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La prospettiva filosofica dell’economia nell’Erissia pseudo-platonico. Nota alla nuova edizione a cura di M. Donato

  • Flavia Palmieri EMAIL logo
Veröffentlicht/Copyright: 25. Juni 2025
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Elenchos
Aus der Zeitschrift Elenchos Band 46 Heft 1

Abstract

This paper offers an analysis of the spurious dialogue Eryxias in light of the recent edition by M. Donato (Academia Verlag, Baden-Baden 2023), situating it within the broader context of ancient philosophical reflection on οἰκονομία between the 4th and 3rd centuries BC. After a brief reconstruction of Donato’s main theses, the analysis focuses on several key theoretical issues, such as: the absence of explicit references to the relationship between οἶκος and πόλις – which is a peculiarity compared to earlier economic treatises, the connection between σοφία and external goods as it was developed in the early Academy, and the definitions of πλοῦτος and its proper use, including comparisons with the Epicurean perspective on economy. The paper aims to reassess the Eryxias as an original voice within ancient economic thought, capable of reflecting both the internal tensions of the Hellenistic Platonic Academy and its engagement with contemporary philosophical debates concerning the nature, value, and use of wealth in relation to εὐδαιμονία.

1 La nuova edizione del testo

“Ciò che il destinatario non troverà è una più ambiziosa collocazione del contenuto dell’Erissia nel più vasto panorama della storia del pensiero economico nella Grecia antica, un settore di studio che ha visto in tempi recenti segni di un profondo rinnovamento ancora in corso: questo lavoro resta da fare, ma la speranza è di aver fornito delle basi più salde a chi vorrà un giorno intraprenderlo”.[1]

Con queste parole, Marco Donato, nella Premessa alla sua nuova edizione dell’Erissia, chiarisce i limiti e gli obiettivi del suo lavoro, concentrato principalmente sulla revisione filologica, sulla traduzione e sul commento del più lungo tra i dialoghi platonici spuri, lavoro prezioso e al contempo necessario.

Muovendosi, invece, nella direzione indicata da Donato, il presente contributo intende offrire una prima integrazione in tal senso, proponendo una lettura dell’Erissia alla luce delle riflessioni filosofiche sull’οἰκονομία tra l’età classica ed ellenistica,[2] in particolare nel III secolo a.C., periodo in cui Donato ne colloca la composizione. Pur senza ambire all’esaustività, si evidenzieranno alcuni nodi teorici centrali del dialogo, con l’obiettivo di avviare un discorso più ampio sull’inserimento dell’Erissia nel dibattito filosofico antico sull’economia e nel contesto storico-economico del periodo.[3]

Nell’enucleare le posizioni più innovative presentate da Donato, cominciamo proprio dalla questione cronologica. Egli colloca la composizione dell’Erissia nell’Accademia della prima età ellenistica, verosimilmente durante lo scolarcato di Polemone. Le ragioni a sostegno di questa ipotesi sono molteplici.

In primo luogo, la datazione posteriore alla fine del IV sec. a.C. è indicata dal riferimento alla γυμνασιαρχία come carica ormai istituita, in relazione alla cacciata di Prodico dal ginnasio (397e8–399a5). Questo riferimento costituisce un terminus post quem, segnalando una composizione successiva all’introduzione della magistratura e sufficientemente distante da giustificare l’oblio delle sue trasformazioni (Donato 2023, 17–22).

In secondo luogo, Donato ha evidenziato come le posizioni espresse nel dialogo siano il frutto di una lettura meticolosa delle opere autentiche di Platone. Ciò testimonia un’attività di studio avanzata del corpus platonico, quale si riscontra nell’Accademia antica.[4] Su questa base, l’autore sottolinea che molte dottrine presenti nell’Erissia, piuttosto che essere in relazione a concezioni eterogenee,[5] scaturiscano principalmente da una rielaborazione interna del pensiero platonico, sulla base dei concetti espressi nei dialoghi autentici.

