto con la grafia s o z. Naturalmente la coincidenza con l’occitano doveva favorire per questo fenomeno la patente di cultismo (cf. Grafström 1958, 128–136), come possiamo vedere nella Crònica di Desclot (cf. Rasico 1983, 28–29), nel Cronicó de Perpinyà (cf. Moran i Ocerinjauregui 1998, 50), nei Diàlegs de Sant Gregori (cf. Alegre 2007, 61–62) e in una buona parte del corpus di Ramon Llull, dove risulta caratteristico dei manoscritti più antichi del beato maiorchino (cf. Badia i Margarit 2004, 206–209); questo senza contare, a livello più generale, l’attestazione della fricativa in alcuni documenti antichissimi,[22] un’opzione presto livellata dall’espansione della scripta cancelleresca. Quanto ai nostri due codici, P procede a una decisa cernita in favore delle varianti con dileguo, anche in sede postonica, come si evince dal gran numero di attestazioni di s proprie di Ba.[23]
P | Ba | |
-tj- | raysó 240r°b | riqueses, malesa 8v°a, autesa 49v°a, espessesa 54r°b, bonesa 55r°a, rason 80r°a, fervolesa 149r°a, legeses 248r°a, rasonablament 263v°a, menyspresà 265r°b, paubresa 269r°b, etc. |
-c
e
-
-c i - |
nosens (2 volte) 10v°b, cozit 26v°a, luzens 45r°a, fesí 249v°b | resebre 9r°b, resebuts 10r°a, faseren 29v°a, disents 49v°a, fasien 50r°b, disent 54r°a, fasia 78v°b, resebuda 79r°a, plasegués 119r°a, lusent 151r°b, resebech 168r°b, jassien 180v°a, Plasent 181r°a, fasessen 223v°a, ressabessen, fasés 238r°b, resebés 245r°b, jasen 269v°a, fesent 271r°b, plasech 271v°b, etc. |
-d- | vesent 11v°a, esbalausit 92v°a, vesessen 212v°b, juseus 228v°b | succesí, sesila 10v°a, crusels 19r°b, ausir 50r°a, sesia 50r°b, fisel 50v°a, presicà 54v°a, jusesi 55r°b, vesés 78v°b, vesech 79r°a, casegren, esbalesits 79r°b, lausablament 79v°a, benesís 110v°a, sucsesich 144v°b, risen 145r°a, possesidor 149r°a, benesiren 151v°a, provesit 153r°b, cruselment 162r°a, presicava 166r°b, presicaren 166v°b, juseus 168v°b, presicar 180r°a, juseu 224r°b, sesent 224v°b, seser 225r°a, veseren 245r°a, vesé 246r°b, risets 246v°b, casech 263r°b, cresents 264v°b, presicacions 265r°a, etc. |
Mentre la grafia s poteva corrispondere a [ð] ancora alla fine del Duecento, il che potrebbe spiegare in Ba la forma particolare del cultismo stasi 183r°b (da stadium), d’altra parte P incappa facilmente nell’ipercorrettismo, come in Làer 91r°a (da Lazarus) e cervea 125r°b (< cerevisia).[24] Lo stesso manoscritto poi, a riprova della presenza di elementi occitanici esclusivi, quando conserva la fricativa da tj attesta spesso la variante raysó, sconosciuta a Ba, dove la marca vocalica di [jz] < [jdz] corrisponde a un esito estraneo al catalano, anche rossiglionese (cf. Grandgent 1905, 68; Fouché 1924 a, 189).