È qui che, in terzo luogo, emergono le ragioni filosofiche più consistenti a favore dell’interpretazione di Donato: egli individua nel dialogo tracce di quello che definisce un ‘irrigidimento’ dottrinale delle posizioni di Platone (ivi, 116), caratteristico della dossografia sull’Accademia antica. Tale irrigidimento si manifesta in due concezioni fondamentali che Donato interpreta e rintraccia nel dialogo: da un lato, l’assunzione della σοφία come condizione necessaria e sufficiente per la felicità; dall’altro, una netta distinzione binaria tra beni e mali, che esclude con decisione la terza categoria degli ἀδιάφορα. Queste due concezioni sono alla base delle definizioni di πλοῦτος proposte nel dialogo, che Donato interpreta come complementari anziché conflittuali: la prima, che identifica i più saggi come i più ricchi perché i soli capaci di agire rettamente e, dunque, di raggiungere la felicità (393a7–395d7); la seconda, che definisce la ricchezza come il possesso di χρήματα utili ai bisogni corporei (399c8–401e12), che però giunge a definire il più ricco come il più bisognoso (405b5–406a17). Queste due definizioni di ricchezza non sono in contraddizione, ma costituiscono due prospettive conciliabili: l’idea del πλοῦτος superiore che possiede il σοφός nel suo saper εὖ βουλεύεσθαι, si combina con il violento attacco al πλοῦτος fondato sui χρήματα come possessi materiali. Questa bipartizione esegetica, infatti, consente di armonizzare posizioni apparentemente divergenti e frutto di una rielaborazione successiva che risente di confronti con tradizioni eterogenee, riconducendole a un patrimonio speculativo già presente nel pensiero platonico.

Alla luce di ciò, Donato avanza un’ulteriore ipotesi riguardo le motivazioni che possono aver spinto, nel contesto accademico, alla composizione dell’Erissia. Egli suggerisce che, poiché l’Accademia disponeva già di due trattati Περὶ πλούτου, rispettivamente di Speusippo e di Senocrate,[6] ma non di uno attribuibile a Platone, il dialogo possa essere stato scritto per rafforzare l’identità della scuola sulla definizione e gestione della ricchezza rispetto agli orientamenti rivali del tempo, e che le posizioni fossero state esposte con la voce di Socrate proprio per rivendicare l’esclusiva custodia della genuina eredità socratica. In effetti, benché esistessero già diverse trattazioni filosofiche sulla ricchezza e sull’οἰκονομία,[7] mancava una sistematizzazione univoca della concezione platonica dell’economia, espressa attraverso la voce di Socrate. Il punto è che, proprio rispetto alla concezione ‘economica’ del Platone dei dialoghi autentici e di altre correnti filosofiche, si possono rintracciare delle sottese differenze, che, trovando meno spazio argomentativo nel lavoro di Donato, è interessante enucleare.

Alla luce di queste premesse, si rende ora necessario analizzare alcune delle questioni centrali del dialogo, con l’obiettivo di integrarle in una riflessione più ampia sulla ricchezza, sul suo ottenimento e sulla sua gestione, nonché sul rapporto tra ricchezza e virtù, quali tematiche chiave nel dibattito filosofico sull’economia nella Grecia classica ed ellenistica.

2 Le riflessioni economiche

2.1 Οἶκος e πόλις

È ben noto il legame che le riflessioni filosofiche sull’οἰκονομία instaurano più in generale con le considerazioni politiche e il contesto storico di riferimento, in virtù del particolare status giuridico e filosofico dell’οἶκος[8] e della prospettiva etico-politica nella quale è integrata la riflessione economica antica.[9] Un elemento di particolare rilievo nell’Erissia è, invece, l’assenza di una dimensione politica esplicita. Lo stesso Donato ammette, infatti, nell’esaminare la vicinanza tra l’Erissia e il IV libro della Repubblica (428–429) sulla concezione della σοφία che trova il suo contenuto nell’εὐβουλία, come ciò avvenga “sia pure nella riduzione dalla dimensione della πόλις a quella dell’individuo, nel segno di una perdita della dimensione propriamente politica, che nell’Erissia non trova spazio” (Donato 2023, 79).

Il termine πόλις compare solo cinque volte nel testo: le prime tre occorrenze (392b6, c4, d1) si trovano nel Proemio, nel discorso iniziale di Erasistrato, che chiede agli astanti se vogliano conoscere come i Siracusani si comportano presso di loro o “nei confronti della nostra città” (ἢ ὅπως πρὸς τὴν πόλιν ἔχουσιν τὴν ἡμετέραν). Dato il ‘carattere’ siracusano, Erasistrato promuove l’avvio di una spedizione imponente verso Siracusa, altrimenti sarà impossibile che “quella città sia da noi sottomessa” (ὅπως ἐκείνη ἡ πόλις ἔσται ποτὲ ἡμῖν ὑποχειρία), e ritiene che, con l’inviare ambasciatori ad Atene, questi intendessero ingannare in qualche modo la città (βουλόμενοί τι ἐξαπατῆσαι τὴν πόλιν). Le occorrenze di πόλις, due volte riferite ad Atene e una a Siracusa, fanno dunque riferimento all’aspetto ‘militare’ del discorso di Erasistrato nell’inquadramento della cornice storica del dialogo.[10] La quarta occorrenza (396e10–11)[11] fa riferimento invece alle leggi della città che impediscono di commettere ingiustizia, come il servirsi di denaro per commettere adulterio, nella domanda che Socrate pone a Erissia per comprendere se l’ingiustizia sia un male. L’ultima occorrenza si trova nel discorso che Socrate racconta di aver fatto a Prodico nel ginnasio, in cui lo critica perché ritiene che si possano ottenere tutte le cose che si chiedono in preghiera, “ogni volta che di fretta sali a piedi all’Acropoli (εἰς πόλιν)”. Quest’ultima occorrenza, dunque, non indica altro che il luogo dove svolgere le preghiere.

Un altro elemento significativo è l’assenza dei termini οἰκονομία, οἰκόνομος, οἰκονομεῖν così come di οἶκος; compare più volte, invece, il termine οἰκία.[12] La maggior parte delle occorrenze si trova nel ragionamento che Socrate svolge con Erissia (394b–e), quando egli obietta che un uomo sapiente non potrebbe dirsi ricco se anch’egli ha necessità dei mezzi per soddisfare i bisogni elementari. Socrate ribatte che anche chi possegga beni di lusso potrebbe mancare di tali mezzi, laddove la sapienza, consistendo nell’esser capaci di ben deliberare su come agire al meglio, è in grado sempre di procurarseli. Per esemplificare i beni di lusso, Socrate usa più volte l’esempio della casa di Pulizione.[13] L’οἰκία viene dunque a essere identificata tra i possessi materiali (κτήματα) generalmente ritenuti come ricchezza, che invece per Socrate non si identifica come tale in quanto non è utile ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni, come anche l’oro e l’argento, a differenza della sapienza. Se il possesso dell’οἰκία per il senso comune, di cui Erissia sembra essere il portavoce, è considerato un χρῆμα, una ricchezza, non è così per il Socrate dell’Erissia, in quanto una cosa per essere χρῆμα deve essere χρήσιμον.[14]

Questa impostazione dell’Erissia segna una distanza significativa, a mio parere, rispetto al Platone dei dialoghi autentici, in particolare della Repubblica e delle Leggi, in cui il legame tra οἶκος e πόλις riveste un ruolo centrale.[15] Accogliendo la prospettiva di Helmer, si può ritenere che Platone politicizzi la sfera domestica ed elevi il mondo privato a livello della dimensione comunitaria, spostando quella che fino ad allora era un’economia domestica sul piano di un’economia politica, concepita su scala cittadina. Tale prospettiva si fonda sul riconoscimento dell’οἶκος come strumento di realizzazione politica, sia per l’individuo che per la comunità. La casa e la famiglia, infatti, sono i luoghi in cui vengono educati gli appetiti e in cui si struttura la disciplina necessaria a garantire la coesione della πόλις. In questo senso, l’economia domestica non è più un ambito separato, ma parte integrante del progetto politico volto alla costruzione di una città veramente unita.[16]