È invece attestata in catalano nord-orientale la semivocale posteriore prodotta dalla vocalizzazione in finale di sillaba di una laterale alveolare seguita da consonante, soprattutto dentale o affricata alveolare, una soluzione normale per le aree di transizione – già percepita come viziata[25] – e ancora viva nel Capcir e a Vingrau (cf. Recasens i Vives 2017, 227). Eppure, esiti del tipo di autreyament 10r°a, encausava 29v°b, autesa 49v°a, causigan 50v°a, autres 79v°b, autre 161r°a, aut 168v°b, autar 169r°a, escaudada 237r°b, etc., inizialmente presenti in entrambi i manoscritti, tornano alla forma etimologica l a partire dal f. 78 di Ba, con rarissime eccezioni. Un discorso a parte riguarda malalt e malaltia, che, sempre nel codice di Barcellona, cominciano a insidiare malaute e malautia, dove la vocalizzazione aveva intaccato però il nesso secondario bt (da male-habitu); a questo proposito, l’ipercorrezione sarebbe pure dovuta a pressione analogica (cf. Gulsoy 1993, 198), poiché in P come in Ba la forma alt/alta, e corradicali, prevale su aut/auta.
Per concludere, alcuni tratti distintivi interessano il finale di parola, dove possiamo apprezzare una diversa incidenza per ‑n e, a seguito dell’introduzione del morfema del plurale, per i gruppi ‑ns e ‑rs. Il catalano presenta, a partire da una fase remota, il dileguo dell’alveolare nasale del latino ‑n in finale di parola ossitona, fenomeno che si estende con un certo ritardo tra le parlate nord-orientali (cf. Rasico 2006, 246 e 308); è stata infatti ipotizzata una precisa zona di conservazione della consonante, coincidente con l’area di Girona, ma è pur vero che questa marca viene censita, più in generale, tra le manifestazioni caratteristiche della scripta libraria più antica (cf. Badia/Santanach/Soler 2010), tant’è che diversi dialetti occitanici vicini al tempo erano già passati al dileguo (cf. Sampson 1999, 143–144). Esclusi i monosillabi proclitici del genere di bon, ben, plen (de), possiamo qui di seguito valutare un numero discreto di forme conservative, che, se anche non depone in termini cronologici, dimostra ancora una volta la netta partizione di P sulla base di due diversi diasistemi:
P1 | Ba |
bassín 9v°a, compayon 41r°a, sisclaton 44r°b | baron, matín 8v°b, baron 9v°a, enclín 9v°b, Nepocian 10r°a, baron 10v°a, baston 10v°b, baron 11r°a, 11v°a, vesion 19r°b, prelacion 28v°a, sobiran 29r°a, milan 29v°b, vesion, arrian 50v°a, passion 54r°a, vision 54v°b |
A intrecciarsi con questo fenomeno è la questione del dileguo della nasale nel gruppo -ns, ancora oggi produttivo nei dialetti oltrepirenaici e testimoniato, senza particolari rilievi, da entrambi i manoscritti: mas 10v°a, compayos 54v°a, pas 110v°b (ma subito sopra pans), crestias 145r°a, ronyos 180r°a, vesis 180v°b, bretos 181r°a, sas 270r°a, etc.