Su questo punto mi pare si giochi una differenza notevole nell’Erissia anche con le trattazioni di Senofonte e Aristotele. Nell’Economico di Senofonte la casa è ben presente, sin dall’inizio del dialogo: non è solo l’abitazione (οἰκία) ma “tutto ciò che uno possiede” (Xen. Oecon. I 5), definito poi come solo ciò che è utile, come i φίλοι.[17] D’altra parte l’οἶκος in Senofonte è considerato l’unità economica fondamentale, un microcosmo delle strutture economiche e politiche più ampie. Nel modello di Iscomaco presentato nell’Economico di Senofonte, l’οἰκονομία si può leggere non come una mera pratica tecnica o un sapere frammentato, ma come una forma di sapere morale condiviso che unifica l’οἶκος come comunità educativa e normativa. La casa diventa così non solo il luogo dell’amministrazione domestica, ma anche uno spazio di formazione etica.[18]

Mutatis mutandis, il legame tra οἶκος e πόλις è presente anche in Aristotele, che, nel I libro della Politica, indagando la natura dell’οἰκονομία a partire dalla definizione della famiglia come prima forma di aggregazione che si iscrive in uno sviluppo teleologico che culmina nella città – una teleologia fondata su un concetto fortissimo e antropocentrico di natura (cfr. Pol. I 8) –, giunge a concepire l’economia come l’unione tra la gestione dei rapporti familiari e la crematistica naturale, attribuendo a quest’ultima una precisa connotazione filosofica.[19] Aristotele, quindi, concepisce l’economia come parte integrante della struttura naturale della πόλις, nella quale solamente, però, si realizza la piena autosufficienza, poiché l’uomo, per sua natura, è un animale politico (1253a2).[20]

Una relazione tra οἶκος e πόλις, nel segno però della discontinuità, è riscontrabile anche nell’Economico pseudo-aristotelico. Il libro si apre, infatti, con una differenziazione sia di natura che di dominio di azione tra la gestione di una casa e quella di una città, in sostanziale, seppur implicita, critica alle posizioni espresse da Senofonte (Mem. III 4, 12) e Platone (Pol. 258e–259d), secondo cui tra la città e la casa vi sarebbe solo una differenza di grandezza.[21]

Nella filosofia dell’economia, dunque, il legame tra οἶκος e πόλις, seppur nelle sue differenti considerazioni, appare una costante. Mi pare che entrambi questi elementi, invece, non acquisiscano un rilievo specifico nell’Erissia. In ciò, a mio avviso, può riscontrarsi una vicinanza con la prospettiva ‘economica’ epicurea: Filodemo di Gadara nell’Economico critica, ad esempio, la distinzione operata dallo pseudo-Aristotele tra l’amministrazione della casa e della città, ritenendola priva di fondamento e superflua (col. VII 49: περίεργος). Tale critica sembra iscriversi nel solco ormai tracciato, in epoca ellenistica, tra individuo e Stato: in un contesto in cui il ‘cittadino’ ha ormai perso un ruolo attivo nella vita politica, la distinzione tra forme diverse di amministrazione appare allora superflua.[22] In questa stessa direzione potrebbe leggersi anche l’assenza di riferimenti espliciti alla πόλις e al suo rapporto con l’οἶκος che si riscontra nell’Erissia: oltre che espressione di un diverso focus del dialogo, potrebbe essere un segno del tempo e del contesto culturale in cui il dialogo fu composto, segnato da un progressivo allontanamento dalle istanze politiche e dalla consapevolezza dell’impossibilità di un effettivo coinvolgimento trasformativo nella sfera pubblica.[23] Filodemo sviluppa in modo sistematico aspetti ‘economici’ che già si trovano in Epicuro. Pensando a un’altezza temporale che si accosta maggiormente alla composizione dell’Erissia così come proposta da Donato, infatti, anche in Epicuro non sembrano rintracciabili elementi inerenti all’οἶκος o alla πόλις nelle sue riflessioni ‘economiche’: come anche nell’Erissia, in Epicuro non è presente una οἰκονομικὴ τέχνη definita, ma vi sono una serie di riflessioni su come considerare le ricchezze e sulla modalità di porsi rispetto a esse e al loro uso.[24] Nonostante ciò, sembra si possa individuare una dimensione politica mediata anche in questo contesto, qualora si consideri la φιλία come garanzia di sicurezza politica[25] e si rilegga il precetto epicureo del Λάθε βιώσας nel quadro di una riflessione più ampia sull’autosufficienza e la stabilità della comunità filosofica.[26] Al netto di queste analisi, però, stricto sensu considerazioni politiche dell’economia e collegamenti alla riflessione economica sull’οἶκος non si ritrovano neanche nell’epicureismo; una somiglianza che varrebbe la pena tenere in considerazione e sviluppare maggiormente.

Nonostante queste assenze terminologiche e contenutistiche, la trattazione del dialogo prende in considerazione temi centrali della filosofia dell’economia, quali la ricchezza, la sua definizione e il suo valore, come ottenerla, conservarla e usarla, il suo rapporto con la virtù e la felicità.

2.2 Virtù, sapienza e beni esterni

Nell’edizione di Donato si riscontra in particolare una tendenza ad allontanare dalle concezioni riportate nell’Erissia la portata dell’influenza stoica, mostrando come le posizioni espresse, prendendo le mosse dai dialoghi di Platone, trovino una modificazione nel pensiero dell’Accademia prima del loro ‘incasellamento’ nella filosofia stoica. Ciò si evince in più occasioni, come per esempio le seguenti.

L’autore mostra, a mio avviso giustamente, come le conclusioni di Socrate ed Erasistrato secondo cui il possessore della σοφία sarebbe il più ricco tra gli uomini, non combacino con il paradosso stoico ὅτι μόνος ὁ σοφὸς πλούσιος (SVF III 593, 595, 598, 599). Ciò in virtù del fatto che il solo tratto comune risiede nel riconoscere una forma di πλοῦτος superiore ai χρήματα (idea che si ritrova già in Platone: Resp. VII 521 sgg., Phaedr. 279b8–c3), mentre, rispetto al rigorismo stoico, nell’Erissia non si afferma che solo la sapienza è ricchezza ma che il più sapiente è il più ricco, il che non esclude che ricchi siano anche coloro che posseggono altri beni cui si attribuisce un qualche valore (Donato 2023, 75).

Questa tendenza a ‘de-stoicizzare’ l’Erissia si registra anche nel rapporto tra la σοφία e l’azione retta: piuttosto che riconoscere nei verbi ἐξαμαρτάνειν e κατορθοῦν della sezione 393e9–11 un influsso della dottrina stoica delle azioni rette e scorrette, Donato, riprendendo gli studi di Ioppolo (1986), avvicina l’uso di questi termini al modo in cui vengono trattati nell’etica di Arcesilao, in particolare nella definizione del ‘criterio d’azione’ che è l’εὔλογον, il ragionevole che giustifica l’azione retta una volta che viene eseguita (Sext. Emp. M VII 158).

Un’eco della problematica centrale dell’etica ellenistica relativa al dibattito sulla sufficienza della virtù per la felicità e il peso dei beni esterni, tra cui la ricchezza, è senz’altro da rilevarsi nell’Erissia, in particolare quando il personaggio omonimo critica, sulla base del buon senso (o del senso comune),[27] che la σοφία sia sufficiente per la vita in assenza dei generi di prima necessità (394a–b). Nella difesa da parte di Socrate dell’importanza della σοφία per raggiungere la felicità, Donato rintraccia un elemento di distanza dalla concezione stoica, in quanto nel difendere l’importanza della σοφία non nega mai una rilevanza per la vita ai generi di prima necessità, che però la σοφία stessa è in grado di procurare. Analizzando l’evoluzione della tematica della relazione tra virtù e beni esterni per il raggiungimento della felicità, Donato ripercorre i testi platonici che subordinano i beni inferiori alla virtù,[28] e prende in considerazione, brevemente, le posizioni che definisce ‘moderate’ di Speusippo[29] e Senocrate[30] sui beni esterni, per poi soffermarsi sull’irrigidimento della posizione di Polemone che vede la sola virtù necessaria e sufficiente per la felicità (Clem. Alex. Strom. II 22 = Polemo fr. 132 Gigante).[31] L’autore rintraccia nella posizione di Socrate, che rivendica alla σοφία un ruolo fondamentale per l’acquisizione dell’ἀρετή, un irrigidimento proprio della soluzione proposta da Polemone rispetto alla tesi della sufficienza della virtù, “pur senza giungere alle posizioni intransigenti degli stoici e conservando una plausibilità al problema di τὰ ἐπιτήδεια πρὸς τὴν δίαιταν” (Donato 2023, 90). Data la rilevanza della prospettiva etica nell’Accademia antica per l’inquadramento del periodo storico in cui è possibile considerare la scrittura del dialogo secondo Donato, forse il lavoro avrebbe giovato di un maggiore approfondimento e inquadramento critico delle posizioni filosofiche dei diversi scolarchi, delle loro fonti e delle possibili contaminazioni successive delle testimonianze.