Un’altra sequenza soggetta a oscillazioni è -rs, ridotta a -s in finale di parola ossitona in diversi documenti del secondo Duecento,[26] poi ripristinata nel corso del secolo successivo tranne che a sud del dominio catalano, dove si assiste al fenomeno inverso tra Tre e Quattrocento.[27] Nel nostro caso la forma dileguata è pressoché esclusiva in Ba:
P | Ba |
dos 67r°b | notxes 9r°b, autas 50v°b, dines 110v°b, menos 150r°b, doctos 151v°a, miles 160v°b, lausos 161v°a, cavales 166r°b, cantos 179v°b, marines 183r°b, conjus 204r°b, mercades 237v°b, heretes 238r°b, volentes 246v°a, encantados 246v°b, degolados 264v°a, honos 270r°a, etc. |
4.3 Morfologia
4.3.1 Morfologia nominale
Tra i caratteri morfologici più studiati di P troviamo la presenza residuale nei singolari del morfema -s dell’originaria declinazione bicasuale (cf. Maneikis Kniazzeh/Neugaard 1977, 13–14), qualità che non pare recedere in Ba, anche a fronte di una datazione più bassa: nei campioni vagliati si riscontrano attestazioni di verges (aquesta) 119r°a, verges (la) 244v°a, 263v°b, un nome, come Déus, più soggetto a cristallizzarsi (cf. Jensen 1994, 7); oltre ad alcuni aggettivi dotati di marca predicativa, tra cui prenys (ets) 167r°b, prenys (femna) 168v°b, grans (Déus) 245v°b, sols (Déus) 247r°a, oltre a «el seu gardaments» 54r°a. Questi ultimi sono propri di Ba, anche perché P, che offre qualche attestazione in più, esclude sistematicamente l’associazione con sostantivi femminili, recando sempre verge e preyn. Sarebbe invece decisamente stereotipato il ricorso esclusivo del codice parigino al vocativo sèyer per senyor (cf. Batlle/Martí i Castell/Moran/Rabella 2016, 531). Quanto alla formazione del maschile plurale, in un solo caso Ba presenta la forma moderna in -os di brassos 223v°b, per brasses, mentre conserva i femminili causas 9r°b, 11r°a, bèstias 161r°b, ditas (peraules) 162v°a, passati a -es in P.
Quanto ai pronomi, il dato più significativo riguarda l’alternanza tra il dativo plurale lur, derivato dal genitivo illorum, e los, più facilmente continuatore dell’accusativo illos.[28] In Ba, rispetto a P, si nota una flessione nell’impiego di lur – peraltro non generale neppure in quest’ultimo –, così come atteso per il passaggio dal Due al Trecento; tuttavia, piuttosto che da lus, forma aggiornata di lur > lurs, questa è sostituita soprattutto da los, pure antichissimo: lus 247r°b, 247v°a; los 180v°a, 238r°a, 247r°a, 247r°b, 264r°b, 270r°b. Tra i dimostrativi, mentre P ricorre all’arcaico aclò (da eccu illud) solo nella prima parte del testo – nel nostro caso nel capitolo dedicato a Nicolau –, Ba, che dispone dell’equivalente antico aquellò, lo impiega altre volte, alternandolo ad aquò (da eccu hoc), al posto del più comune (e longevo) assò/aysò:[29] 8v°b, 9r°b, 78r°b, 246r°b.
Com’è noto, nel manoscritto P si incontrano per la prima volta in catalano alcune attestazioni degli aggettivi possessivi femminili singolari analogici del genere di meva, seva, etc. (cf. Coromines 1971 a, 316), varianti che guadagnano spazio ulteriore nella redazione di Ba, in particolare nel caso delle persone seconda e terza: meva 79r°a, 167v°a; teva 79r°a, 110r°b, 161v°a, 168r°b,179v°b; teves 110v°a, 224r°a; seva, 50v°b, 148v°a, 160r°b, 204r°b, 223v°b, 246r°b; seves 54r°a, 165v°b, 248r°a, etc. Nondimeno, l’incertezza di Ba è palese: «Desconeys-me, que no pusch girar la mia cara a tu [...] Mes dóna’m lo teu mantell, per so que eu veya sens vergonya la teva cara» (110r°b 30–35); «E quant lo seu marit fo vengut a la seva casa, él vesech la sua muller ploran» (160v°b 21–23). A tal proposito andrebbe forse considerata una spiegazione diastratica, piuttosto che diacronica, dal momento che ancora alla fine de Quattrocento nelle Regles d’esquivar vocables si censurava in quanto volgarismo l’impiego di queste varianti (cf. Batlle/Martí i Castell/Moran/Rabella 2016, 248).[30] Meno attestata, eppure degna di nota, è la propensione di Ba – o almeno di una sua sezione – per le forme deboli e proclitiche dei possessivi, che talvolta sostituiscono quelle forti, ma mai viceversa: mon (lo meu) 10v°a, son (el seu) 160v°b, (lo seu) 166r°b; sa (la sua) 167r°a, 167v°b.