Sul tema della sufficienza della σοφία per il raggiungimento della felicità, dove però non viene negata la rilevanza dei generi di prima necessità che la stessa σοφία può procurare, aggiungerei alcuni riferimenti alla prospettiva ‘economica’ epicurea. Donato mostra giustamente che nel dialogo Socrate accorda un certo spazio alla possibilità di ottenere un guadagno dall’insegnamento della σοφία, che anzi non teme il confronto con i beni di lusso per la possibilità “di divenire strumento per procacciarsi le risorse necessarie al sostentamento quotidiano (cfr. 394c6–395a1, 402d2–e3)” (Donato 2023, 48). Donato trova convergenze su questo punto sia nella tradizione socratica, con delle testimonianze bibliografiche di Eschine[32] e con le pratiche di Aristippo,[33] sia con passi dai dialoghi di Platone in cui lo scambio tra beni e σοφία è presentato come plausibile.[34] A queste assonanze, però, aggiungerei anche quelle che si ritrovano nella tradizione epicurea: le testimonianze sul sistema delle donazioni attestano come Epicuro venisse ricompensato per il suo ruolo di maestro sia con denaro che con beni naturali;[35] Diogene Laerzio riporta che era possibile per il saggio trarre beneficio solo dalla sua sapienza (ἀπὸ μόνης σοφίας) in caso di necessità,[36] mentre in Filodemo viene sistematizzata la pratica delle donazioni al sapiente in cambio delle discussioni filosofiche come unica forma di ottenimento delle ricchezze propria del filosofo.[37] Sembrerebbe dunque possibile ipotizzare che l’Erissia raccolga una certa canonizzazione della legittimazione della σοφία come pratica per l’ottenimento dei mezzi necessari alla sopravvivenza, esponendo ciò per bocca di Socrate in un dialogo che doveva riconfermare, però, la posizione platonica sull’economia, ma che risente di un dibattito operante nel periodo e influenzato da correnti differenti.

2.3 Χρήματα, χρήσιμα e ὀρθὴ χρῆσις

Donato analizza come il legame tra χρήματα e χρήσιμα presente nell’Erissia si collochi nel solco di una tradizione più antica, di cui si trovano esempi nella prima parte dell’Economico di Senofonte,[38] oltre che in Aristotele, Politica (I 8.1256b26–31) e nell’Etica Nicomachea (I 5.1096a7). Rispetto a questa tradizione in qualche modo codificata, il dialogo pseudo-platonico sembra invece in parte discostarsi, come si evince dal fatto che Erissia sottolinea la necessità di definire una categoria specifica di χρήσιμα che corrisponda ai χρήματα, i quali alla fine vengono definiti come cose che sono utili per la cura dei bisogni del corpo (Donato 2023, 94).[39] A ciò è indissolubilmente legata l’importanza del buon uso di tali beni. Se l’ὀρθὴ χρῆσις, il retto uso che conferisce positività all’oggetto sulla base del possesso di una conoscenza da parte del soggetto, è riconosciuto come un tema centrale e ricorrente nella letteratura precedente,[40] a cui si accompagna la svalutazione del πλουτεῖν materiale sia in Platone[41] che nella cerchia socratica,[42] Donato mette in luce come sia trattato in modo del tutto originale nell’Erissia, finendo per spingersi a una conclusione ulteriore, che Platone non sviluppa, ovvero il fatto che il πλοῦτος comunemente inteso sia un κακόν (ivi, 97). Ciò perché l’autore del dialogo, oltre a mostrare che il retto uso non va inteso in senso sofistico, che porta a un relativismo soggettivistico, quanto piuttosto con il ricorso all’ἐπιστήμη quale condizione necessaria per l’uso dei πράγματα,[43] interpreta la ricchezza portata dai χρήματα in un senso del tutto negativo senza che anche il buon uso permetta di riscattarli: il buon uso dei χρήματα consiste, paradossalmente, nel servirsene il meno possibile. Posto, infatti, che la condizione migliore sia quella che comporta il minor numero di bisogni (405d7–406a3), di conseguenza, dato che i χρήματα sono stati definiti come le cose utili per soddisfare i bisogni del corpo, il possesso di un gran numero di essi è interpretato come la manifestazione di uno stato peggiore (405e11–17). La posizione dell’autore dell’Erissia, quindi, cerca di rendere coerente la svalutazione del πλοῦτος materiale che si trova già in Platone con la sufficienza della sola σοφία per l’εὐδαιμονία sviluppata nell’Accademia antica.[44]