4.3.2 Morfologia verbale
Rispetto alle sezioni precedenti la disamina della morfologia verbale rivela meno opposizioni, pertanto si passa qui direttamente alla categoria dell’indicativo perfetto, dove rinveniamo, in maniera sorprendente per Ba, un buon numero di verbi condivisi con P ancora accentati sulla radice, altrimenti sostituiti da varianti deboli nell’arco del Medioevo. A cavallo fra Tre e Quattrocento il redattore del manoscritto barcellonese ancora copiava scrisch 8v°a, prengren 29r°b, aparegren 49v°b, sech 78v°b, volgren 80r°b, segren 180v°a, mouch 206r°a (P moc), plauch 206r°b, casegren 224r°a, defès 272r°a, etc.;[31] oltre ad aggiungere un paio di soluzioni più conservative e già evolute nel parigino: fuscren 238r°a (P fugiren) e viren 247v°b (P veseren). Cionondimeno sono indeboliti, tra i perfetti in -si, represeren 204v°b (P repreyren), trameseren 245r°a (P trameyren), raseren 245r°b (P rayren); e, tra quelli in -xi e -i, elegí 165v°b, 166r°a (P elec), elegiren 205v°b (P elegren), oltre a scrisqueren 8v°a (P escriscren) e visqueren 148v°b (P viscren), per i quali, tuttavia, poteva essere esistita una terminazione latina analogica in -squi (cf. Batlle/Martí i Castell/Moran/Rabella 2016, 387). In proposito, va ricordato che non solo lo stesso P mostrava già alcuni segni di espansione delle forme deboli, specialmente nel caso delle persone prima singolare e terza plurale, ma che pure alcuni documenti molto antichi, tra cui gli Abusos di Peire de Lobeira (cf. Moran 2017, 69) e i Costums di Tortosa (cf. Duarte i Montserrat 1991, 31), sostituiscono talora le varianti rizotoniche, in particolare de perfetti in -i (fogí, elegí, etc.).[32]
Per venire alle terminazioni, possiamo anzitutto citare due variabili, l’una vocalica e l’altra consonantica, che interessano la terza persona singolare delle forme deboli: talora nel codice P i verbi della I coniugazione presentano una vocale tematica -e- accompagnata alla desinenza -c < -t, com’era frequente in alcune parlate occitane (cf. Fernández 1985, 350 n. 2; Wheeler 2011, 200), dando luogo a forme esclusive quali escusec 138v°a (Ba escusà), despertec 139r°b (Ba despertà), manec 152r°b (Ba manà), ajustec 212v°a (Ba ajustà), cridec 241v°a (Ba cridà), etc. Quanto alle forme di Ba, si registrano in maniera sporadica e nelle varietà del catalano oltrepirenaico i perfetti analogici con ampliamento velare del genere di obrich 79r°a, vestich 119r°a, noyrich 161r°a, ausich 180r°b, instruhic 264r°a destroich 264v°a, etc. che nei nostri campioni il codice di Parigi non tollera,[33] se non nel caso di P benesic 93r°a.[34]
A ogni modo Ba non prevede la terminazione plurale -eren per i verbi di I coniugazione, sicuramente ispirata dall’occitano (cf. Fernández 1985, 350 n. 3) e largamente presente nel manoscritto più antico P, dove leggiamo negeren 67v°a (da necaverunt), sotereren 120r°b, pauseren 138v°a, deren 139r°b, doneren 212r°b, demaneren 213r°a, ariberen 227v°a, crideren 230r°b, degoleren 241v°a, troberen 247r°b, etc.
Stesso discorso vale per il congiuntivo imperfetto, sempre di I coniugazione, che in rossiglionese aveva convertito solo occasionalmente la vocale tematica -a- in -e- prima dell’epoca moderna (cf. Fouché 1924 b, 166); in questa maniera sempre Ba si allinea alla regola generale, mentre P apre ancora una volta a una norma propriamente d’oc:[35]forsés 67r°b, atrobessen 127r°b, donés 128v°b, esperés 135r°b, pensés 138v°a, trobessen 139r°a, vetlessen 150v°a, governés 151r°b, entrés 200r°b, perdonés 211r°a, mengessen 229v°b, degolessen 241v°a, parlessen 247r°b, etc. Per i due fenomeni appena citati bisogna infine considerare la loro distribuzione nel testo, in quanto non ricorrono dall’inizio, ma, tra i capitoli in esame, solo a partire da quello dedicato a santa Juliana, marcando così in maniera ancora più netta la successione tra diversi sistemi linguistici.
Come si è detto i nostri due manoscritti non divergono altrimenti in maniera indicativa dal punto di vista della morfologia verbale, ed è pertanto che, piuttosto che riferire altre manifestazioni eccezionali, si preferisce accennare in conclusione qualcosa in merito ai verbi indefiniti: il codice parigino si mostra incerto nel formare il gerundio di alcune voci che dalla III coniugazione latina erano passate alla IV già nel corso della tarda latinità, tra cui P corregen 10r°a, P destruen, converten 68r°b; di più, se entrambi i manoscritti condividono l’esito fugen(t) (P 9v°b, Ba 9r°a) – ma all’infinito fugir (P 99v°b, Ba 118v°b) –, esulano ancora una volta dal catalano gli esiti di P ausen 11v°b, 44r°b, P venen 12r°a (da veniendo).[36]
4.4 Lessico
Anche quest’ultimo dettaglio, insieme ad altri fra i rilievi precedenti, inquadra la consistenza occitanica particolare del codice di Parigi, un apporto che si distingue pure per certe varianti lessicali. In questo senso, l’opposizione tra P e Ba, che Wittlin (2003, 134–137) rimanda a una maggiore o minore fedeltà al modello latino, va in parte tradotta più semplicemente nell’ottica – meno stilistica – di una graduale interferenza della lingua d’oc, solo per caso più prossima all’originale. In alternativa dovremmo immaginare un legame d’elezione tra P nautoners 92v°b e LA nautas LIV.20 (Ba mariners 110v°a), P làmpesa 162v°b e LA lampadem CIX.251 (Ba làntera 191r°a), P foldres 230r°b e LA fulgura CLV.127 (Ba lamps e trons 247v°b); eppure nautoner, làmpesa e foldre sono voci segnatamente occitaniche,[37] al pari di P paleges 200v°a e P esduy 227r°b,[38] da riferire alle varianti catalane di Ba breges 225r°a e spasi 244v°a (LA rixas CXXXI.115 e inducias CLIV.8). Sempre stando al criterio etimologico, andrebbero considerati innovativi a priori tutti i casi del pirenaico (e oltrepirenaico) P feda (136r°a, 150r°b, 228r°a, 230r°a) per contro a Ba ovela (161v°b, 179r°a, 245r°b, 247v°a), più lontani rispetto al latino ovis della traduzione e, peraltro, esclusi dal resto dei manoscritti.[39] È invece con l’ausilio dello stemma codicum che possiamo immaginare – a posteriori – i contorni di un subarchetipo α (P, Es, M, V), ricco di provenzalismi diventati sempre meno tollerabili con lo scorrere del tempo: ancora M nautoners (107r°b) e EsV foldre(s) (198v°a, V 363r°b), ma MV làntea (177v°a, 151v°b), insieme a Es barayles (168v°b) e V plagues (317v°b), per paleges, con evidente incomprensione.[40]
5 Conclusioni