Un confronto sulla considerazione della ricchezza e del suo uso, non esplicitamente tematizzato da Donato, ma che risulta suggestivo e che potrebbe fornire ulteriori spunti di riflessione sul contesto di elaborazione del dialogo, è, ancora una volta, quello con la prospettiva epicurea. Donato stesso segnala, infatti – ma da un punto di vista prettamente filologico – come l’assonanza tra χρῆμα, χρήσιμον e χρῆσις sia già attestata in Democrito (DK 68 B 282): “L’usare il denaro con discernimento giova a mostrar l’uomo liberale e amico del popolo, mentre l’usarlo senza discernimento è come una munificenza che finisce per costare a tutti”.[45] Tale assonanza, tuttavia, rimanda a una riflessione più ampia, che trova un ulteriore sviluppo nella scuola epicurea. Nell’argomentazione del dialogo intorno al retto uso del πλοῦτος, infatti, mi pare ci siano echi non solo della tradizione socratica: anche per Epicuro la ricchezza non è un male in sé, ma lo diventa quando se ne fa un cattivo uso,[46] tanto da arrivare, in modo simile all’Erissia, a una risemantizzazione dei termini di ricchezza e povertà.[47] Come nell’Erissia, infatti, anche in Epicuro la sapienza permette il buon uso delle ricchezze perché si esercita sulla divisione dei bisogni;[48] pertanto solo chi riconosce il limite dei propri bisogni è più ricco e più felice, tanto che “a chi poco non basta, a costui nulla basta” (fr. 473 Usener).[49] Come nella prima parte dell’Erissia, solo la σοφία permette di saper discernere come usare la ricchezza, tanto che nella tradizione epicurea si arriva a definire il saggio stesso come “misura della ricchezza”.[50] Naturalmente la concezione epicurea non ha interesse a ricollegarsi a una tradizione socratica,[51] ma non si può escludere che invece nella composizione dell’Erissia, nel voler esporre una posizione platonica per bocca di Socrate, l’autore non fosse influenzato anche da aspetti propri della riflessione economica epicurea. Nell’Erissia, in ogni caso, l’abbandono di qualunque ‘buon uso’ della ricchezza, sulla base del fatto che se viene usata vuol dire che se ne ha bisogno, sembra, da un lato, implicare che le ricchezze siano cose necessarie a soddisfare i bisogni del corpo, come per Epicuro,[52] ma dall’altro, nello stesso tempo, nell’Erissia l’esigenza di soddisfare i bisogni del corpo è riconosciuta come una condizione negativa, laddove il più felice sarebbe chi non ha bisogno di niente. Qui forse è riscontrabile una concezione del saggio socratico-platonico più lontano dalla “nuda storicità del proprio essere nel mondo” (Diano 1987, 12) cui invece la gestione della ricchezza epicurea richiama.

In conclusione, l’analisi dell’edizione di Donato offre una base solida per riflettere su alcuni snodi centrali della filosofia antica dell’economia. Soffermarsi su temi come il rapporto tra virtù, bisogni e uso dei beni permette non solo di cogliere la specificità teorica dell’Erissia, ma anche di ampliare il discorso a un ambito di indagine ancora poco esplorato, ma promettente, nella storia del pensiero antico: quello della riflessione etico-economica tra V e III secolo a.C.


Corresponding author: Flavia Palmieri, Sapienza Università di Roma, Rome, Italy, E-mail:

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Published Online: 2025-06-25
Published in Print: 2025-06-26

© 2025 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

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