Per concludere, questo esercizio comparativo ci ha permesso di individuare un inventario di fenomeni linguistici condiviso con alcuni dei testi catalani più antichi e riprodotto qui ancora in epoca bassissima, quando, anche ammessa l’ipotesi orientale-rossiglionese di Coromines, i tratti locali erano ormai in larga parte scomparsi dalla lingua scritta (cf. Rasico 1993); un cedimento che riguarda in maniera particolare la prosa sorvegliata e koinizzante, secondo la dimostrazione di Martí de Riquer (1978, 14–15) per le abitudini di Francesc Eiximenis. Scansata l’ipotesi abbastanza inverosimile della restaurazione, la patina del ms. 713 di Barcellona tende piuttosto verso i parametri tipici della più antica norma scrittoria catalana, plausibilmente reperiti in un antigrafo molto più antico; d’altra parte, il livello stemmatico occupato dal testimone rende ammissibile un’interpretazione di questo genere. È per tale motivo che appare giustificato adottare in sede di edizione la forma linguistica conservativa di Ba, o meglio, questa risulta un ragionevole compromesso rispetto alla testimonianza di P, cronologicamente più prossima all’originale, ma, come abbiamo visto, decisamente perturbata. Ci si domanda infine quale possa essere stato – per entrambi i manoscritti – il livello di interferenza con la poesia narrativa agiografica di ispirazione occitanica (cf. Cingolani 1990, 97–103), un esempio compiuto, anche sul piano linguistico, del compromesso culturale transpirenaico tanto presente all’orecchio dei nostri copisti. Naturalmente, si tratta di un contributo impossibile da vagliare nel nostro caso, ma, considerata tutta la produzione congenere, una ricognizione sistematica in questo senso potrebbe risultare istruttiva.
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© 2020 Jacopo Gesiot, publiziert von Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston
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- Frontmatter
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- Editorial
- Aufsätze
- Zur Motivation des französischen Wortakzents
- Ripensare la lingua del Flos sanctorum catalano
- Caracterización formal y semántica del sujeto y del objeto directo léxicos en construcciones transitivas en la historia del español
- León y Palencia: dos patrones entonativos en las interrogativas absolutas neutras en el español europeo actual
- Bilingualism and sound change: perception in the /ʎ/-/j/ merger process in Majorcan Spanish
- Consideraciones sobre la transmisión textual de la Crónica de Iria
- Sistemas vocálicos tónicos portugueses do norte e do centro-sul: descrição acústica e tendências dialetais
- L’Historia della guerra del Monferrato: un testo non piemontese
- Doppia coniugazione regolare del passato remoto in italiano contemporaneo
- Miszellen
- Vicissitudini lessicografiche di cocoggio e di acudia
- It. utello
- Besprechungen
- Philippe de Mézières. Rhétorique et poétique, Édité par Joël Blanchard avec la collaboration de Renate Blumenfeld-Kosinski et Antoine Calvet (Cahiers d’Humanisme et Renaissance, 157), Genève, Droz, 2019, 325 p.
- Franz Staller, Kritische Edition und sprachhistorische Analyse der Innsbrucker Fragmente eines hebräisch-altfranzösischen Bibelglossars (ULB Tirol, Frg. B 9), Innsbruck, Studia, 2019, 398 p.
- Georg Kremnitz, Frankreichs Sprachen (Romanistische Arbeitshefte, 60), Berlin/München/Boston, De Gruyter, 2015, XI + 203 p.
- Caterina Menichetti, Il canzoniere provenzale E (Paris, BNF, fr. 1749), Strasbourg, ELiPhi, 2015, XVI + 517 p.
- María Álvarez de la Granja / Ernesto González Seoane (edd.), Léxico dialectal y lexicografía en la Iberorromania (Lingüística Iberoamericana, 73), Madrid/Frankfurt am Main Iberoamericana/Vervuert, 2018, 500 p.
- Federico Corriente / Christophe Pereira / Ángeles Vicente, Dictionnaire des emprunts ibéro-romans. Emprunts à l’arabe et aux langues du Monde Islamique (Encyclopédie linguistique d’Al‑Andalus, 3), Berlin/Boston, De Gruyter, 2019, 625 p.
- Sabine Heinemann, Altitalienisch. Eine Einführung, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2017, 245 p.
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